di Massimiliano Guareschi
Terrorismo è senza dubbio una parola chiave, per quanto abusata, della nostra epoca. In senso stretto, il termine dovrebbe connotare nulla più che una tecnica di combattimento, volta a provocare terrore e sgomento fra la popolazione. In sintesi, si tratterebbe di colpire per seminare il panico, senza distinguere più fra obbiettivi militari e vittime civili. Il mezzo usato in atti di terrorismo, solitamente, è una carica esplosiva in un luogo pubblico, oppure un bombardamento a tappeto.Se la definizione è questa, diventa però difficile distinguere la figura del terrorista da quella del militare, specie se il pensiero si distoglie dal modello, in un certo qual senso edificante, della «guerra in forma».
Nel corso degli ultimi decenni, infatti, la parola «terrorismo» si è modificata, arrivando a significare non più un modus operandi, ma un attore politico così generico da poter essere individuato ovunque, ma abbastanza «tangibile», a livello di senso comune, da potergli dichiarare guerra. Il fatto che, poi, la formula «guerra al terrorismo» sia un non senso potrebbe essere questione che interessa solo chi è oziosamente incline a «spaccare il capello in quattro», sottraendosi alla mobilitazione dell'Occidente contro i nuovi barbari. Senonché, persino a livello di istanze giuridiche internazionali, le difficoltà incontrate nell'adottare una definizione operativa di «terrorismo» non discendono solo da problemi di ordine nominalistico, ma soprattutto dal fatto che ogni singola formulazione rischia di risultare applicabile anche alle forze che intendono porsi come garanti dell'ordine e della legalità internazionali.
Per dissipare i facili manicheismi ed evidenziare la complessità delle questioni che si raccolgono intorno alla questione del terrorismo, risulta assai utile soffermarsi sulle pagine di Terrore nell'aria (Meltemi, pp. 95, euro 12) di Peter Sloterdijk, tra le poche voci filosofiche fuori dal coro. Punto di partenza del filosofo tedesco è un'affermazione a prima vista sconcertante, secondo cui il contributo originale fornito dal XX secolo alla storia universale sarebbe costituito principalmente dalla commistione fra la prassi del terrorismo, il concetto di progettazione industriale e l'idea di ambiente.
Nel libro si indicano anche la data e il contesto precisi in cui questa commistione si sarebbe realizzata: il 22 aprile 1915, quando dalle trincee dell'Ypern-Bogen i tedeschi lanciarono un attacco con i gas. La pratica del terrorismo si rivela - secondo la definizione di Sloterdijk - una modalità di «interazione postmilitare fra nemici» in cui l'obiettivo è rappresentato non più dai corpi ma dall'ambiente dell'avversario. La respirazione, da presupposto indispensabile per la vita, si trasforma in vettore di morte. L'aria - un dato di fatto in precedenza mai percepito, almeno non in questa forma - viene «riprogettata» per rendere l'ambiente incompatibile con la sopravivenza del nemico.
Questa attenzione nei confronti dell'elemento dell'aria non stupirà il lettore che, negli ultimi anni, abbia seguito anche solo in parte la ricerca di Peter Sloterdijk, così come si è articolata a partire dai tre volumi di Sphären, fino al loro compendio pubblicato anche in Italia con il titolo Il mondo dentro il capitale (Meltemi). Il terrore, nella prospettiva di Sloterdijk, viene colto come fattore di esplicitazione dell'ambiente che porta a livelli di criticità elementi in precedenza non problematizzati. La scena originaria della guerra chimica chiama in causa l'aria e la respirazione, mentre gli atti successivi rimandano al calore - con i bombardamenti «termo-terroristi» su Tokio e Dresda - o alla radioattività, dato non percepito fino alla sua radicale, drammatica manipolazione, culminata con l'esplosione nucleare a Hiroshima e Nagasaki.
Uscendo dalla storia, per affacciarsi su scenari futuri ancora in via di definizione, con riferimento ad alcune note del Pentagono, si giunge a parlare di «ionoterrorismo» - attraverso il ricorso a strumenti in grado di produrre modificazioni locali del clima – e addirittura di attacchi «neurotelepatici» condotti proiettando infrasuoni in grado di agire sulla materia inorganica come sui cervelli umani.
La funzione di esplicitazione svolta dal terrore, tuttavia, secondo Sloterdijk non riguarda solo l'ambiente, ma anche la guerra. È in tale contesto che si misura l'impossibilità di tracciare chiare linee di distinzione fra guerra e terrore. Nelle parole di Sloterdijk, «se la guerra significa sempre un'azione contro il nemico, solo il terrorismo scopre la sua essenza». Di conseguenza, prosegue lo studioso tedesco, «nel momento in cui il controllo delle ostilità attraverso il diritto internazionale fallisce, i rapporti tecnici con il nemico prendono il sopravvento: incrementando l'esplicitazione delle procedure, la tecnica porta al dato essenziale dell'ostilità che non è altro che la volontà di sterminare il nemico».
da Precog mailing list
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento