lunedì, luglio 09, 2007

Censure, religione, noi

E' successo oggi che anche il sito lucavolonte.eu sia stato oscurato, probabilmente i signori non hanno il gusto dell'ironia, oppure -più probabile - l'ironia ha colpito nel segno e ha provocato la reazione dei censori. Quindi un altro sito censurato preventivamente (come recita la comunicazione della polizia postale che compare nell'aprire ora la pagina) mentre continua a proliferare in rete l'oggetto della disfida, ossia il videogame Pedopriest...

Partendo da questa vicenda scandalosa e dall'articolo postato anche su finoaquituttobene di Paolo in cui si avanzava una prima analisi di ciò che poteva stare dietro a questa nuova ondata censoria e oscurantista, oggi su Rekombinant è comparsa una riflessione di Bifo che riprende i temi principali della vicenda e tenta di scavare a fondo, ponendo interrogativi che rimettono in discussione anche noi tutti davanti a queste dinamiche: "cosa mi conferisce il privilegio del giudizio? In nome di quali principi posso parlare di inaridimento, di miseria psichica riferendomi a una generazione che sta vivendo la più rapida e convolgente mutazione? Non c'è forse nel mio pregiudizio umanistico un'affinità con il pregiudizio morale di Volonté o di Ratzinger? Non sono forse io semplicemente rincoglionito, come loro per l'appunto? Incapace di partecipare al flusso, incapace di appartenere al branco, non sono io forse semplicemente infetto di un virus umanistico incompatibile con la realtà?

Il post di Paolo "La resistenza culturale in tempi di revival oscurantista" interroga il senso della comunicazione paradossale. Quando, per fare un esempio, gli Yes men dicono ad un pubblico di
industriali che lo schiavismo è il modo migliore per realizzare il comune scopo della crescita, l'uditorio percepisce il paradosso o pensa di aver a che fare con dei consulenti spregiudicati che dicono quel che tutti pensano? L'altra domenica io e Ambro siamo andati a distribuire un volantino che si chiamava Al rogo al rogo davanti alle porte della cattedrale bolognese. Il testo lo trovate in lista.
Una signora benvestita e dall'aria intelligente mi ha avvicinato e mi ha detto sono d'accordo con voi. La sua battuta mi ha lasciato interdetto. Con chi era d'accordo la signora? Con la voce dell'inquisitore che il volantino metteva in scena o con la voce dell'agitatore che metteva in scena l'inquisitore? Come ha decodificato il messaggio? Quello che appare paradossale non è forse la forma emergente della realtà? e anche: enunciazioni che a me paiono semplicemente idiote non sono forse la forma emergente del pensiero maggioritario? E per chi è paradossale il paradosso?

L'ondata di fanatismo che percorre la Polonia come l'Iran, l'Italia come Israele o il Libano o gli Stati uniti, indica un processo di de-secolarizzazione? Uno spirito religioso sta emergendo come superamento o come contraltare al secolarismo consumista, bulimico, iper-attivo, competitivo? A me pare di no. Le chiese sono vuote. La domenica mattina le folle si ritrovano al centro commerciale, non a messa.
La vita dei partecipanti alle manifestazioni per la difesa della famiglia non ha nulla a che fare con l'ascetismo francescano. Il senatore Emilio Colombo, beccato a ottantatre anni suonati con il naso nella polvere bianca potrebbe essere assunta a simbolo di quella cultura. E d'altra parte, l'onda montante islamica va interpretata come un fenomeno di religiosità?
Sheikh Ahmad al Qataani, presidente di «The Companions of Lighthouse for the Science of Islamic Law» in Libia, dove imam e predicatori islamici vanno a terminare i loro studi, ritiene che, a parte una minoranza integralista numericamente limitata, la crescita dell'islamismo è una falsa impressione.
In effetti nel diffondersi attuale del bigottismo non è visibile un tratto di spiritualità, quanto un bisogno identitario. Nessun sentimento di amore anima i cardinali i rabbi e gli ayatollah e gli imam. Solo spirito di rivendicazione, di risentimento e di vendetta.
In un carteggio con Bockendorf pubblicato dalla Suddeutsche Zeitung, l'intellettuale Ratzinger scrive: "Uno Stato non può strapparsi completamente dalle sue radici ed elevarsi a puro Stato razionale per così dire che privo di una propria cultura e senza un profilo proprio tratta in modo uguale tutte le tradizioni che sono rilevanti per l'ethos e per il diritto e classifica in modo eguale tutte le manifestazioni pubbliche delle religioni."
(vedi Reset, maggio-giugno 2007, pag. 11).

Come si vede da queste righe, per questo Pontefice il nazismo non è soltanto un ricordo di gioventù. Altro che post-secolarismo. Il relativismo che Ratzinger aborre è semplicemente la libertà di pensiero, la singolarità d'amore, il non riconoscersi nell'identità conforme.
L'identitarismo inventa le sue radici: religioni ricombinanti per consolidare il priviegio, o per mobilitare la vendetta.

Inutile occuparsi di dio quando si parla dell'integralismo contemporaneo. Meglio guardare in un'altra direzione, verso i regimi del desiderio contemporaneo, verso l'inaridimento della sfera affettiva, di cui il fanatismo religioso non è l'antidoto, ma solo una faccia.
Il post di Matteo Pasquinelli, Libidinal parasites è un condensato di spunti concettuali che andrebbero approfonditi. Mi interessa soprattutto la questione della termodinamica della pornografia. Io direi piuttosto termodinamica del desiderio di cui la pornografia è una modalità. Deleuze e Guattari hanno proposto una termodinamica basata sulla idea di una infinità del desiderio. Non dovremmo forse fare l'ipotesi di una termodinamica basata sulla finità del desiderio? L'energia libidica che anima il sociale può esaurirsi? Non stiamo forse vivendo in una fase entropica del desiderio collettivo?

Ho letto le prime centoventi pagine del romanzo di Federico Moccia "Tre metri sopra il cielo". Racconta vicende di vita quotidiana di ragazzi tredicenni (chi ha visto Thirteen di Catherine Hardwicke?) con uno stile perfettamente liscio come i bicipiti dei protagonisti che si palestrano pagina dopo pagina. In centoventi pagine ci sono tre setti nasali rotti, e neppure uno spinello. Non c'è realismo nel romanzo di Moccia, non c'è indagine. E' tutto falso, ma il suo falso costruisce un mondo vero, sanitarizzato e violento al tempo stesso. Ho letto anche "Ho dodici anni faccio la cubista e mi chiamano principessa" di Marida Lombardo Pijola. L'intenzione dell'autrice è l'esatto contrario dell'intenzione di Moccia. Vuole mostrare l'alienazione e l'inaridimento della generazione dodicenne, e lo fa riscrivendo le storie di cinque ragazzi che vivono nello spazio sghembo discoteca-famiglia-prostituzione-scuola-droga: Il tono è poco credibile, falso, moralista. Eppure il vissuto che emerge da queste pagine, per quanto mediato moralisticamente, è un vissuto che parla da solo di miseria psichica e di rabbioso conformismo.
Il conformismo si fa rabbioso quando conformarsi (al modello pubblicitario) è impossibile.

Anche JPOD di Douglas Coupland comunica una sensazione di freddo. Anche qui mi sono fermato a pagina centoventi. Un gruppo di programmatori di video games vivono in un ufficio cubicolare della costa nordoccidentale americana. La stessa situazione che Douglas raccontava in Microserfs: lavoro ininterrotto, continua eccitazione mentale, scissione sistematica della sfera linguistica dalla sfera sessuale. Si parla continuamente di sesso, intendiamoci, ma il sesso non parla mai. La pornografia in fondo è questo: quando il sesso non parla. Non c'è godimento senza parola. Ma la parola si è forse separata dal corpo, per la generazione che ha appreso più parole da una macchina che dalla mamma?

Me and you and everyone we know di Miranda July (un film meraviglioso) è la storia un amore: la videoartista (interpretata da Miranda July stessa) e il disoccupato leggermente sociopatico (John Hawkes) si incontrano, camminano insieme fino alla fine dell'isolato poi si separano poi ripetono la scena e così via senza riuscire a toccarsi.

Qui mi fermo e rifletto: cosa mi conferisce il privilegio del giudizio? In nome di quali principi posso parlare di inaridimento, di miseria psichica riferendomi a una generazione che sta vivendo la più rapida e convolgente mutazione? Non c'è forse nel mio pregiudizio umanistico un'affinità con il pregiudizio morale di Volonté o di Ratzinger? Non sono forse io semplicemente rincoglionito, come loro per l'appunto? Incapace di partecipare al flusso, incapace di appartenere al branco, non sono io forse semplicemente infetto di un virus umanistico incompatibile con la realtà?

La parola "branco" merita una riflessione. In gran voga nelle cronache giornalistiche o nelle prediche morali è una parola che non mi piace, perché denuncia un moralismo pre-giudicante. I baby boomers, ultima generazione alfabetico-critica, posti di fronte a fenomeni incomprensibili denunciano l'ovvia incompatibilità tra due formati differenti.

Il movimento coordinato semi-consapevole del branco, quello che noi definiamo intellettualisticamente conformismo, non è forse un nuovo stadio del linguaggio umano?
Abbandoniamo la parola "branco" e adottiamo la parola "sciame". Quello che appare conformismo è in realtà l'emergere di una forma nuova del comportamento.
Se parliamo di branco accentuiamo indebitamente l'aspetto etico (la violenza, il conformismo aggressivo), se parliamo di sciame ci riferiamo a una modalità cognitiva basata sull'identificazione di sé per risonanza, per imitazione. Il flusso di linguaggio si interfaccia fino a divenire indipendente dai suoi parlanti, fino ad imporsi ai parlanti. Il linguaggio senza soggetto muove i suoi parlanti secondo regole che i parlanti non conoscono più.
Si può "giudicare" un processo di questo genere, si può pensare che l'arte della politica possa governare una simile mutazione? Non è forse la mutazione a imporre nuovi criteri di giudizio che al momento ci sfuggono?
Non è forse dalla generazione riformattata (post-critica, post-storica) che i criteri del giudizio debbono emergere? E' possibile giudizio quando si sono dissolte le condizioni della discriminazione critica e della successione storica?

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