martedì, maggio 30, 2006

I pirati e la difesa legale


Non sono certo che i pirati del passato si preoccupassero di trovare un appoggio legale in favore della loro posizione personale nel caso fossero stati catturati... certo si preoccupavano di collezionare nella propria testa le diverse strategie d'evasione che probabilmente potevano imparare dalle esperienze di altri. Oggi la figura del pirata torna una figura di spicco, frutto di un rispolvero da parte del Sistema dell'immagine da cattivo che etichetta ogni buon pirata. Ovvio che mi riferisco in primo luogo al tentativo di etichettare come "cattiva" la cultura della condivisione di contenuti multimediali (il p2p). Per nostra fortuna il ricorso a questo immaginario ha di rimando rinvigorito e dato uno spolvero alla rappresentazione underground del pirata, quella sì di brutto e cattivo ma comunque giusto e conviviale. Il ritorno mitopoietico del pirata, con tutta la sua forza simbolica e ricombinante.
Bè, al di la di queste mie chiacchere, ho pensato potesse rivelarsi utile (spero mai e a nessuno, ovviamente...) mettervi a conoscenza di questa
Guida di autodifesa legale pubblicata su Generazione Idrogeno e curata da G. Berutti in caso qualcuno finisse sotto il torchio delle megaretateinrete (per niente virtuali nelle conseguenze...) delle nostre forza del (dis)ordine. Consideriamolo uno strumento in più per noi pirati del presente... qui sotto riporto solo la parte "COSA RISCHIAMO", nessuno lo prenda come un monito, lo spirito giusto è piuttosto quello informativo su che si rischia certo dell'indignazione di fronte a tanta stupidità.

COSA RISCHIAMO

Di solito miglia di euro di multa, anche se l’accusa potrebbe prevedere anche la detenzione! Gli utenti vengono di norma condannati ad un risarcimento. Per esempio potrebbero vedersi costretti a pagare un indennizzo per ciascun titolo condiviso. Ovviamente su questo punto le sentenze sono le più disparate ed è ovvio che non esista uniformità a priori, dal momento che il giudice prende in considerazione la situazione personale dell’imputato. Le parti civili tentano, dal canto loro, di mettersi in tasca un bel gruzzolo per ciascun file condiviso sul quale reclamano il loro diritto d’autore: non è raro assistere alla richiesta di di decine di miglia di € di risarcimento. Per quanto riguarda invece la parte penale, in Italia possiamo ricorrere all’oblazione, cioè possiamo pagare per estinguere il reato. Resta il fatto che comunque rimane iscritto sulla fedina penale e non è certamente cosa piacevole. In taluni casi gli utenti di client file-sharing vengono pserseguiti penalmente, in altri solo sul piano civile. Sono le Major e gli aventi diritto dell’industria musicale a definire i contorni della questione. I processi penali hanno un riscontro maggiore nei media e i casi più eclatanti sono ovviamente i benvenuti, dal loro punto di vista! Dal momento che l’obiettivo è quello di “colpirne uno per educarne cento, mille,diecimila…” ovvero sacrificare qualche giovane condivisore di contenuti multimediali sull’altare dell’opinione pubblica, scopo delle parti civili che si ritengono lese è ottenere condanne esemplari. Non dimentichiamoci mai che, a differenza di quello che le Major vogliono far credere nei loro spot televisivi, scaricare un film non equivale a rubarlo da uno scaffale di un negozio. Lo scaricamento illecito non è un furto di un bene, ma al limite è un mancato guadagno (Tutto da dimostrare) per i produttori. Quindi sarebbe più corretto evitare sanzioni penali per quello che non è esattamente un reato se confrontato con altri fatti come il furto vero e proprio.

Aggiornamento Effelunga


... dopo avere segnalato la lotta in corso dei lavoratori della Feltrinelli-MediaStore precedentemente, riporto di seguito un nuovo comunicato sull'andamento dello scontro. Sembra che le cose si mettano bene, nuove forme di lotta e innovazione dei repertori di protesta sembrano essere ancora una volta la chiave di svolta della trattativa, mentre i sindacati "tradizionali" dimostrano di non avere le capacità per raccogliere una delega alla rappresentanza di questi lavoratori. Ora i lavoratori autorganizzati hanno letteralmente riaperto la trattativa, allargando il cambo di confronto ben al di là delle condizioni retributive e generalmente economicistiche. I sindacati possono forse ancora ritagliarsi un posticino da comprimari in questa vicenda solo se muteranno il loro atteggiamento, mettendo a disposizione dei lavoratori in lotta gli strumenti che maneggiano con pratica, come una buona agenzia di servizi per il conflitto.

Gli scioperi costringono l’azienda a riaprire la trattativa!

La commissione trattante del coordinamento nazionale dei delegati è stata convocata a Roma lunedì 29 e martedì 30 dall’azienda. Il muro di silenzio che la direzione aziendale si è costruita attorno comincia a cedere, vistose crepe minano la compattezza della dirigenza, la fermezza ostentata dai due presidenti vacilla. La lotta paga. Lo stato di agitazione, le mobilitazioni, gli scioperi, hanno costretto l’azienda a tornare sui propri passi, a riaprire la trattativa sui nostri punti imprescindibili. Vedremo che propongono, ma intanto vi ricordate la lettera firmata da Carlo Feltrinelli e Dario Giambelli che introduceva la loro proposta di rinnovo del contratto integrativo? Quella in cui, fra l’altro, si affermava che “quanto contenuto nel documento allegato rappresenta le migliori condizioni che possono essere assicurate alla luce di quanto sopra esposto”. Questo sostenevano i due presidenti, senza aver mai partecipato alla trattativa e con l’evidente obbiettivo di chiuderla d’autorità. Ma il nostro stato di agitazione ha colpito nel segno! Oggi i calcolatori hanno ricominciato ad elaborare dati e ad abbozzare ipotesi e proposte, il consulente sale e scende la torre 3… La proposta ed i toni della lettera dei due presidenti sono stati bocciati da tutte le assemblee dei lavoratori in tutta Italia. Il 30 Marzo è iniziato lo stato di agitazione, l’11 aprile tutti i lavoratori di Milano si sono riuniti in assemblea e hanno organizzato le mobilitazioni, il 15 aprile Milano ha dato il via al primo giro nazionale di scioperi con ottima riuscita sia sul piano delle adesioni, sia su quello della visibilità. La settimana successiva hanno scioperato altri negozi in altre città, reiterando il successo. Concluso il primo giro di scioperi, l’azienda, dopo il primo iniziale imbarazzo, ancora tace… Non ci aspettavamo una simile riuscita delle agitazioni, ma soprattutto non se l’aspettavano loro… Segnali evidenti di nervosismo e sorrisi appassiti di direttori, capi-area, capi-canale e ancora più su… danno l’idea della cantonata che la direzione aziendale ha preso nel valutare lo stato dei rapporti di forza. Hanno così tentato di far rientrare il secondo giro di scioperi con una lettera recapitata direttamente ai negozi, il giorno prima dello sciopero, nella quale si parlava di tutto, senza dire niente... Nonostante ciò il giorno dopo lo sciopero è riuscito pienamente. I colleghi da tutti i negozi si sono concentrati davanti al Megastore di Piazza Piemonte e hanno “celebrato il loro evento”… Ancora una volta abbiamo scioperato compatti ed uniti, ed ancora una volta la direzione ha dovuto incassare il colpo… inaspettato e diretto!

Continua e finisce qui.

Report "finoaquituttobene" 0.1


Torno dopo una pausa un pò più lunga del solito, d'ora in poi cercherò anche di eliminare la pausa week-end che fino ad ora ha scandito le settimane di vita del blog. Prenderò altre pause, ma cercherò di non farle coincidere con il fine settimana, giusto per togliere di mezzo una pratica che toglie vivacità al blog.

Già che ci sono riporto due appunti su questo blog, che vi ricordo è per me un modo di sperimentare lo strumento. Sono un paio di mesi che il blog gira, almeno per quanto riguarda la mia parte... certo che non è sempre facile trovare qualche "contenuto" interessante, comunque con un poco di fatica e pause libere mi sembra di avere mantenuto un buon passo, regolare.
Non so quante persone diverse seguano il blog, non è un dato così importante visto che l'esperiemento non è costruire una cassa di risonanza di ciò che scrivo. Però un tot di persone ci sono che passano da qui, ciò che manca è il feed back, cioè una risposta a quelle sollecitazioni che vogliono essere nelle mie intenzioni i post. Lo dico senza lamentarmene, piuttosto sembra proprio che la "facilità di comunicazione" che viene a volte addossata come qualità intrenseca alla comunicazione mediata al computer sia molto, ma molto più problematica. Non serviva certo il mio piccolo esperimento per scoprirlo, però fa un altro effetto quando tale considerazione viene a valle di un'esperienza che, dal mio soggettivo punto di vista, mi ha messo comunque in gioco.

Vedremo come proseguirà, che certamente proseguirà...
Ola

venerdì, maggio 26, 2006

IL PIANETA DEGLI SLUM di Mike Davis


E' uscito negli Stati Uniti il nuovo libro di Mike Davis intitolato "Planet of slums", lo scrittore ed attivista in questa analisi sposta la sua attenzione dalle megalopoli statunitensi alle conseguenze sociali, economiche e politiche della crescita della povertà fra la popolazione urbana, crescita che pare essere slegata dal contesto geografico ed è infatti registrabile in ognuno dei diversi continenti, dal "ricco" nord America alla "povera" Africa. Favelas, baraccopoli, slums sono alcuni dei tanti nomi con cui si indica la crescita di aree urbane in cui la popolazione vive in condizione di indigenza e povertà.
Di seguito riporto una parte di un'intervista a Davis realizzata da Lee Sustar sul Socialist Workers nel mese di maggio (trad. S. De Simone), qui trovate l'intervista per intero.

La questione della crescita delle megaslum è stato escluso dal panorama del dibattito politico corrente. Perché?
Devo confessare di essere stato sorpreso dal pressoché totale silenzio da cui è stata salutata la pubblicazione di uno studio fondamentale delle Nazioni Unite, La sfida delle slum, tre anni fa. Oltre ad un panorama della povertà urbana su scala globale, i ricercatori dell'Onu ci hanno fornito un bilancio complessivo dei danni prodotti da trent'anni di aggiustamenti strutturali, politica del debito e privatizzazioni.
Immagino che questo sia proprio il genere di notizie che i tifosi della Banca mondiale e, più in generale, del "Washington consensus" non vogliono sentire.
L'eccezione, ovviamente, è rappresentata dal Pentagono. Il disinteresse degli esperti del National Security Council verso i ghetti urbani contrasta con l'avido interesse mostrato dai più pragmatici strateghi militari dell'Army War College e del Warfighting Laboratory dei Marines.
Gli strateghi militari sono ben coscienti del fatto che, mentre le loro bombe intelligenti sono estremamente efficienti contro le città gerarchiche quali Belgrado, con le loro infrastrutture centralizzate e i distretti economici, le armi super-tecnologiche americane possono poco per il controllo degli agglomerati di povertà sottosviluppati, come a Mogadiscio in Somalia e Sadr City a Bagdad.
Le grandi baraccopoli in crescita caotica nei sobborghi città del terzo mondo neutralizzano buona parte dell'arsenale barocco di Washington.
L'analisi attenta di questo problema ha condotto gli strateghi militari ad una visione geopolitica del mondo diversa da quella del resto dell'amministrazione Bush. Invece che su una cospirazione terrorista mondiale o su un asse del male, gli strateghi militari si focalizzano sulla supremazia del territorio, le baraccopoli stesse.
Il nemico, che il Pentagono concepisce come un insieme eclettico di potenziali oppositori, dalle gang di strada ai gruppi radicali alle milizie etniche, è meno importante che il labirinto in cui si nasconde. Nel tuo libro tracci una distinzione tra l'urbanizzazione "d'attrazione" prodotta dall'industrializzazione del XIX e XX sec., e quella "di espulsione" portata dai programmi di aggiustamento strutturale nel terzo mondo odierno. Nel XIX sec., ovviamente, la teoria sociale classica ha messo l'accento sulle città industriali come Manchester, Berlino e Chicago per individuarvi un modello del futuro. Invece, le città cinesi, prodotto della maggiore rivoluzione urbano-industriale della storia, rientra ancora nello schema immaginato da Marx e Weber.
Molte città del terzo mondo hanno più in comune con la Dublino vittoriana o con Napoli, con le loro gigantesche concentrazioni di povertà e deindustrializzazione. La crescita urbana si è sganciata dall'industrializzazione, finanche dallo sviluppo economico per se.
I fattori di "espulsione" allontanano la popolazione dalle campagne in maniera indipendente dai fattori di "attrazione" quali l'offerta di lavoro nelle città assicurando la continuità dell'esplosione della popolazione urbana. Al di fuori della Cina, inoltre, le ex metropoli industriali del Sud, tra cui Mombai, Johannesburg, Sao Paolo e Buenos Aires, hanno sofferto massicce deindustrializzazione nel corso degli ultimi venti anni. ...per questo che la teoria della "modernizzazione" è crollata. Ciò ha conseguenze importanti sia per la teoria sia per l'azione sociale rivoluzionaria. In nessuna parte del canone marxista, neppure nelle pagine visionarie dei Grundisse, si può trovare anticipazione del proletariato informale odierno: una classe sociale globale costituita da almeno 2 miliardi di abitanti delle città, sconnessi radicalmente e permanentemente dall'economia formale mondiale.

Quali sono le caratteristiche comuni a quanto sta accadendo in Cina e, all'altro estremo in Africa, con l'urbanizzazione?
Prima di tutto, è importante sconfessare la credenza che le città siano cresciute in maniera lineare o unidirezionale.
Le megabaraccopoli di oggi in molti casi sono il risultato non della lenta e incrementale accumulazione di povertà, ma del "big bang" prodotto dalle politiche del debito e degli aggiustamenti strutturali della fine degli anni 70 e degli anni 80. Imponenti fenomeni di esodo dalle campagne si sono trovati di fronte ad una riduzione degli investimenti sociali nelle infrastrutture urbane e nei servizi pubblici.
I nuovi poveri urbani sono stati lasciati da soli ad improvvisarsi un rifugio e delle strategie di sopravvivenza. La loro ingegnosità è di fatto riuscita a spostare le montagne, ma solo per un periodo di tempo limitato.
Oggi, in tutto il mondo, è del tutto chiaro che la famosa frontiera tra la terra che può essere liberamente o quasi liberamente occupata si è chiusa, e lo spazio dell'economia informale è tragicamente sovrappopolato, con troppi poveri che competono in nicchie di sopravvivenza. Soprattutto in Africa questo "miracolo" di urbanizzazione autosostenuta rassomiglia oggi più alla lotta per la sopravvivenza in uno squallido campo di concentramento che a qualunque visione romanticizzata di eroici occupanti e micro-imprenditori.
La Cina, ovviamente, è una parziale eccezione, giacché lo stato continua a costruire milioni di alloggi decenti. Eppure l'offerta è in grande ritardo sulla domanda e la disuguaglianza è cresciuta di più nelle aree urbane cinesi che in qualunque altro luogo nell'ultimo decennio.
Le baraccopoli, per esempio, hanno fatto la loro ricomparsa in grande stile. La popolazione tradizionale della città è stata espulsa dai suoi vecchi quartieri, soprattutto a Pechino, per fare spazio a megaprogetti con finanziamenti stranieri e ad alloggi di lusso. Nel frattempo, i migranti rurali - una gigantesca classe perimetropolitana di almeno cento milioni di persone - si ammassa in sobborghi squallidi alla periferia delle città.
Sono, assieme alle povere famiglie contadine, le maggiori vittime della trasformazione capitalistica della Cina.

(...)

Alcuni considerano i tuoi libri come la prova di una nuova classe - descritta da Michael Hardt e Toni Negri come la moltitudine - che è superato, se non sussunto la classe operaia.

Non sono affatto d'accordo.
Rivisitiamo per un attimo il Manifesto comunista. Marx ed Engels sostenevano che il proletariato industriale fosse una classe rivoluzionaria per due ragioni fondamentali. Primo perché aveva una natura radicale - non aveva cioè interesse alcuno al mantenimento della proprietà privata su larga scale. E secondo perché la sua collocazione nella produzione industriale moderna le conferiva capacità straordinarie - che mai un gruppo subalterno aveva posseduto in precedenza - per l'auto-organizzazione, in campo scientifico e in campo culturale.
Anche il proletariato informale di oggi possiede questa natura radicale, ma è stato espulso dalla produzione sociale (almeno, in senso marxistico) e, in molti casi, dalla cultura tradizione e dalla solidarietà delle città. Costretto nei sobborghi fatiscenti, tagliati dal lavoro formale ed esiliati dal tradizionale spazio pubblico, questo proletariato va alla ricerca della fonte dell'unità e del potere sociale.
Inoltre, ciò che si vede in tutto il mondo, oggi, è un vasto processo di sperimentazione, in cui i giovani che vivono nelle slum - a volte in alleanza con la classe lavoratrice tradizionale, ma spesso no - cercano soluzioni radicali alla loro perifericità.
Dove esiste una qualche trasmissione o ereditarietà della tradizione della classe lavoratrice - come, diciamo, a El Alto, la versione slum di La Paz, a maggioranza Quechua, dove gli ex minatori si mettono spesso alla testa delle mobilitazioni - il risultato può essere la reinvenzione della sinistra.
La popolazione urbana cittadini sta scoprendo che gli dei del caos stanno dalla loro parte: che possono bloccare, spegnere ed assediare l'economia della città della classe media formale. La mobilitazione creativa e il sabotaggio con tecniche di guerriglia delle varie reti di servizi e forniture possono compensare la perdita di forza nel processo produttivo.
Ma troppo spesso l'economia informale va mano nella mano della lotta darwiniana che conduce alla divisione dei poveri e al controllo delle slum da parte dei boss e dagli suprematisti etnici.
Un esempio tragicamente famoso è Bombay. Un quarto di secolo fa, quando l'industria tessile era ancora molto forte, Bombay era celebrata per la sua forte sinistra e per i movimenti sindacali. Le differenze di setta (hindù contro musulmani o maratha contro tamil) erano in gran parte subordinate alla solidarietà sindacale.
Ma dopo la chiusura delle fabbriche, le slum sono state colonizzate dalla politica di setta - in particolare dal fanatico Shiv Sena, il partito maratha e hindù. Il risultato sono stati scontri, massacri e una divisione all'apparenza insanabile.
Credo, perciò, che le forze centrifughe all'interno della classe dei lavoratori informali sono nel complesso maggiori di quelle della competizione sul mercato del lavoro all'interno della classe tradizionale dei lavoratori industriali.
Ma l'intera storia del movimento dei lavoratori nel corso degli ultimi due secoli non è stata altro che il superamento di divisioni ipoteticamente insuperabili. Nel frattempo non serve a molto - come fanno Hardt e Negri - giocare a fare i prestigiatori con i concetti metafisici.
Il metodo di Marx consisteva nel cominciare con lo studio di un caso concreto prima di giungere ad un qualunque concetto generale, e chiaramente, ciò che occorre oggi è lo studio di casi concreti di politica urbana nella sua grande diversità - dai nuovi movimenti sociali rivoluzionari di Caracas agli inferni della concorrenza settaria a Karachi o Bagdad.
Ma sarebbe errato intraprendere questa ricerca comparativa senza riconoscere che molti conflitti apparentemente intrecciati e molte identità sono probabilmente solo transitori.
La "guerra di civiltà", che i neoimperialisti credono rappresenti la missione dell'uomo bianco oggigiorno, è ovviamente solo una illusione autoconsolatoria. Il vero nocciolo della storia contemporanea restano le contraddizioni strutturali di un capitalismo globale che non sa creare lavoro, alloggi o il futuro per la popolazione urbana terrestre in espansione.

giovedì, maggio 25, 2006

La General Motors ti paga la benzina...


Proprio così, se vivi negli Stati Uniti - anzi in Florida o California - e hai appena acquistato un SUV della General Motors la casa di Detroit ti aiuterà a pagare la benzina. Visto che il prezzo del petrolio continua a salire ed anche negli USA la benzina inizia a costare più dell'acqua del rubinetto, la GM ha pensato di intervenire con sovvenzioni che ribassino il prezzo di mercato della benzina che viene consumata a litri e litri dai giganteschi SUV. La notizia viene data dalla Reuters qui, ne riporto di seguito un brano:


"General Motors has announced plans to subsidize gasoline purchases in Florida and California in an effort to increase sales.
GM, which made the announcement Tuesday, said the program would base the subsidy on a maximum price of $1.99 per gallon of gasoline and would be open to new buyers of some of its 2006 and 2007 full-size sport utility vehicles and midsize cars in the two states. Vehicles eligible for the fuel rebate include the 2006 and 2007 Chevrolet Tahoe and Suburban, GMC Yukon and Yukon XL and the Hummer H2 and H3, the company said.
The gasoline credit would be based on a consumer's estimated monthly fuel use. Consumers would be credited for the difference between the average price per gallon of premium fuel and the $1.99 price, adjusted for the miles they drive, GM said.
(...)
For example, GM said, a Californian who buys a 2007 Chevrolet Tahoe and each month drives it 1,000 miles, or 1,600 kilometers, would receive an estimated monthly credit of $103.75. A Floridian who buys a 2006 Buick LaCrosse and drives the same distance would get about $60, GM said."

Quale commento si può fare? Forse vale la pena annotare che non è saggio fare sconti sul bere agli ubriachi...

martedì, maggio 23, 2006

M.A.R.C.U.S.E. e la "Miseria umana della pubblicità"


Potrebbe questa essere presa come una marketta. Infatti presento un libro che non ho ancora letto, anche se ci sono tutti i motivi per pensare che sarà una buona lettura. Direte che non è abbastanza, che potrei sbagliarmi. Infatti la vera ragione per cui presento questo libro è l'interesse verso il gruppo M.A.R.C.U.S.E. che lo ha redatto.
Questo gruppo francese di giovani sociologi, filosofi, psicologi e medici nasce con il movimento dei movimenti e si pone come obiettivo la critica della società consumistica, a partire dalla pubblicità che è l'obiettivo esplicito della critica di questo libro. Per chi mi conosce sa che "ovviamente" apprezzo un collettivo che si muove sulla strada della produzione di sapere critico, che si fa carico insomma di costruire delle rappresentazioni della realtà che siano utili strumenti per contrastare le rappresentazioni dominanti, che si lanci nella guerra dei codici e che ci possa indicare delle possibili vie di fuga.

Questa di seguito è la presentazione dell'edizione italiana del libro:

Da quando è comparsa, la pubblicità ha continuato a estendere il suo impero. Oggi si stima che siamo bombardati da circa 3.000 messaggi pubblicitari al giorno. Eppure il vero problema non è questo eccesso, che a quanto pare non ha ancora raggiunto il suo limite, ma il potere – economico, politico, culturale – conquistato dalla pubblicità, che è riuscita a trasformare lo spazio pubblico in un catalogo pubblicitario. Nata come strategia commerciale al servizio dell'economia, la pubblicità ha ampiamente travalicato l'ambito della propria competenza arrivando a plasmare un modello di vita. Essa è parte fondante del modo di vita occidentale, del suo consumismo forsennato, del suo saccheggio ambientale. E controlla settori chiave, come l'informazione.
Non è dunque un caso se proprio la pubblicità è stata presa di mira dai nuovi movimenti di contestazione radicale come il movimento anti-pub francese o l'americano adbuster: attaccando la pubblicità – e chi la fa – si attacca uno dei gangli vitali della società moderna.

Il libro è edito da Eleuthera e qui trovate l'indice.

giovedì, maggio 18, 2006

Lavoro senza persona

Ho trovato il breve intervento di Bifo su Materiali Resistenti, dopo averlo letto ho percepito che la visione proposta era come sempre positivamente eccedente rispetto all'impostazione - anche di certe aree politiche di movimento, così come della lettura critica "mainstream" della precarietà - che uno si aspetta nella concettualizzazione del lavoro precario. Per questo, che è uno dei pregi principali del pensiero di Bifo, ho deciso di postarlo sul blog, perchè rappresenta un tentativo di articolare complessivamente le coordinate spazio-temporali del lavoro precario, laddove forse non è corretto definirle semplicemente in negativo, ossia sottolineando l'impossibilità di distinguere tempo di lavoro e tempo di vita.
Ma anche perchè una dei passaggi di questo intervento - sottolineato qui sotto - mi pare ponga e apra una questione che nella mia testa non trova pace, ossia la debolezza della concettualizzazione e della problematizzazione non della precarietà del lavoro ma di quella che abbiamo definito come precarizzazione della vita. La definizione di quest'ultima è oggi una mera estensione della precarietà di lavoro, una lettura che a me pare soffrire del ricorso a griglie interpretative che non si distaccano definitivamente da quelle novecentesche, inutilizzabili quindi. E io penso - come mi sembra anche per Bifo - che sia essenziale mettere al centro delle nostre riflessioni la più generale "dissoluzione della persona come agente dell'azione produttiva e la frammentazione del tempo vissuto".


di Franco Berardi (Bifo)

La frammentazione del tempo presente che definiamo con il termine di precarizzazione si rovescia nell'implosione del futuro.
Come dice William Gibson in "Pattern recognition": "Non abbiamo futuro perché il nostro presente è troppo volatile. La sola possibilità che ci rimane è la gestione del rischio. La trottola degli scenari dell'attimo presente."
Il processo di lavoro sociale è innervato dalla rete digitale, che funziona come un superorganismo capace di sussumere e fluidificare frammenti di tempo umano astratto, uniformato, ricombinabile. La nozione marxiana di "lavoro astratto" definiva un processo di scorporazione dell'atto lavorativo dalla sua specifica utilità concreta e quindi dalla forma particolare di abilità: nel processo di astrazione l'erogazione di lavoro perde sempre più i suoi caratteri di individualità, di specificità e di concretezza. Nel passaggio dal sistema di macchine tradizionali al sistema della rete il processo di astrazione coinvolge la natura stessa del tempo umano che viene coinvolto. Al capitale non occorre più usufruire dell'intero tempo di vita di un operaio, gli occorrono frammenti isolati di tempo, istanti di attenzione e di operatività. Il lavoro necessario per far funzionare la rete non è più lavoro concentrato in una persona. E' una costellazione di istanti isolati nello spazio e frazionati nel tempo, ricombinati dalla rete, macchina fluida. Per poter essere incorporati dalla rete i frammenti di tempo lavorativo debbono essere resi compatibili, ridotti a un unico formato che renda possibile una generale interoperabilità.

Negli anni Settanta la recessione economica e la sostituzione di lavoro con macchine a controllo numerico provocarono la formazione di una vasta area di non garantiti. Da allora la questione della precarietà è divenuta centrale. Nei decenni successivi quel che allora appariva come una condizione marginale e temporanea è divenuta forma prevalente nei rapporti di lavoro. La precarietà non è più una caratteristica marginale e provvisoria, ma la forma generale del rapporto di lavoro in una sfera produttiva digitalizzata reticolare e ricombinante.
Con la parola precariato si intende comunemente l'area del lavoro in cui non sono (più) definibili delle regole fisse relative al rapporto di lavoro, al salario, alla durata della giornata lavorativa.

L'essenziale non è la precarizzazione del rapporto giuridico di lavoro, ma la dissoluzione della persona come agente dell'azione produttiva e la frammentazione del tempo vissuto.
Il ciberspazio della produzione globale é un'immensa distesa di tempo umano de-personalizzato, cellularizzato e ricombinabile. Nella produzione industriale il tempo di lavoro astratto era impersonato da un portatore fisico e giuridico, incorporato in un lavoratore in carne ed ossa, con un'identità anagrafica e politica. Nella sfera dell'info-lavoro non c'è più bisogno di comprare una persona, otto ore ore al giorno tutti i giorni. Il capitale non recluta più persone, ma compra pacchetti di tempo, separati dal loro portatore occasionale e intercambiabile.
Il tempo de-personalizzato diviene il vero agente del processo di valorizzazione, e il tempo de-personalizzato non ha diritti, non può rivendicare alcunché.

L'estensione del tempo è minuziosamente cellularizzata: cellule di tempo produttivo possono essere mobilitate in forma puntuale, casuale, frammentaria. La ricombinazione di questi frammenti è automaticamente realizzata dalla rete. Il telefono cellulare è lo strumento che rende possibile la connessione tra esigenze del semio-capitale e mobilitazione del lavoro vivo ciberspazializzato. Il trillo del cellulare chiama il lavoratore a riconnettere il suo tempo astratto al flusso reticolare.

Il capitale vuole essere assolutamente libero di spaziare in ogni angolo del mondo per scovare il frammento di tempo umano disponibile ad essere sfruttato per un salario più misero.
La persona è giuridicamente libera, ma il suo tempo è schiavo. Un tempo che gli appartiene, perché è a disposizione del ciberspazio produttivo ricombinante. Il tempo di lavoro è frattalizzato, cioè ridotto a frammenti minimi ricomponibili, e la frattalizzazione rende possibile per il capitale una costante ricerca delle condizioni di minimo salario. Schiavismo cellulare.

mercoledì, maggio 17, 2006

Persone ridotte a corpi

Pubblico qui sotto un'intervento dell'Associazione Antigone trovato nel sito www.ristretti.it, sito completamente sviluppato dai detenuti del carcere di Padova e delle carcerate della Giudecca. Una storia quella raccontata purtroppo come tante che quotidianamente chi opera in carcere si trova sotto agli occhi. Ogni tanto fare uscire queste storie dalle quattro maledette mura può servire a non lasciarci intorpidire dal non-detto generalizzato sulle carceri.

In questi giorni il nuovo Presidente della Camera ha richiamato il Parlamento ad una azione urgente per salvaguardare la situazione carceraria, oggi il nuovo governo ha messo come Guardasigilli l'on. Mastella... sinceramente non penso che questo aiuterà l'approvazione nelle Camere di un indulto e di un'amnistia, ma non resta che sperarci ancora una volta.


Associazione Antigone, 3 maggio 2006

G.M. ha vissuto per anni in una cella sporca e maleodorante del carcere romano di Rebibbia. Buttato sul letto, incapace quasi di ogni gesto, i rifiuti si ammassavano sul pavimento senza che nessuno avesse il compito di fare pulizia. Oggi G.M. è ufficialmente dichiarato invalido psichico al 100%, ma già da oltre 15 anni vive in un mondo vago che poco ha a che fare con il nostro. A chi si avvicinava alle sbarre della cella, faceva strani discorsi su Gesù, oppure restava in silenzio, gli occhi negli occhi, fino a quando l’operatore o il visitatore occasionale non decideva di andarsene. Non riconosceva le persone che aveva attorno. I medici gli davano grosse dosi di tranquillanti, che lui beveva avidamente. Ogni tanto prendeva qualche calcio dagli agenti, irritati da quel suo modo di fare assente. Magari finiva in ospedale per uno o due giorni.

Dopo qualche mese veniva rimesso sulla via Tiburtina, in mano un sacchetto nero della spazzatura con i pochi stracci con cui era entrato, camminava con il busto sporto in avanti in chissà quale direzione, dormiva dove capitava, qualche volta ritrovava la strada di casa, citofonava alla madre, saliva e si faceva fare una doccia, poi tornava per strada. In nottate di freddo, capitava che aprisse un’automobile qualsiasi e si mettesse a dormire nell’abitacolo. Gli davano qualche mese per furto d’auto. La macchina giudiziaria, rapida e implacabile dove è necessario, lo rimandava in poche ore nella cella zozza di Rebibbia. Passava qualche altro mese e il giro di giostra si ripeteva analogo. Talvolta a G.M. veniva affiancato un "piantone", un altro detenuto con il compito esplicito di stare vicino a chi non è autosufficiente. Non è previsto che sia l’istituzione a farlo.

Il piantone gli rubava quelle poche sigarette che qualche volontario di tanto in tanto gli andava portando, ma lo aiutava a lavarsi e ad andare in bagno. Qualche settimana fa, la madre e la sorella di G.M. si sono rivolte a noi in uno stato di disperazione. Il loro congiunto non era più a Rebibbia e non sapevano come fare a ottenere notizie. Ci siamo informati, e abbiamo saputo che a G.M. è stata applicata una misura di sicurezza di due anni. Ma quale società si sente insicura se G.M. cammina per strada? È stato trasferito in una colonia agricola in Sardegna.

Nessun famigliare sarà mai in grado di andarlo a trovare così lontano da casa. Invalido totale di mente, G.M. ha avuto la misura di sicurezza che si applica ai delinquenti abituali, professionali e per tendenza. Di tre mesi in tre mesi, ha effettivamente trascorso quasi un’intera vita nel carcere romano di Rebibbia. Nella più realistica delle ipotesi, nessuno psichiatra lo prenderà mai in cura se non per riempirlo di tranquillanti, uscirà dal ricordo dei pochi operatori che ve lo hanno mai fatto entrare, e vivrà gli anni che gli restano gettato come una cosa sulla branda di una cella. Come Vito De Rosa, che ha trascorso 51 anni sottoposto a una misura di sicurezza in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario prima che per puro caso un Consigliere Regionale e Antigone si accorgessero di lui e mettessero in moto il meccanismo per fargli avere la grazia. E prima che, graziato, trascorresse due miseri anni e mezzo in una comunità, ridotto ormai a corpo e niente più, e lì questo corpo morisse di una normale malattia, esattamente un mese fa.

lunedì, maggio 15, 2006

La Hallyburton e la SurvivaBalls

La Hullyburton nell'ultimo decennio si è costruita una fama internazionale, giusto per ricordarne le gesta fondamentali diciamo che è una delle principali aziende mondiali nella produzione di energia da fonti fossili, che da molti è considerata l'esempio per eccellenza di azienda teocon, in primo luogo per come ha spalleggiato e sponsorizzato l'invasione dell'Iraq da parte degli Stati Uniti. Ma non solo in Iraq - e in quella che chiamano "ricostruzione" - è impegnata nel gonfiare i suoi profitti la Hallyburton, infatti vale la pena ricordare il suo tempismo nell'operare nell'area spazzolata dall'uragano Katrina, anche qui pronta a rimettere in piedi infrastrutture industriali e per la mobilità.
La sua presenza nell'area di New Orleans potrebbe rappresentare la scintilla che ha portato alla creazione dell'ultima idea della casa di Houston, oramai impossibilitata dal dissimulare le preoccupazioni derivanti dagli stravolgimenti climatici globali in corso che in buona parte la sua attività industriale induce.
L'invenzione, denominata appunto SurvivaBalls e destinata al management della Hallyburton o a chi se la potrà permettere, consiste in una tuta ad alto contenuto tecnologico che permetterà a chi vi sta all'interno di sopravvivere in autosufficienza mentre tutto il mondo attorno se ne va alla sfascio. Così è presentata: "The SurvivaBall is designed to protect the corporate manager no matter what Mother Nature throws his or her way," dice Fred Wolf, un rappresentante della Halliburton, "this technology is the only rational response to abrupt climate change".
Come si può vedere dalla foto a lato la tuta si indossa normalmente e viene poi attivata (gonfiata) premendo un tasto, quindi si è pronti a catturare prede animali, produrre energia dalla forza del vento, ma soprattutto immunizzarsi dagli eventi catastrofici che si scateneranno intorno a noi, fino a dare la possibilità ai managers - nei momenti di maggiore difficoltà - di aggregarsi fra più SurvivaBall... cliccando qui potete vedere la brochure del prodotto ed alcuni esempi d'uso.

Dunque l'azienda fra le più responsabili dei mutamenti climatici in corso deve per la prima volta ammettere implicitamente la dimensione e la gravità del problema, proponendo questo prodotto che - perchè no? - potrebbe diventare poi un capo di alta moda fra tutti gli abitanti della terra (abbienti)...
...ma per fortuna si tratta d'altro, di una perfetta operazione di detournament - ossia quelle forme di decontestualizzazione e trasformazione del senso - operata dagli Yes Men, mirabile per efficacia ed arguzia.

venerdì, maggio 12, 2006

I campi elettromagnetici e la nostra salute

Negli ultimi anni si è via via vista crescere l'attenzione sui possibili effetti dannosi delle onde elettromagnetiche sul nostro organismo, in particolare in conseguenza all'uso sempre più massiccio di apparecchiature elettroniche che utilizzano, come i cellulari, delle fraquenze di trasmissione delle onde elettromagnetiche di cui sappiamo ben poco per quanto riguarda l'interazione con i nostri corpi. Nel numero 4 (aprile 2006) de L'Ecologist - edizione italiana - questo problema viene affrontato da Ernesto Burgio e Marinella Correggia, nell'articolo che presentano infatti si cerca di fare un punto del livello conoscitivo attuale su questa problematica. Inoltre gli autori riportano una breve lista di consigli su un uso attento soprattutto del cellulare: consigli utili ma non certo semplici da mettere in pratica per chi oramai non riesce più a staccarsi dal suo cellulare.

L'articolo si può leggere per intero su
information guerrilla.

giovedì, maggio 11, 2006

Il cervellone di Libero

Ammettiamolo, in fondo nessuno di noi è stato mai proprio convinto che gli articoli pubblicati su Libero fossero scritti da esseri umani. Come è immaginabile una redazione fatta da giornalisti in carne ed ossa che sfornano quotidianamente articoli tanto esileranti quanto sfacciatamente da "propaganda"? Ed ecco che ora il mistero viene risolto, dandoci a tutti un pò ragione: dietro a Libero ci sarebbe un "cervellone elettronico" - in questo caso "cervellino"... - che redige automaticamente gli articoli. Non ci si crede? Ecco allora la prova, la segnalazione che questo software si trova qui ed è possibile provarlo. Con la sua bella interfaccia si deve solo selezionare la categoria dei protagonisti della notizia, quindi indicare alcune variabili... ed è immediatamente visibile e pronto alla pubblicazione l'articolo...
Fantastico, provare per credere ;-))

mercoledì, maggio 10, 2006

Tramanti

Girovagando o, per far figo, surfando nella Rete sono capitato su un ottimo sito - tramanti.it - quindi vorrei presentarlo e invitarvi - se la materia è di vostro interesse - a fargli visita. Io ci sono arrivato facendo una ricerca su google con i termini identità+queer. Il sito rappresenta una parte di un progetto di tesi che si propone "di indagare le relazioni fra la teoria femminista e le nuove tecnologie". All'interno del sito ci sono quindi materiali prettamente legati a questa relazione, ma anche altri materiali generalmente riferiti all'evoluzione del pensiero femminista, tutti facilmente fruibili anche per la forma sintetica degli articoli. Ovviamente una parte del sito si occupa della teoria queer e riporta anche la sintesi capitolo per capitolo di alcuni libri o articoli importanti per le recenti evoluzioni del pensiero femminista. In fine sul sito è presente un forum di discussione. Il raggiungimento dell'obiettivo di questo progetto si poggia più sulla partecipazione delle donne, ma questo non va certamente inteso come esclusione ma come necessaria premessa per l'azione politica implicita in questo progetto: "Il nostro obiettivo è, da un lato, offrire un piccolo contributo alla tessitura della rete di donne che piano sta crescendo; dall'altro, osservare questa tela e cercare di capirne trame e orditi e quali mani la stiano tessendo."

martedì, maggio 09, 2006

Bifo dice:"tifo Foti"



A pochi giorni dalle elezioni amministrative di Milano è giunto ed è stato pubblicato su sovvertiamomilano.org l'appello di Franco Berardi Bifo che, pur da non milanese, spiega perchè vale la pena - per i milanesi - votare Alex Foti...
Io sono un altro non milanese che però, se potesse, darebbe certo la sua fiducia ad Alex, qui sotto però pubblico il messaggio di sostegno di Bifo perchè spiega bene quali sono i punti di forza non solo e semplicemente di questa candidatura, ma soprattutto del progetto politico culturale che vi sottostà, che è quello rappresentato poi dalla lista neurogreen...


"Se fossi cittadino milanese voterei per Alex Foti, ma siccome non lo sono provo a spiegare perché la sua candidatura ha un interesse che va ben al di là della dimensione cittadina.Conosco poco Alex. L'ho incontrato forse tre volte, e ogni volta in situazioni pubbliche. Ma ho letto i suoi interventi nelle diverse liste in cui abbiamo coabitato, e trovo enormemente interessante il suo approccio culturale all'agire politicoIn questi anni Alex ha rappresentato la ricerca dell'orizzonte europeo di ogni conflitto e di ogni proposta: non esiste più alcun margine per l'innovazione sociale a livello nazionale, e il caso italiano lo dimostrerà probabilmente nei prossimi mesi. I movimenti precari dell'ultimo anno non hanno la possibilità di incidere sul piano nazionale. Si può vincere una battaglia, come è accaduto in Francia, ma se si vuole rovesciare il ricatto del precariato e della competizione interna alla forza lavoro occorre avviare un processo rivolto verso il reddito europeo di cittadinanza, e la garanzia di un minimo salariale europeo. Dal momento che il capitale usa le divisioni interne alla forza lavoro europea per aumentare lo sfruttamento, è urgente la costruzione di una soggettività europea del lavoro, e di un interlocutore politico europeo.
Dobbiamo abbandonare l'illusione di poter contrattare con l'esangue ceto politico italiano le nuove condizioni legislative per il lavoro precario (proviamo pure ma sarà fatica sprecata). L'interlocutore non sta a Roma ma a Bruxelles. Ma al momento Bruxelles non esiste. E il nostro quadro di riferimento non può essere la (bistrattata e onorevole, ma fuori corso) costituzione italiana, bensì la (oggi inesistente) costituzione europea, cancellata dai referendum francese e olandese, e messa in sospensione a tempo indeterminato da un ceto politicoeuropeo che non è all'altezza del problema. Un ceto politico che sia all'altezza di questo problema costituzionale postmoderno è ciò che occorre oggi, e il movimento precario può generarlo. La candidatura di Alex va in questa direzione.
In secondo luogo nello stile di Alex è notevole la volontà (qualche volta stizzosa ma lucida) di abbandonare l'orizzonte simbolico novecentesco, e l'ideologia storico-dialettica. L'eredità storicista e dialettica continua ad agire nell'inconscio politico del nostro tempo come un fattore (insieme) di rassicurazione e di inganno, e la ricerca di una dimensione post-dialettica e multidimensionale dell'agire politico è implicita nello stile di Alex.Il terzo aspetto che mi interessa sottolineare è la compresenza di una consapevolezza catastrofica e di un gesto di libertà radicale dalla previsione distopica. E' la novità del manifesto neurogreen del settembre 2004: sviluppare contemporaneamente due prospettive fra loro contraddittorie. La distopia sta ingoiando il tempo che viene, è bene saperlo. Ma questa visione lucida di una devastazione irreversibile non paralizza l'azione, né distrugge l'energia creativa e solidale.
Com'è possibile questa compresenza contraddittoria di previsione catastrofica e prefigurazione autonoma (dalla previsione)? Come si può verificare questo mistero mistico di un movimento che prevede un futuro di morte e costruisce un futuro di vita? Comunità autonome di secessione dalla tendenza prevalente inevitabile? Cocciuto perseguimento di prospettive che la ragione esclude dal campo del possibile eppure vanno coltivate in nome dell'imprevisto? Consapevolezza del fatto che la logica e la storia non coincidono?La risposta la stiamo cercando, e la candidatura di Alex è importante anche per questo: nella città in cui l'offensiva postmoderna del capitale ha prodotto gli effetti più devastanti deve avere spazio e visibilità un nuovo quadro politico capace di ragionare in termini europei e in termini post-novecenteschi.Per questo sostengo la candidatura di Alex Foti al consiglio comunale di Milano."
Bifo

lunedì, maggio 08, 2006

Carlo Bordone & Gianluca Testani: OGGI HO SALVATO IL MONDO. CANZONI DI PROTESTA 1990-2005

di Wu Ming 1 (da Carmillaonline)

canzoniprotesta.jpgPersino Giovanna Marini, che certo di "canzoni di protesta" se ne intende, confessa di non ascoltare mai le parole: "E' una cosa che mi accade sempre: le parole non le sento, dopo molto incomincio a ripensarle, e solo in quell'istante escono dalla loro dimensione sonora per acquisire finalmente un significato preciso e non esclusivamente fonetico."
Le migliori canzoni di protesta in ambito "rock" e "pop" (nelle accezioni più vaste possibili, campi semantici che nessuno è mai riuscito a delimitare) rimangono politiche anche prescindendo dal testo. Noi italiani lo capiamo benissimo coi testi in inglese: di solito, nemmeno chi capisce e parla quella lingua ex-germanica ascolta subito il testo. Arrivano prima l'armonia, la melodia, la timbrica, l'atmosfera del pezzo, la grana della voce, l'attitudine di chi suona, canta, si presenta sul palco o sullo schermo. Il testo è puro suono, di primo acchito: fa parte di un fumigante calderone da sabba. E questo capita anche coi testi in italiano. Non sapremmo spiegare come, ma spesso capiamo che un pezzo è "di protesta" ben prima di ascoltarne e capirne le parole. E' una questione del mezzo che è già il messaggio, e del contesto che è il vero testo.
Prendiamo l'hardcore punk, dagli anni Ottanta in avanti. Prendiamo soprattutto l'hardcore punk europeo, e in particolare quello italiano: testi vomitati sul microfono, incomprensibili se non li leggi, parole sommerse dal frastuono, la batteria che corre in 2/4 e sembra un frullatore con dentro una moneta, e il "cantante" più che altro rantola, geme, grugnisce. Cionondimeno, l'hardcore punk è considerato l'epitome della musica politica, legata all'anarchismo militante, ai movimenti animalisti e vegan, al mondo delle autoproduzioni etc.

Lo stesso discorso vale per il folk americano da Woody Guthrie allo Springsteen acustico, passando per Pete Seeger e il primo Dylan. Anche non ascoltando o non conoscendo i testi, noi sappiamo che quel timbro nasale, quei due accordi mezzi sgangherati, quell'atmosfera dolente, sono "protesta". E' una questione di orientamento culturale.
Esiste invece una canzone di protesta che, senza il testo, sarebbe una canzone come tutte le altre. Ecco, quella non è musica di protesta: è musica con un testo di protesta. C'è una bella differenza. Se il mezzo è il messaggio, e se il contesto è il vero testo, allora il testo non caratterizza proprio niente, se mezzo e contesto vanno da un'altra parte. Metti caso che Gigi D'Alessio fa un testo contro la guerra: non se ne accorge nessuno, perché quella non è musica di protesta. A meno che l'operazione non sia parodica: Frank Zappa e le Mothers of Invention riempivano gli album di canzoncine doo-woop tipo Platters, con testi come: "Qual è la parte più brutta del tuo corpo? / Alcuni dicono il naso / Altri le dita dei piedi / Ma io penso sia la tua mente". Oppure deve prodursi un corto circuito, un effetto straniante: Burt Bacharach che incide canzoni contro Bush, per esempio.
Tutto questo per anticipare che, fra le canzoni di protesta raccolte da Gianluca Testani e Carlo Bordone nel loro libro Oggi ho salvato il mondo. Canzoni di protesta 1990-2005 (Arcana Editrice), si passano in rassegna operazioni e progetti molto diversi tra loro: si va dall'approccio "totale" al binomio musica/politica (con artisti come Fugazi, International Noise Conspiracy, Michael Franti, System of a Down, che perseguono la sintesi coerente tra mezzo, messaggio e contesto) alle "furbate" vere e proprie, con artisti che, in via del tutto occasionale, hanno appiccicato un contenuto "sociale" a canzoncine pop altrimenti anomiche e anemiche.
In mezzo c'è un po' di tutto, comprese canzoni la cui presenza nel libro è, a tutta prima, sconcertante, perché nessuno le avrebbe mai dette "di protesta". E qui viene il bello: l'operazione di Bordone e Testani è tanto più interessante quanto più ambigua è la canzone esaminata. Gli autori ne forzano al massimo la possibile interpretazione politica, e così facendo producono dissonanze di senso, spiazzano il lettore, gli mettono imprecisati insetti nell'orecchio. Un caso su tutti: One degli U2 (stavo per scrivere "di Johnny Cash", tanto è toccante la cover dell'Uomo in nero). Tutti noi la credevamo una sconfortata lamentela sull'amore che finisce, spento dalla routine, e sulla necessità di tirare avanti con buona volontà etc. Puro Bono insomma. Anzi: b(u)onismo. Secondo Bordone e Testani, invece, la canzone parla della riunificazione tedesca dopo il crollo del Muro.
La parte che più mi ha colpito, però, è quando i due autori infilano di soppiatto le "canzoni" di una band canadese che fa solo pezzi strumentali, i God Speed You! Black Emperor (c'è una querelle su dove vada messo il punto esclamativo). Ecco, qui si torna al discorso iniziale: i GSY!BE fanno musica politica perché noi la percepiamo come tale, affidandoci solo all'intuizione (sentiamo una musica tesa, cupa, conflittuale), al paratesto (i titoli dei brani e le scarne note di copertina) e al contesto (la band proviene dal giro delle case occupate di Montreal). Difatti, Bordone e Testani non riportano lyrics (come potrebbero?), ma si affidano a scampoli, indizi, come il fatto che "09-15-00" (titolo di un brano del gruppo) sia la data d'inizio della seconda Intifada.
In appendice, vengono prese in esame anche canzoni di artisti italiani, dai Subsonica a Frankie Hi Nrg, da Daniele Silvestri a Giorgio Gaber. Molto puntuale la critica all'operazione Il mio nome è mai più del trio Liga-Jova-Pelù, benché a mio avviso vi sia stato fin troppo accanimento contro il terzetto, allora e negli anni a seguire. Nel 1999 la protesta contro la guerra in Kosovo fu sporadica, indecisa e disorganizzata. Il fatto che ad appoggiare la guerra e co-gestirla da questa sponda dell'Adriatico fosse un governo di centrosinistra "ammortizzò" il dibattito e disinnescò preventivamente la possibilità di vere mobilitazioni trasversali e di massa. In quel contesto, fare un pezzo contro la guerra era più difficile che farla quattro anni dopo. Quel poco che ci fu era già qualcosa, e almeno andarono soldi a Emergency.
In definitiva, il libro merita, fa riflettere, a volte sorprende, e sempre intrattiene. Bordone e Testani hanno trovato una formula che, con gli adattamenti del caso, può consentire loro altre esplorazioni. Suggerisco, in tutta serietà: canzoni sull'identità nazionale italiana da Cutugno a oggi; canzoni sul rapporto America-Europa (ne esistono svariate, la prima che mi viene in mente è An Englishman in New York di Sting); canzoni che parlano solo di sé stesse (da Il nostro primo 45 giri dei Powerillusi a più o meno 3/4 del repertorio hip hop internazionale).

venerdì, maggio 05, 2006

Trentino. Controllati zaini in licei del Trentino prima delle lezioni

Dalle news di fuoriluogo:

Ottocento giovani studenti degli istituti scolastici superiori di Tione, nel Trentino occidentale, sono stati controllati lo scorso 29 aprile prima delle lezioni, nel corso di una operazione antidroga effettuata dai carabinieri della stazione di Tione di Trento, coadiuvati dal nucleo operativo di Riva del Garda e di unita' cinofile antidroga del nucleo carabinieri di Laives. Qui confluiscono ragazzi provenienti dall'intero comprensorio delle valli Giudicarie, del Chiese e della Rendena. Non sono stati trovati stupefacenti. Sono stati sottoposti a controllo ed ispezione zainetti ed effetti personali, sono stati cioe' fatti annusare ai cani. Le verifiche sono state effettuate nei pressi degli edifici scolastici superiori. La presenza dei carabinieri ed i controlli preventivi antidroga proseguiranno anche in futuro presso altri istituti scolastici d'intesa con i dirigenti di istituto, per sensibilizzare i giovani sul problema droga.

Questa notizia mi era sfuggita, forse che essendosi conclusa l'operazione delle forze del disordine con un buco nell'acqua nemmeno i quotidianacci trentini hanno avuto il coraggio di pubblicarla? Dubito molto, comunque...Sembra che in Trentino continuino i tentativi di cavalcare demagocicamente l'affaire droghe, l'anno scorso con la proposta di sottoporre al tampone gli studenti delle scuole medie superiori del capoluogo trentino, oggi con queste operazioni nelle periferiche valli... intanto sui giornali si alimenta un clima di panico sull'argomento, in questi giorni infatti riempie le pagine la notizia del sequestro di MDMA, sostanza nota da mezzo secolo che è presentata sui giornali come una pericolosa novità. Se non fosse sufficiente si aggiunge a questo teatrino dell'assurdo la "notizia" che l'MDMA sequestrato potesse essere usato per produrre la "droga dello stupro" o Ghb (acido gamma-idrossibutirrico). Il simpatico nome deriva dagli effetti di questa sostanza facilmente solubile in bevande che produce stordimento ed altri effetti simili... cosa centra con lo stupro? Niente, però come sempre è bene far aleggiare fra gli sprovveduti lettori dei quotidiani una realtà ancora più fosca di quella che ci circonda... nessuno si sogna invece di dire che una sostanza molto simile si può tranquillamente trovare in farmacia, in un prodotto - il Rohypnol - che se disciolto in bevande alcoliche può avere gli stessi effetti...


"La superficialità e la disinformazione con cui purtroppo i mass-media trattano le notizie sulle sostanze psicotrope sono ovviamente tutte da condannare quale fonte di ingiustificato allarme sociale, disagio e limitazione della libertà. Nel caso del Ghb tale atteggiamento è ancor più deplorevole in quanto rischia di compromettere i promettenti sviluppi del suo studio e della sua applicazione in medicina. Come tutte le sostanze ad azione gratificante, il Ghb è certamente una molecola da maneggiare con cura, ma sarebbe sciocco privarci per questo delle sue evidenti proprietà per l’uso clinico e terapeutico." [continua qui].


Ecco cosa è verosimilmente il Ghp: "Ultimo tipo di stupefacente di sintesi, ennesimo derivato amfetaminico, versione rinnovata dell’ecstasy, nuova droga sintetica, pericoloso steroide anabolizzante, droga da stupro. Sono solo alcuni degli inesatti, fantasiosi e fuorvianti appellativi usati recentemente dalla stampa per indicare l’acido gamma-idrossibutirrico, o Ghb: una molecola di natura endogena, studiata ed usata in medicina da circa quarant’anni, che ultimamente sta avendo una qualche diffusione come sostanza d’abuso soprattutto negli Usa."

giovedì, maggio 04, 2006

iProd


"Probabilmente la coalizione guidata da Romano Prodi avrebbe ottenuto molti più voti se il suo leader avesse cambiato il proprio nome in iProd."

Malcolm Dove

The Guardian

EFFELUNGA IN LOTTA!

Alla MayDayParade di pochi giorni fa erano presenti anche i lavoratori della Feltrinelli/Mediastore, questo il comunicato che ha preceduto la loro incursione nella MayDay:

Siamo lieti di comunicare che Lunedì 1 maggio, durante il corteo della Mayday 2006 a Milano, verrà presentata in anteprima nazionale la nuova campagna pubblicitaria Effelunga. Dal 1 maggio tutti gli interessati alla diffusione del materiale pubblicitario nelle proprie città potranno richiedere i materiali all'indirizzo del blog blogeffelunga@hotmail.it L'ufficio marketing intende ringraziare tutti i collaboratori interni e esterni che con il loro impegno e la loro passione hanno contribuito alla realizzazione di questa campagna. Un ringraziamento particolare ad un uomo che con la sua chiarezza di idee e la sua lungimiranza, prendendoci per mano e portandoci fuori dalle caverne in cui risiedevamo, ci ha dischiuso le porte dell'informatica mostrandoci le sue infinite possibilità: il dottor Stefano Sardo.

Ufficio Marketing Effelunga in Agitazione permanente fino al nuovo contratto integrativo
Diritti uguali per tutte e tutti!!!

Per saperne di più e capire cosa chiedono e cosa contestano vi suggerisco questo articolo pubblicato su Carmillaonline ieri e intitolato "Fra gli anelli della catena. Storia in divenire di un rinnovo contrattuale".

Non mi resta che segnalarvi il blog di questa fetta di precari - e non solo - che alimentano la cospirazione europrecaria... tenetevi aggiornati!

http://effelunga.blogspot.com/

RAPPRESENTANZA E NO

Questa di seguito è una mail di mazzetta girata sulla mailing-list Neurogreen, è secondo me interessante perchè prova ad affrontare uno dei nodi irrisolti che chi prova a fare politica di "movimento" - ma non solo - incontra e su cui è difficile elaborare una sintesi che ne permetta il superamento... parte da una querelle tra Alex Foti - candidato per i Verdi come consigliere comunale a Milano - e la crew di ChainWorkers.

L'idea del NO alla rappresentanza non è di oggi, come la recente polemica non è che
la riproduzione di altre polemiche che abbiamo già visto. Il no alla rappresentanza ha motivazioni che ritengo nobili e condivisibili che non starò a ripetere ed è da tempo parte della "nostra" ( nostra nel senso di buona parte dei movimenti) cultura e del nostro agire politico, ma è un NO che imho va gestito riempiendolo di senso. Il no alla rappresentanza nasce dalla constatazione che la politica così come è strutturata e vissuta chiude la porta alla partecipazione e conduce alla creazione di un ceto politico, una classe, autoreferenziale e inevitabilmente destinato a divenire una elite che si interfaccia con altre elite, svuotando di senso non solo la parola democrazia, ma anche la stessa cittadinanza, intesa non più come diritto attivo a definire le politiche di una comunità (qualsiasi), ma come mero diritto/dovere all'elettorato attivo, che poi risulta per nulla attivo. Il NO alla rappresentanza è lo strumento che dovrebbe servire a contrastare quella win-win solution che permette al ceto politico di restare in sella anche quando proponga al voto alternative che non sono tali o l'assoluto conformismo ad un modello di sviluppo o a una politica in modo da frustrare l'esigenza dell'esistenza di proposte politiche altre. Per questo molti di "noi" da tempo agiscono "a titolo personale" (do you remember?) o al massimo a titolo di gruppi che rifiutano di identificarsi in un rappresentante. In questa scia molti hanno fatto la loro carriera (professionale) in splendida solitudine, e "a titolo personale" sono da anni presenti nelle istituzioni (anche in magistratura, anche se non si nota molto) focalizzando la loro azione micropolitica su un'attività abbastanza oscura, non rivendicata come tale, ma che esiste. Quest* solitar** esistono, anche se ovviamente pesano meno di quanto potrebbero, mancando di coordinamento e schivando loro per prim* il riconoscimento. La cospirazione (precaria e no) conta molti cospiratori, dei quali moltissimi si riconoscono nel rifiuto della rappresentanza. I limiti di questo NO diventano evidenti quando il NO diventa pretesto, o occasione, o accidente per tirare linee di demarcazione invalicabili, che frantumano il fronte degli "altri mondi possibili" molto al di là del ragionevole e di qualsiasi opportunità; scatenando il frazionismo all'italiana che è lo stesso che devasta la sinistra istituzionale, ma che non contagia la destra che non ha (in toto) altre aspirazioni che la gestione del potere e la creazione di reti amicali funzionali al suo esercizio e alla sua conservazione.
Sul fronte avverso alla destra questa unità nel potere dilaga, ma trova significative resistenze in parti della sinistra che non hanno nessun interesse alla conquista di un potere che viene sentito inutile quando sia fine a se stesso. Il dramma è che il rifiuto del potere diventa autolesionista quando sia inteso in senso assoluto o come dogma, perchè è ovvio che se quelli "nostri" lo rifiutano, il vuoto sarà riempito da altri. E con il potere gli altri si impadroniscono anche delle chiavi della comunicazione e dell'immaginario, frustrando anche i ciclopici sforzi per far conoscere la possibilità dell'esistenza di altri mondi possibili, che tanti di noi profondono da anni con risultati alterni, ma dalla somma indubbiamente inferiore alla necessità e alle energie profuse. Tutto questo pippone per dire che dovremmo trovare un sentire condiviso che ci permetta -almeno- di non aggredire quelle persone che sentiamo "nostre" o che provengono dagli ambiti "nostri" qualora decidano di lanciarsi senza rete e di provare a farsi "rappresentanti".
Non mi riferisco al caso di lx/CW, ma vale anche per questo caso, come vale per le esperienze tentate da parte dell'ex disobbedienza. Mi viene in mente il caso della Panzino, che pur gestito malissimo ha sicuramente raccolto più merda di quanto meritasse (non parlo di critiche, ma di merda vera), anche se non era chiaramente alla presa di alcun potere. Forse ci sfugge che questi esperimenti (anche la candidatura di lx, che in definitiva è al "posto" modestissimo di eletto in un comune) hanno un respiro molto limitato; molti tendono a credere che la "purezza" di chi si dichiara "altro" venga irrimediabilmente compromessa una volta entrati nelle istituzioni, altri temono che non avendo i "movimenti" alcun controllo su quanti provino la scalata, questi siano destinati inevitabilmente a essere trascinati nel gorgo della politica autoreferenziale. Timori che non possono certo essere fugati lasciando solo chi ci prova o facendogli una guerra che neanche a Berlusconi... Il nostro modo di fare politica produce errori, come li produce la politica istituzionale,perchè siamo umani e quindi destinati a sbagliare. Lo stile della politica "dal basso" nel nostro paese (per altri non saprei esprimermi)però si risolve nell'assoluta intransigenza verso gli "errori", da parte di tutt* (in contrasto con lo stile della politica istituzionale, nella quale per quanti errori uno faccia finisce al 99% a tarallucci e vino e a scurdammoce o' passato). Questa intransigenza (imho eccessiva, come tutte le posizioni vicine al dogmatismo) porta inevitabilmente alla progressiva frammentazione, per non parlare della creazione dei conflitti assurdi che oltre ad essere sommamente autolesionisti a volte sconfinano sinceramente nel ridicolo. Imho sarebbe il caso di ragionare su questo meccanismo, e di cercare un momento di sintesi capace di contrastare il frazionismo, o quel meccanismo per il quale la politica "altra" sembra spesso una gara tra chi è più puro (che poi sembra quella a chi ce l'ha più lungo) e si risolve in un intraconflitto (non meno autoreferenziale di quelli della politica istituzionale), che depotenzia la nostra capacità di generare quel conflitto (lotta) verso l'esterno che tutt* riteniamo ineludibile passaggio al cambiamento. Un momento di sintesi che non deve essere una unitarietà acritica, ma la condivisione di modalità che rifiutino -al meno- l'aggressione selvaggia inter nos, e che consentano una multiformità di approcci senza che le differenze (sante differenze) diventino invalicabili muri oltre i quali facciamo fatica a ragionare e a condividere il condivisibile. Un momento che -al meno- ci permetta di evitare le indecenze e la stupidità simili a quelle che hanno trionfato dopo l'11 marzo; quando a un'azione obbiettivamente sbagliata è seguita una risposta assolutamente stonata, poco intelligente (non mi riferisco alle critiche argomentate) e inefficace, che come in altri casi ha messo in enormi difficoltà gente che avrà anche sbagliato, ma che sicuramente non merita la risposta repressiva che ne è seguita, visto che nel nostro paese una carcerazione del genere per fatti del genere è incongruente con la stessa realtà giuridica. Imho sarebbe il caso che in occasione di "errori" percepiti come tali, ci abituassimo a discuterne senza cogliere l'occasione per bastonare quell* che magari ci stanno antipatici o che non sentiamo "vicini", e sarebbe il caso introdurre il costume che chi quegli "errori" li commette, sia pronto a discuterne apertamente senza sentirsi nemico, o senza considerare nemico che argomenta critiche legittime. Allo stesso modo il rifiuto della rappresentanza non può essere un dogma marmoreo per il quale se un* accatta o mira a un posto in qualche istituzione (quartiere, comune, parlamento) diventa automaticamente un infame o un "venduto" a prescindere, anche se in perfetta buona fede, o se sull'onda di una convinzione personale, è più interessat* a portare i temi "sovversivi" nel campo avverso che la "potere". Penso che sia giusto concedere a chi tenta la via istituzionale almeno il beneficio del dubbio, o la possibilità di essere giudicato per quello che farà e non per "dove" ha deciso di provare a farlo. Questo imho taglierebbe le gambe a tanta fuffa, e a tanti fuffettari e infamatori di professione, che obiettivamente sono solo un peso; come taglierebbe le gambe a molti provocatori professionali che abbiamo addosso peggio di un cancro (e mi vengono in mente certe infamate a Blicero su Indy ieri, la merda tirata a Farina o ad altri in passato...cose che penso abbiate tutt* presenti); senza dimenticare che potrebbe alzare di parecchio la "qualità" e l'efficacia del nostro agire. Cerchiamo di portarci reciprocamente maggiore rispetto, cerchiamo di introdurre un diverso tipo di relazione, cerchiamo di ragionare sugli errori e sulle scelte senza trasformarli in pretesti per scomuniche ridicole e senza reagire alle critiche chiudendoci nei rispettivi autismi, appartenenze o ghetti; la diversità è una ricchezza quando è accettata, elaborate e diventa una somma di diversità capace di assumere una configurazione utile, diversamente si trasforma presto in uno strumento di emerginazione che porta all'isolamento. Che è il contrario della condivisione, del concetto di rete come di quello di "sciame", ed è IL male per chi come noi non abbia altre ricchezze che il confronto e la solidarietà nella lotta.


mercoledì, maggio 03, 2006

LA MAY DAY DEL GIGANTE ADDORMENTATO da limE (Atlanta)

Il primo maggio 2006 sara' ricordato dagli americani? Era un normale giorno lavorativo, come tanti. C'era una sola differenza: alcune migliaia di Latinos, e immigrati da altre terre, anziche' presentarsi al lavoro sono scesi in piazza a protestare. Oltre a scioperare, hanno anche scelto di boycottare: non hanno speso un dime in questo May Day. Hanno posto in atto due 'pratiche' che hanno una grande storia nella democrazia made in Usa: to go on strike and boycott. Da troppi anni tuttavia queste attivita' sono state 'puritanizzate'. Con i sindacati sotto il dieci per cento ed una crescita spropositata del cosiddetto Criminal Justice System, le voci dissenzienti appaiono poco. Per lo meno in pubblico. Ecco cosa succede: di fronte al progetto di legge HR 4437 (cd. Sensenbrenner) approvato della Camera dei Rappresentanti si scaglia la voce degli immigrati irregolari, consci che se anche al Senato l'andazzo seguisse le spinte ultraconservatrici di Mr. Tancredo o Mr. Specter, per loro sarebbero guai. Il progetto allo stato dell'arte segue le follie dei nazionalisti di casa nostra. Erigere barriere, investire un sacco di soldi nella sicurezza di frontiera, classificare tra i reati gravi quello di camminare sul suolo senza il documento in regola, ecc. Insomma la solita difesa. I soliti argomenti. Il lavoro rubato, la competizione falsata, la criminalita', le spese sociali...Logico no? Nessuna menzione per lo sfruttamento del lavoro nero, unico reato ad oggi perseguibile. Una sola 'finestra': un difficile processo di regolarizzazione. Bush vorrebbe l'inserimento nel progetto del programma 'trabajadores huespedes', collegando la condizione di legalita' alla situazione lavorativa. Ricorda qualcosa? Lascio a voi i commenti. Pero' una cosa ha sorpreso davvero tutti. Gli immigrati sono diversi dagli altri: hanno avuto il coraggio o l'incoscienza di sfidare lo stato americano, le sue regole, il suo perbenismo. Sono scesi a protestare in piazza durante un giorno lavorativo. Hanno legato la loro protesta per i diritti umani con quella contro un potere che li opprime. Non hanno lavorato ed hanno rinunciato al consumo in un ambiente a loro ostile. Il cittadino made in Usa ormai non sclera piu', la societa' giudica male la cattiva predisposione di chi disobbedisce alle regole. I Latinos possono essere cacciati dal lavoro per quello che hanno fatto ieri. Eppure non si arrendono. Pensano di essere nel giusto. Ci credono. Chissa' se riporteranno la loro vittoria. Per ora hanno fatto qualcosa di straordinario. Hanno dato uno scossone a questo popolo che dorme, anestetizzato dalla siringona del terrore post 9/11.
Non e' detto che si risvegli, non e' detto che si riaddormenti. Vediamo come va avanti.

martedì, maggio 02, 2006

E' stata MayDayParade

Anche questo anno, contro le tante infauste previsioni, è stata una grande MayDayParade, una bellissima street che a livello emozionale mi ha trascinato molto, forse come non mai nella mia personale partecipazione. Un gran numero di persone riempiva Porta Ticinese già alle 14,30 ed i carri iniziando a sfilare hanno via via dato forma ad un serpentone che si è allungato nel procedere nel percorso. Lo spirito MayDay è stato il protagonista assoluto, i carri come sempre colorati e veicolanti messaggi diretti e allo stesso tempo divertenti. Il mio carro preferito, manco a dirlo, quello neurogreen con piantine e mitici pannelli fotovoltaici ad alimentare il sound system... Anche con un tempo non eccezionale alla fine si parla di 120.000 partecipanti, probabilmente qualche decina di migliaia in meno rispetto all'anno scorso, però va detto che in effetti le presenze in massa e organizzate erano per lo più di realtà lombarde, minima la presenza visiva di altre realtà territoriali. Questo l'unico neo per me che di lombardo ho oramai solo le origini, qualche camuno nel corteo c'era ed ha alimentato la mia fiera identità territoriale (per una territorio comunque sempre più triste e grigio); di trentini si era in pochi, fra l'altro praticamente tutti aquisiti e fuori dal giro più militante, comunque tutti precari e questa era la storia migliore.
Insomma, una grande e bella e divertente giornata di empatia precaria...