giovedì, luglio 05, 2007

WM5 su "Nelle mani Giuste"

Io mi sono immerso nella lettura di questo libro - Nelle mani giuste di Giancarlo De Cataldo - e mi sono trovato nelle sensazioni descritte nella recensione qui sotto di WM5. Un libro che è la continuazione di un precedente romanzo - Romanzo Criminale - ma di cui si percepisce dalla prima pagina un altro stile, un altro clima, un altro ritmo narrativo. Certo, si raccontano gli anni Novanta mentre in Romanzo Criminale si narrava di una storia aggrappata ad altri anni e ad altri contesti, dove la narrazione corale bene si prestava a calarci in quel mondo (gli anni '60 e '70, le dinamiche delle bande criminali, i rivolgimenti sociali...). Ma dopo i famelici anni Ottanta, i Novanta non possono essere resi se raccontati attraverso le piazze e le strade, ma solo attraverso le stanze e gli spazi chiusi, in una dimensione più individuale e meno sfaccettata.

di Wu Ming 5 - da nandropausa#12#luglio2007

Qui De Cataldo si trova di fronte a un compito da far tremare i polsi, e cioè dare un seguito a Romanzo Criminale, a mio parere vera pietra di paragone nella letteratura italiana degli ultimi dieci anni. A chi ha amato quelle pagine, Nelle Mani Giuste si presenta subito come un oggetto minaccioso. Innanzitutto è molto più breve, la copertina è un rogo, spira un'aria di Gotterdammerung. E' il seguito di Romanzo Criminale, ma la sensazione che si prova nel tenerlo in mano e nel rimirarlo è che all'interno ci sia altro, non certo l'estensione nel tempo di quel clima, di quei ritmi, di quelle parole. Poi ci si decide ad aprire il libro e dopo un prologo magistrale, appena meno intenso di quello di RC, si è ineluttabilmente avvinti alle vicende della sfortunata umanità italica che declina sconfitte politiche ed esistenziali pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo. Non c'è epos stradaiolo, non c'è respiro corale, il romanzo si svolge principalmente in interni. Gli anni che vedono il prosieguo della vicenda di Scialoja, ora divenuto successore del Vecchio, e di Patrizia, hanno connotati molto meno aurali, molto meno attrattivi, meno leggendari degli anni che compongono Romanzo Criminale. Sono gli anni che precedono questa fase storica, l'embrione maligno della contemporaneità, della quotidianità di un paese marcescente: Mani Pulite, la stagione delle bombe di mafia, la fine della Milano da Bere e il ritorno della Milano da pere (il revival dell'eroina - esteso a tutto il paese - di fine anni '80 e inizio '90 è magistralmente rappresentato attraverso le vicende di Valeria, uno dei tanti personaggi indimenticabili del romanzo), la Discesa in Campo e tutto il resto, quel che conosciamo bene. L'angolo di visuale non è nuovo, certamente: l'idea che la vita pubblica italiana sia un semplice paravento dietro al quale operano livelli più occulti dietro livelli occulti dietro livelli appena meno occulti non è certo nuova. Quello che è sapiente è l'organizzazione metronomica delle vicende, la descrizione delle psicologie, la tragica plausibilità dell'intero racconto, la capacità di mettere la storia ufficiale del paese in trasparenza per raccontarne la decadenza profonda.

E' ovvio allora che non c'è spazio per l'epos: i personaggi sono tutti contratti, avvolti nelle loro vicende come in un bozzolo maligno, dipinti alla perfezione, epitome di una fase storica che ha annullato la dimensione pubblica in un coacervo di particolari concentrici, idiosincratici, piccoli, minimi, anche quando si tratta di Potere, di Denaro, di Imperium economico e politico. Un tragico, claustrofobico romanzo in cui nessuno è all'altezza (tranne forse le figure femminili), in cui tutti commettono errori gravidi di conseguenze, in cui il dubbio e la paranoia vanificano la capacità di analizzare e di agire: la realtà riflessa dallo specchio di queste pagine ha il volto di un fallimento epocale, e ha il nome del nostro Paese.

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