E' interessante leggersi questo "storico" editoriale del New York Times pubblicato il 9 luglio 2007 in cui si chiede esplicitamente e con insistenza il ritiro delle truppe USA, per almeno un paio di motivi. Primo il N.Y.T. - uno dei più importanti quotidiani al mondo - è stato un grande sostenitore della missione in Iraq, quindi questo editoriale segna il cambio di posizione dei media mainstrean dopo che la maggior parte dei cittadini USA la posizione l'ha cambiata da un pezzo (ultimi sondaggi: 70% a favore del ritiro...).
Secondo motivo d'interesse è secondo me il tono dell'articolo: la prosa incalzate, disillusa, accusatoria, senza traccia di possibilità di riscatto per Bush e il suo governo che si dice chiaramente hanno incantato di frottole i cittadini degli States. La cosa mi ha colpito, poiché in Italya nella mia esperienza non ho mai trovato un così "parlare chiaro" nei confronti dei potenti di turno, un je accuse così inflessibile. Ok, tutto questo dopo anni di sudditanza della stampa USA alla politica del governo Bush, ma comunque è già qualcosa visto che in Italya generalmente per i giornalisti vale sempre la vecchia regola per cui è meglio non bruciarsi mai il rapporto con i potentati, meglio parlare e scrivere, parlare e scrivere, senza mai "parlare chiaro".
Certo il NYT con questo editoriale si è iscritto alla lista - sempre più lunga - di coloro che chiedono l'impeachment di Bush - con conseguente galera (vedi, tra l'altro, l'azione del Movement to impeach George W. Bush). Va però detto come da più parti si percepisca questa possibilità come un pericolo, poiché un presidente Bush sempre più alle corde porterebbe probabilmente gli Stati Uniti non a ritirarsi dall'Iraq, quanto ad aprire il nuovo fronte di guerra in Iran.
La ratio? La trovate espressa chiaramente nell'editoriale qui sotto: "E' ora terrificantemente chiaro che il piano di Bush è quello di mantenere la linea seguita sinora fin quando rimarrà presidente, e poi lasciare l'onere di uscire dal disastro al suo successore. Qualsiasi sia stata la sua causa, ormai è persa."
E' tempo che gli Stati Uniti abbandonino l'Iraq, senza più alcun ritardo che non sia quello necessario per far si che il Pentagono possa organizzare una ritirata ordinata delle truppe. Come molti americani, abbiamo cercato di evitare di raggiungere questa conclusione, attendendo vanamente un segnale da parte del presidente Bush di cercare seriamente di far uscire gli Stati Uniti fuori dal disastro che lui stesso ha creato quando ha deciso di invadere l'Iraq senza avere un motivo sufficiente per farlo, in spregio all'opposizione dell'opinione pubblica mondiale e senza un piano per stabilizzare il Paese dopo l'invasione. All'inizio, credevamo che dopo aver distrutto il governo iracheno, il suo esercito, la sua polizia e le sue strutture economiche, gli Stati Uniti avessero quantomeno il dovere morale di raggiungere alcuni degli obiettivi che Bush proclamava di voler perseguire: in primo luogo costruire uno Stato iracheno stabile ed unito. Quando è divenuto chiaro che il presidente non aveva né la visione né i mezzi necessari per ottenere questo obiettivo, abbiamo comunque affermato che non era giusto decidere una data arbitraria per il ritiro delle truppe finché vi era ancora qualche speranza di mitigare il caos che ne sarebbe risultato.
Mentre Bush rifiutava qualsiasi ipotesi di calendario per il ritiro delle truppe, egli continuava a promettere punti di svolta all'orizzonte: prima le elezioni, dopo la nuova Costituzione e dopo ancora l'invio di ulteriori migliaia di truppe nel Paese. Ma ognuna di queste pietre miliari veniva ed andava senza che fosse raggiunto alcun reale progresso verso l'obiettivo di un Iraq stabile e democratico, o quantomeno verso l'obiettivo del ritiro delle truppe. E' ora terrificantemente chiaro che il piano di Bush è quello di mantenere la linea seguita sinora fin quando rimarrà presidente, e poi lasciare l'onere di uscire dal disastro al suo successore. Qualsiasi sia stata la sua causa, ormai è persa. I leader politici che Washington ha appoggiato in questi anni sono risultati essere incapaci di porre gli interessi nazionali dinanzi a quelli dei diversi gruppi etnici o religiosi del Paese. Le forze di sicurezza che Washington ha aiutato ad addestrare si comportano come milizie paramilitari agli ordini di quello o dell'altro gruppo politico. Le ulteriori forze militari che sono state inviate nella regione di Baghdad non sono riuscite ad ottenere alcun cambiamento della situazione sul terreno.
Continuare, in queste condizioni, a sacrificare le vite ed i desideri dei soldati americani è sbagliato. La guerra in Iraq sta lentamente distruggendo la nostra nazione e le sue forze armate. E' una pericolosa diversione dalla guerra vitale contro il terrorismo internazionale. E' un onere sempre maggiore per i contribuenti americani e, allo stesso tempo, rappresenta il tradimento di un mondo che ha sempre bisogno della reale applicazione del potere e dei principi americani. La maggioranza degli americani ha raggiunto queste conclusioni mesi addietro. Anche in una Washington polarizzata politicamente, le posizioni sulla guerra non sono più divise, come erano una volta, tra i due schieramenti politici. Quando il Congresso tornerà al lavoro questa settimana, il ritiro delle truppe americane dall'Iraq sarà la priorità della sua agenda per entrambi gli schieramenti politici. La discussione al Congresso dovrà essere chiara e ben focalizzata. Agli americani deve essere chiaro che la situazione in Iraq, e nelle regioni confinanti, potrebbe diventare ancora più sanguinosa e caotica a seguito del ritiro delle truppe dall'Iraq. Potrebbero esserci vendette contro coloro che hanno lavorato con le forze americane, ulteriori pulizie etniche, e persino genocidi. Flussi di rifugiati iracheni potenzialmente destabilizzanti potrebbero arrivare in Giordania ed in Siria. L'Iran e la Turchia potrebbero avere essere tentate ad ottenere ulteriore influenza su quello che resta dell'Iraq.
Ma forse, più importante di tutto, l'invasione americana ha già creato un paradiso per gli integralisti islamici di tutto il mondo, nel quale l'attività terrorista potrebbe proliferare. L'Amministrazione presidenziale, il Congresso controllato dai democratici, le Nazioni Unite e gli alleati dell'America hanno l'obbligo di tentare di mitigare questi rischi potenziali e devono anche sapere che possono fallire. Ma gli americani devono anche essere onesti con se stessi riguardo al fatto che continuare a tenere le truppe in Iraq rischia soltanto di peggiorare ulteriormente la situazione. La nostra nazione ora abbisogna di una seria discussione su come raggiungere l'obiettivo del ritiro delle truppe e su come far fronte alle grandi sfide che ne potrebbero derivare.
Continua qui.
The New York Times (09/07/07) - tradotto da Daniele John Angrisani per Altrenotizie.org
giovedì, luglio 12, 2007
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