venerdì, aprile 28, 2006

Della natura umana

Della natura umana. Invariante biologico e potere politico.

Nel libro Della natura umana. Invariante biologico e potere politico, edito in Italia da DeriveApprodi, è riportata la discussione fra Michel Foucault e Noam Chomsky nell'unica occasione d'incontro che ebbero. Un incontro al di fuori del solito ambiente accademico, per la precisione l'occasione si presentò in una trasmissione televisiva olandese nel 1971 e rappresenta tuttora un interessante dibattito fra le posizioni del filosofo francese - quindi del pensiero critico - e quelle del linguista americano - quindi delle scienze cognitive. Un libro godibile che certamente consiglio di leggere.

Questo piccolo mio intervento non vuole essere una recensione, piuttosto rappresenta il tentativo di evidenziare alcune riflessioni attuali che la lettura del libro mi ha suggerito.

Per inquadrare il tema va detto che il dibattito verteva sul tema e il concetto di natura umana, per poi allargarsi a questioni più politiche che riguardano il potere e l'esistenza – o meno – di una “società giusta” inscritta nello stesso concetto di natura umana.

Chomsky in quel dibattito esplicita con forza dall'inizio la sua convinzione che vi siano delle invarianti biologiche, cioè dei caratteri peculiari ed unici che permettono agli esseri umani di riconoscersi come tali; i temi che porta a sostegno di questa ipotesi si riferiscono alla linguistica e in particolare alla facoltà di linguaggio, temi che lo stesso autore aveva radicalmente rimesso in discussione introducendo l'elemento della creatività (a cui Chomsky dà un valore e un senso particolare, riferendosi non ai processi creativi “alti” ma piuttosto a quelli diffusi, “quotidiani”). Foucault al contrario – senza tuttavia esplicitare con forza la sua contrarietà a tale ipotesi ma piuttosto rispondendo problematizzando le affermazioni di Chomsky – fa emergere via via nel dibattito una visione radicalmente opposta, poiché egli riteneva che queste stesse invarianti biologiche siano – potremmo dire – figlie del proprio tempo, ossia imprescindibilmente determinate da quelle griglie concettuali che permettono a uomini e donne di rappresentare e dare un senso alla realtà e alle proprie esperienze di vita.

La parte del dibattito certamente più interessante ed anche più viva è però quella che, conseguentemente alle posizioni espresse sulla natura umana, pone la questione del potere e, a mio modo di vedere, di quella che potremmo definire come la visione teleologica che spinge al conflitto, all'azione politica antagonista. Su questa parte del dibattito sono molti i ricorsi che possiamo tracciare con l'esperienza del movimento dei movimenti (come accenna in appendice al libro Virno), ed è a partire da questo che la mia attenzione si è spostata sulle forme attuali di un movimento in fase discendente, nella fase sotterranea che si alterna a quella evidente e di potenza che abbiamo visto esprimersi a partire dai grandi controvertici negli anni '90 del secolo scorso.

Chomsky infatti insiste nel sottolineare come la creatività sia la facoltà da liberare, cioè da sottrarre al dominio delle istituzioni statuali, economiche e sociali; il linguista continua poi sulla sua linea, affermando che un processo rivoluzionario debba poggiarsi su un'idea di giustizia oggettiva, poiché si riferisce proprio alle forme della natura umana date dalla determinazione delle invarianti biologiche. Di questo approccio all'azione politica antagonista mi sembra siano profondamente segnate le esperienze di movimento che vedo vicino a me, esperienze che risentono di una spinta motivazionale all'azione tutta imperniata sulla critica della giustizia sociale in nome appunto di una giustizia più “pura”; la risposta di Foucault a riguardo è una critica a mio avviso più che convincente, poiché segnala che se la giustizia è al centro dei conflitti questa debba esserlo in quanto “strumento di potere”, non come speranza-convinzione che in una data società – futura e risultante dal conflitto – le persone saranno ricompensate per i loro meriti o punite per le loro colpe.

Ciò che mi ha colpito di questo dibattito e di queste conclusioni è che una concezione vicina a Chomsky – 35 anni dopo – si aggrava ancora più poiché elude uno degli ambiti fondamentali del conflitto odierno, in particolar modo per quanto riguarda l'azione: la costruzione delle identità, la produzione di diverse e infinite forme di vita. A proposito penso che Foucault ci indichi una via tuttora feconda e percorribile: “anzichè pensare alla lotta sociale in termini di giustizia, occorre mettere l'accento sulla giustizia in termini di lotta sociale” (pag. 62).

mercoledì, aprile 26, 2006

IL RISVEGLIO DEL GIGANTE di Sandro Mezzadra



Il gigante addormentato si sta svegliando: era uno degli slogan della gigantesca manifestazione di migranti che il 18 marzo di quest’anno ha invaso le vie di Los Angeles. Non è difficile riferire questo slogan alla situazione complessiva di quell’America latina da cui proviene la stragrande maggioranza dei protagonisti di quella manifestazione. Un’aria nuova spira in quella parte del mondo. L’elezione di Lula alla presidenza del Brasile, nel 2002, è soltanto un tassello di un insieme di eventi che ci parlano della fine del «Consenso di Washington» in America latina, di una nuova stagione politica che si sta aprendo, senza che sia ancora possibile valutarne a pieno la direzione di sviluppo.

In fondo, retrospettivamente, si può ben indicare nella sollevazione zapatista del 1994 il momento di avvio di questa nuova stagione politica, senza che ciò significhi sostenere alcuna lineare continuità tra quell’evento e le molteplici esperienze di governo “popolare” inaugurate negli ultimi anni: dal Brasile di Lula all’Argentina di Kirchner, dall’Uruguay di Tabare Vásquez al Venezuela di Chavez, dalla Bolivia di Evo Morales allo stesso Cile di Michelle Bachelet. Sarà bene anzi dire subito che queste esperienze sono profondamente eterogenee, che ciascuna di esse esprime contraddizioni e limiti specifici, una concezione anche molto diversa della politica economica e sociale, un peculiare modo di immaginare e praticare il rapporto tra azione di governo e movimenti sociali. Se tuttavia ha un senso il riferimento all’insurrezione di tipo nuovo dell’EZLN in Chiapas, lo ha prima di tutto a livello di metodo: ci ricorda cioè che in America latina, in questi anni, le lotte e i movimenti sono venuti prima delle nuove esperienze di governo di cui stiamo parlando. Gli spazi al cui interno queste esperienze si collocano sono stati aperti dalla continuità, su scala continentale, di un’azione di movimento che non di rado (ad esempio in Venezuela nel 1989, in Argentina nel 2001, in Bolivia nel 2004) ha assunto un vero e proprio carattere insurrezionale.
Anche questa azione di movimento è ben lungi dal poter essere descritta in termini di omogeneità per quel che concerne la sua composizione e le sue forme di espressione. La mobilitazione dei piqueteros argentini non comunica necessariamente con le lotte operaie nell’ABC paulista; le lotte degli indigeni in Chiapas e in Bolivia non si pongono sullo stesso piano delle iniziative sui “diritti umani” che in molti paesi latinoamericani hanno denunciato la continuità tra le dittature militari e le politiche dei governi neoliberali; i movimenti metropolitani che hanno infiammato gli slum di Caracas e le favelas di Rio hanno caratteri distinti dalle occupazioni di terra nelle campagne. Tuttavia, proprio l’eterogeneità di queste lotte e di questi movimenti (a cui molti altri potrebbero essere aggiunti) esprime la ricchezza di comportamenti e pratiche di insubordinazione sociale che sono cresciuti sul terreno stesso materialmente costruito tra gli anni Ottanta e Novanta da quelle politiche neoliberali che in America latina hanno conosciuto uno dei loro terreni privilegiati di sperimentazione. La crisi di queste politiche è stata determinata proprio dai movimenti: la continuità della loro presenza sulla scena continentale è l’elemento fondamentale alla base dell’enorme potenzialità di innovazione che oggi l’America latina presenta, e lo stesso avvenire delle nuove esperienze di governo dipende in buona misura dalla capacità che avranno di costruire in modo nuovo un rapporto con i movimenti e con le lotte, facendone la base di una riqualificazione della stessa democrazia.
Da questo punto di vista, non mancano segnali poco incoraggianti. Se è ancora presto per valutare le iniziative di Morales in Bolivia, sono note le difficoltà di Lula, mentre il rapporto di Kirchner con i movimenti dei disoccupati sembra spesso riproporre modalità di cooptazione e di mediazione corporativa fin troppo note nella storia del peronismo argentino e il governo di Chavez si muove tra i caratteri indubbiamente innovativi dei planes di intervento sociale e l’esasperazione carismatica della figura del presidente. Più in generale, circola in America latina lo spettro dello «sviluppismo», di quella che fu a partire dagli anni Sessanta la specifica variante di «compromesso keynesiano» in quest’area del mondo: il lavoro salariato, industriale, come via privilegiata di accesso alla piena cittadinanza politica e sociale, lo Stato come centro e monopolista incontrastato della stessa azione di contrasto al neoliberalismo. I limiti di questa concezione della politica, a fronte della grande trasformazione che, anche attraverso le politiche neoliberali, ha investito l’intera America latina negli ultimi vent’anni sono evidenti, e molti governi ne stanno facendo diretta esperienza.
In America latina, tuttavia, è aperto un grande cantiere di sperimentazione democratica, e non mancano – spesso all’esterno, ma non di rado anche all’interno dei nuovi governi – tentativi di immaginare soluzioni realmente nuove sia sul piano del rapporto tra movimenti e istituzioni, sia su quello di una politica economica e sociale che interpreti positivamente, senza ripiegare sul mito di un impossibile ritorno alle politiche «sviluppiste» - la crisi del neoliberalismo. Una grande chance, da questo punto di vista, è offerta dall’inedita congiuntura mondiale: non mancano, evidentemente, ingerenze statunitensi nella politica latinoamericana, ma altrettanto evidente è che l’impegno – e le difficoltà – in Medio Oriente, la sconfitta di fatto dell’unilaterialismo USA in Iraq, aprono spazi di autonomia e potenzialità per un progetto politico su scala continentale impensabili fino a pochi anni fa. Le difficoltà incontrate dal progetto dell’ALCA ne sono un segno che non è possibile ignorare. Si tratta di spazi e di potenzialità che devono essere conquistati. Ma ad onta delle plateali differenze tra i nuovi governi “popolari” in America latina, la consapevolezza di condividere questa nuova congiuntura politica mondiale, di rappresentare varianti interne di un’unica scena latinoamericana in tumultuosa evoluzione, si va diffondendo. Le opportunità rappresentate, per lo stesso modello di sviluppo economico e sociale, da una prospettiva di governo dell’interdipendenza, al di là delle ricorrenti tentazioni nazionaliste e «sovraniste», ancora attendono di essere esplorate concretamente, ma cominciano quantomeno a essere chiaramente percepite.

Tratto da Carmillaonline

lunedì, aprile 24, 2006

Buon 25 aprile, evviva la resistenza!


O Badoglio, o Pietro Badoglio / ingrassato dal Fascio Littorio,
col tuo degno compare Vittorio / ci hai già rotto abbastanza i coglion.


T' l'as mai dit parei, t' l'as mail dit parei, t' l'as mai dit, t' l'as mai fait, t' l'as mai dit parei, t' l'as mai dilu: sì sì t' l'as falu: no no tutto questo salvarti non può.

Ti ricordi quand'eri fascista / e facevi il saluto romano
ed al Duce stringevi la mano? / sei davvero un gran porcaccion.

Ti ricordi l'impresa d'Etiopia / e il ducato di Addis Abeba?
meritavi di prendere l'ameba / ed invece facevi i milion.


Ti ricordi la guerra di Francia / che l'Italia copriva d'infamia?
ma tu intanto prendevi la mancia / e col Duce facevi ispezion.


Ti ricordi la guerra di Grecia / e i soldati mandati al macello,

e tu allora per farti più bello / rassegnavi le tue dimission?

A Grazzano giocavi alle bocce / mentre in Russia crepavan gli alpini,

ma che importa ci sono i quattrini / e si aspetta la grande occasion.

L'occasione è arrivata / è arrivata alla fine di luglio ed allor,
per domare il subbuglio, / ti mettevi a fare il dittator.


Gli squadristi li hai richiamati, / gli antifascisti li hai messi in galera,

la camicia non era più nera / ma il fascismo restava il padron.

Era tuo quell'Adami Rossi / che a Torino sparava ai borghesi;
se durava ancora due mesi / tutti quanti facevi ammazzar.


Mentre tu sull'amor di Petacci / t'affannavi a dar fiato alle trombe,

sull'Italia calavan le bombe / e Vittorio calava i calzon.


I calzoni li hai calati / anche tu nello stesso momento,
ti credevi di fare un portento / ed invece facevi pietà.


Ti ricordi la fuga ingloriosa / con il re, verso terre sicure?
Siete proprio due sporche figure / meritate la fucilazion.


Noi crepiamo sui monti d'Italia / mentre voi ve ne state tranquilli,
ma non crederci tanto imbecilli / di lasciarci di nuovo fregar.

No, per quante moine facciate / state certi, più non vi vogliamo,
dillo pure a quel gran ciarlatano / che sul trono vorrebbe restar.

Se Benito ci ha rotto le tasche / tu, Badoglio, ci hai rotto i coglioni;
pei fascisti e pei vecchi cialtroni / in Italia più posto non c'è.

T' l'as mai dit parei,...

venerdì, aprile 21, 2006

Querelle EuroMayDayParade Milano Vs Paris

Voglio spendere due parole a proposito della presunta concorrenza fra le parade meneghina e parigina della mayday, visto che in questi giorni mi è capitato più volte di parlarne. Sottolineo subito che non è assolutamente mia intenzione convincere alcuno a optare per l'una o l'altra meta, anche perchè io stesso non le considero alternative, piuttosto è secondo me interessante partire da questa querelle per cercare di riannodare i fili di un discorso di progettualità politica sui temi propri della mayday. La proposta di una "trasferta" a Paris per la mayday arriva pochi giorni dopo la vittoria degli europrecari francesi, una vittoria vera anche se ancora non è chiaro quanto riuscirà ad incidere questo movimento sul nuovo contratto d'inserimento in preparazione. La proposta di una massiccia presenza degli europrecari italyani a Parigi in occasione del I maggio arriva soprattutto dall'ambiente romano, in particolar modo da parte degli universitari romani di Esc; dico questo perchè a mio avviso è importante capire il motivo che ha spinto a questa proposta, ed io penso che la proposta sia maturata all'interno del forte impegno (in ogni senso) dei compagni romani nel partecipare e diffondere poi in italya il "verbo" del movimento francese antiCPE. Conseguentemente, mi sembra più che sensata e fondata l'idea che vuole i compagni romani marciare in corteo con gli europrecari francesi lungo i Campi Elisei. Meno scontato secondo me che larga parte delle realtà che in italya hanno movimentato i temi della precarietà negli ultimi anni scelgano particolarmente in questo momento di raggiungere Parigi. Perchè? Innanzittutto perchè la stessa euromaydaymilanese ha bisogno di essere alimentata, cercando in particolar modo di ricomporre le tensioni che nel movimento hanno trovato sfogo nell'ultimo anno e che sono - a sentire secondo tutti noi - uno dei motivi per cui dubitare della buona uscita della manifestazione milanese. La mayday poi ha negli ultimi anni senza fatica (apparente) materializzato uno spazio europeo di conflitto sui temi della precarietà, uno spazio fatto di relazioni fra gruppi e singolarità impegnate su questi temi in tutta europa, riuscendo tra l'altro a plasmare una "rivendicazione continentale" e a rappresentare la precarietà come un problema europeo (non nel solo senso che riguarda tutti gli stati dell'EU), quindi la cui soluzione sta proprio nell'ambito sovrastatale dell'Europa. La mayday è la sola e prima espressione dell'europa diciamo moltitudinaria dopo le grandi manifestazioni per la pace, certamente la prima che pone con problematicità la deriva dei rapporti di produzione nel nuovo secolo del nuovo millennio; andare a Parigi a me non sembra potere aggiungere nulla alla dimensione europea dei movimenti europrecari, non è nella partecipazione del singolo per una singola giornata che si trova il grimaldello per il rafforzamento di una dimensione europea dei movimenti. Questo a maggior ragione se si pensa che nei movimenti italyani la questione europea è per larga parte stata posta come la necessità di uno "stop" ai processi istituzionali di costruzione della Carta europea, salutando con gaudio e soddisfazione la vittoria del "no" al referendum francese di più di un anno fa. Nell'attuale situazione italyana la mayday si colloca quest'anno in un momento cruciale, infatti tra la risicatissima vittoria dell'unione e l'inarrestabile resistenza del nano a lasciare il tronuccio, la mayday deve saper essere il primo momento in cui le generazioni europrecarie presentano il conto alla gerontocrazia dell'unione, non perchè interlocutore privilegiato ma perchè interlocutore al governo. Insomma, per semplificare la mayday made in italy deve far pesare la nostra presenza, la nostra forza progettuale e, quindi, operativamente rendere centrali le nostre proposte e la nostra prospettiva. Dico, come sempre, che non nutro assurde speranze a vuoto, però facendo il conto con la realtà mi sembra improbabile che le nostre rivendicazioni troveranno spazio ed ascolto in un futuro governo del polo. Insomma, urgenza, si tratta di provare con urgenza a imporre al dibattito il nostro "nodo di Salomone". Ci tengo a sottolineare che queste ultime considerazioni non siano a mio avviso in contraddizione, se non apparentemente, con quanto dicevo sopra a proposito della dimensione europea della possibile soluzione, almeno parziale, della questione precarietà. Infatti non possiamo prescindere dal ragionare di passo con i tempi, ossia tenendo presente che i "tempi" dei nostri interlocutori non sono mai stati così lontani fra loro: da una parte infatti abbiamo una dimensione di crisi irreversibile degli Stati nazionali, dall'altra un'impasse del processo di costruzione delle istituzioni dell'europa. La mayday deve sapere essere un ponte fra diversi tempi e spazi, proporsi come vettore del superamento della centralità delle nazioni nelle istituzioni europee così come perno di mutamento all'interno dei grigi confini nazionali. Questo appunto lo fanno sia la maydayparade di milano che quella di parigi, come anche quella di Berlino, Copenhangen, Helsinky, ecc. La maydayparade006 sarà comunque un successo se, ancora più degli anni passati, troveranno spazio nel corteo e si costitueranno spazio del conflitto quelle realtà fatte da lavoratori precari in lotta, per lo più autorganizzate, che sappiano dove possibile coniugare positivamente precarious demands con l'eccedenza cognitiva propria del lavoro precario.

mercoledì, aprile 19, 2006

Vigilare il vigilabile


Sembra proprio che finirà peggio del previsto. Questi benedetti dati, a una settimana dal voto, ancora non ci sono, però sembra che alla risicatissima maggioranza dell'unione verrà tolto ancora qualcosa... chissà che maggioranza di voti gli rimmarrà, come altrettanto oscuro è il possibile governo che verrà. Non vorrei commentare ste dinamiche qui, sul blog, però come dico nel titolo qui sopra sarà bene tenere le orecchie dritte dritte, vigilare per quanto possibile. Non ho mai amato i dietrologismi, mi infastidiscono addirittura perchè azzerano i ragionamenti e le possibilità di comprensione, però sarà bene finchè perdura questo stato di coma istituzionale non sottovalutare nessuna delle possibilità. D'altronde con lo scarto risicatissimo di voti che divide i contendenti, il ministero degli interni e il governo ancora per un mese (almeno) in mano al nano sembra quasi assurdo che questi se ne vadano senza provare il provabile per stare comodi al posto di comando...

Però al pari bisogna già iniziare a riflettere su come sono andate queste elezioni, soprattutto nel sforzarsi di capire la realtà sociale dell'italia che evidentemente è molto diversa da come la immaginiamo e che - per transfer - abbia pensato che fosse prima delle elezioni. Così evitiamo anche i piagnistei e tutte le scorciatoie che passano dal dare la colpa al "popolo" italiano, entità di cui abbiamo da tempo sancito la crisi irriversibile. Ma su questo tornerò, intanto che si vigili ;-)

mercoledì, aprile 12, 2006

Vive la France!



Breed's Hill, 17 Giugno 1775 - Wu Ming

Racconto. Estratto del I° prolegomeno al nuovo romanzo, dicembre 2005

Vi è chi sostiene che tutto quanto esiste sia a disposizione dell'Uomo, creato affinchè egli possa farne uso: animali e piante, acqua e fuoco, etere e minerali. A detta di costoro, i metalli stanno nel ventre della Terra per esserne estratti col piccone; l'acqua piove dal cielo o scaturisce dalle rocce perchè noi possiamo berla, galleggiarvi sopra, trasformarla in vapore per muovere le macchine; pianeti e lune stanno in cielo perchè l'uomo possa contemplarli e chissa', forse un giorno conquistarli, scavarne il ventre ed estrarne metalli.
Come appare vano tutto cio', quando si lascia per qualche tempo il consorzio civile, l'agglomerato di questi esseri umani, preteso perno dell'universo. Come subito ci si rende conto che l'uomo è una piccola e arrogante parte del Creato, che il sole non tramonta allo scopo di fornirci uno spettacolo di colori, che le piante non s'innalzano sfidando le intemperie per essere recise, affogate nell'aceto e raccolte con la forchetta.
Negli spazi ove l'uomo non s'è ancora insediato, la vegetazione spunta dal suolo, assorbe il benefico potere del sole, cresce e riceve il polline portato dal vento, butta gemme che divengono fiori, si carica di frutti che, mai mangiati da alcuno, cadono al suolo e rotolano dove marciranno, libereranno i semi e il ciclo ricomincera', senza che mai alcun nostro simile assista a tale miracolo o ne tragga benefici. Migliaia di specie animali vengono al mondo, cacciano, preparano rifugi, si accoppiano, nutrono e accudiscono i cuccioli, dell'uomo ignorano financo l'esistenza e un giorno, sapendo che è giunta l'ora, s'accasceranno a morire, ignari.

Tratto da I° prolegomeno al nuovo romanzo dei Wu Ming,
continua qui

E' andata come è andata

Proprio così, il mio appello al voto non ha spostato milioni di voto purtroppo. Ci troviamo comunque su una sedia più comoda, abbiamo per lo meno scansato il nano dal trono.

Abbiamo veramente vinto invece in Francia, con il ritiro del CPE arriva la vittoria del grande movimento sviluppatosi negli ultimi mesi, ed un pochino di tutti noi europrecari!

venerdì, aprile 07, 2006

Io voto, ecco chi voto...

Da qui a lunedì 10 probabilmente non riuscirò a scrivere nulla sul blog, quindi ho pensato che in quest'ultimo giorno di questa lunghissima campagna elettorale qualcosa è giusto dire a proposito di questo giro di giostra elettorale. E' giusto perchè è percettibilmente montata una certa tensione attorno all'evento, una vibra che in molti mi hanno detto sentire difficilmente interpretabile: ci libereremo del nano, o saremo condannati ad altri anni di supplizio? good o bad vibration? Non mi ha mai fatto impazzire negli ultimi dieci anni tutto questa attenzione sul nano, soprattutto in una certa sinistra, però ora lo voglio nominare - a due giorni dal voto - per esorcizzarne l'incombente ombra che nell'incubo quotidiano a volte sembra volersi protrarre all'infinito nello spazio e nel tempo.
Primo obiettivo, quindi, scacciare il nano.

Mappoi, come la mettiamo sul chi votare? Questo è un grande interrogativo, tutte le persone attorno a me - che certamente sono di un "certo" tipo - se lo stanno ancora ponendo.
Vorrei dirvi io cosa ne penso, anzi cosa voterò.
Nei giorni della rivolta francese, dell'insorgenza della generazione europrecaria, della concitata costruzione della maydayparade006 ho sentito e sento ancora più urgente la necessità di rilanciare alcune priorità fondamentali, per potere immaginare ancora, in futuro, la possibilità di incidere sul reale e cambiarlo profondamente, per immaginare ancora una frontiera.

  1. La prima è la questione della precarietà, termine entrato in voga ultimamente fra il ceto politico e di cui tutti ora si riempiono la bocca.
  2. La seconda è il rilancio del processo di costruzione della costituzione materiale dell'Europa.
  3. La terza riguarda i migranti, la loro totale mancanza di diritti e l'affermazione del rifiuto di ogni logica poliziesca e mercificatoria nella gestione di uomini e donne (ovviamente, in primis, la chiusura di ogni CPT, strutture tanto vicini alle famigerate prigioni di Abu Ghraib e Guantanamo).
  4. Ultima, l'ampliamento delle libertà individuali e, da subito, l'abrogazione della neoapprovata "legge sulle droghe".
In massima sintesi è su queste questioni che ho pesato la scelta fra il chi votare e alla fine ho deciso che voterò i Verdi (alla Camera e al Senato). Non sono certo immuni da critiche, di certo all'interno c'è gente con cui ho poco da spartire, ma penso ad esempio che siano l'unica possibilità di poter liberarci della precarietà attraverso l'allargamento dei diritti e non della subordinazione (continuaità di reddito, basic income, maternità per tutte, ecc.), liberandoci al contempo degli approcci lavoristi sulla risoluzione della questione tanto in voga nel resto dell'Unione. L'unico partito in italya che possa porre - ovviamente oltre ai movimenti europrecari - il riconoscimento della dimensione europea della precarietà, quindi della necessaria azione di rilancio della costruzione di un'Europa che - potenzialmente più autonoma e cosmopolita di ogni governo nazionale - ponga con forza la necessità di un nuovo welfare e il principio di cittadinanza per residenza sul territorio europeo. I lager-CPT vanno chiusi e basta, cittadinanza europea per tutti i residenti sul suolo europeo!
I Verdi sono poi una forza laica, più coerente della filoatlantista rosanelpugno e più affidabili per spingere verso l'allargamento dei diritti individuali, in primo luogo limitando l'azione normativizzante e invadente dello Stato nella nostra sfera privata - i nostri corpi e le nostre condotte - che si tratti di sesso, droghe, vita (fecondazione assistita) o morte (eutanasia).
Sono l'unica federazione politica (non propriamente un partito) affidabile per proporre un modello di società basato sulla libera circolazione della conoscenza, quanto meno che possa tentare di contenere le pressioni delle lobby su copyright, peer to peer, brevetti, ecc.

Voterò i Verdi e, per quanto possibile, inviterò altri a farlo. Senza illusioni chiaramente, anche perchè quello qui sopra è il "mio" programma elettorale più che quello dei Verdi. Ma visto che da qualche parte bisogna iniziare preferisco puntare su quello che al momento mi sembra il trampolino migliore verso una certa impostazione dei problemi.
Infine, in questo caso last but not least, in questi anni di catostrofi realizzate, evocate e dal uomo incubate, il nostro sguardo dovrebbe guardare a ciò che succede sempre più attraverso gli occhi dell'ecoattivismo radicale, ed anche qui il trampolino migliore disponibile da sfruttare per le elezioni sono ancora i Verdi, che quanto meno non mirano alla risoluzione di tutti i problemi con la vecchia - e insostenibile - ricetta della crescita economica continua come fanno rifondazione
e gli altri partiti della cosìddetta sinistra radicale...

A lunedì, good o bad vibration?!

giovedì, aprile 06, 2006

::European Press Conference of the Euromayday Network::

On the first of May, for more than a century MAYDAY in the minds the world's radical workers of all hues, We, the EUROMAYDAY network are jointly organizing MAYDAY PARADES of temporary, part-time, contract workers and other precarious youth with militant unions and social collectives across twenty major eurocities or more.
On mayday, we want to party, act and protest against precarity, the most crucial and burning social issue in europe today and widespread work and life condition for millions and millions of europeans. We demand social equality for all, the end of labor precarization and all forms of flexploitation. We want freedom of movement for migrants and income security as concrete and possible answers to two decades of mutations in labor market and job profiles. We fight for generalized access to housing and mobility, free download and free upload for all, freely available and sharable culture and information. We practice freedom of expression and dissent, we participate in social and labor conflict, we build media to unmask the corporate or state-sponsored version.
Last year, Euromayday parades drew more than 200 000 precarious people of all sorts and brought protest actions against precarity and other forms of labor and social domination in the streets of a dozen of EU cities. Why did we do it?
Because we are précaires, precari, precari@s: we are the unemployed, women and the young, the casualized, we are intermittent workers, students, stagiares, migrants, net/temp/flex workers, we are the contortionists of flexibility and survivors of precarity gathered from dozens of collectives in our cities and through a transeuropean network to defend our collective social rights and claim new ones.
We have no trust or faith in those who, at the leadership of governments, unions, political parties, or cultural institutions, pretend to speak in our name and take decisions for us and our lives, while ignoring our demands and repressing pratices of social transformation. We will parade on mayday to reclaim our lives and fight against workfare or other authoritarian solutions to inequality and welfare crisis. We want to create with our conflicts a new welfare system and a more horizontal, democratic society, where immaterial, service, affective, flexible work is not subjected to pitiless exploitation, blackmail flexibility, existential impossibilty. Nobody wants to be sentenced to the same job for life. But nobody wants to spends her whole day wondering how to land the next check or pay the next bill, while juggling three jobs. We want life-affirming social equality, not subservient, discriminative employment. We want to sever the link between welfare and employment, and between welfare and citizenship, as conditions to create truly democratic, libertarian, and egalitarian polities in the age of war-making globalization.
For this and obviousy a lot more, we invite you at the press conference to present the EURO MAYDAY 006, this friday, april 14th 2006. Activists against precarity will come from all over europe to tell their struggles, projects and cross-alliances, their predicament in securitarian and inegalitarian europe and what they're fighting for.

At the end: Surprise! Surprise! Easter chicks and rabbits will be released from their cages and participate ia a great Easter-egg treasure hunt, to liberate the capital of Europe from the social bird flu spread upon loudly recalcitrant european populations by the Barroso commission and its corporate-friendly policies.

By the way, how come he's still at his place, he and the ritzy others, after having lost two referendums?

mercoledì, aprile 05, 2006

EuroMayDayParade006



Anche quest'anno si avvicina il I maggio, una primavera questa propizia per la generazione europrecaria coinvolta - fisicamente o empaticamente - con la rivolta francese in corso. Rivolta che non accenna a calmersi, soprattutto che vede sempre più come protagonisti irriducibili i giovani e gli studenti.
Bè, in italya, in attesa che passi il 9 e 10 aprile, si è già iniziata la costruzione della MayDayParade e qui a fianco potete ammirare il poster ufficiale della manifestazione.
A me piace un sacco. Il coniglio di Alice già mi era piaciuto l'anno scorso in veste da astronauta, si aggiunge quella che sembra un usignolo che fa primavera...


lunedì, aprile 03, 2006

E' uscito Free Karma Food...


In libreria da alcuni giorni è disponibile il nuovo libro solista della banda dei Wu Ming, in questo caso di Wu Ming 5. Per chi ha già avuto esperienze di lettura di W.M.5 non si sorprenderà di come la scrittura si discosti un pò dallo standard della sua factory.
La cosa che si dibatte a proposito di questo libro, a pochi giorni d'uscita, è il grosso numero di vendite, senza battage pubblicitario o interventi sui media mainstream; un successo fino ad ora tutto sospinto dal passa parola e dalle comunicazioni dei Wu Ming. Come è possibile tale successo? Il link vi porterà alle riflessioni sviluppate a proposito dai Wu Ming...