martedì, giugno 26, 2007

Riformisti vò cercando

Per riprendere il filo di un discorso che su finoaquituttobene negli ultimi mesi è stato spinto con diversi contributi postati - compresa la mia riflessione sull'Europa e i movimenti sociali pubblicata da lo squaderno o il commento di ieri di Vercellone sul vertice di Bruxelles - riprendo e pubblico qui sotto la prima parte di un articolo di Giuseppe Bronzini intitolato Riformisti vò cercando, uscito in origine sulla newsletter MercurioCRS del Centro per la Riforma dello Stato: si tratta di una riflessione critica sull'immagine egemone nella "sinistra" delle trasformazioni del lavoro e del mercato del lavoro come discostamento da ciò che a proposito è sancito nella Costituzione del '48.


di Giuseppe Bronzini

Premessa: nostalgia e politica

“Secondo una vulgata molto diffusa a sinistra ed in particolare nelle sue componenti “ più di sinistra” gli anni 90 sarebbero stati, in Italia ma anche nel resto d’Europa, un lungo periodo di regressione connotato da ripetuti interventi di deregulation nel diritto del lavoro, non adeguatamente contrastati da un’opinione pubblica ancora ostaggio delle chimere liberiste e dell’ideologia della flessibilità. Questo ciclo oscuro di abbandono dei principi costituzionali della Carta del 48 e in particolare della sua “norma simbolo” che stabilisce come cemento e fondamento della Repubblica “ il lavoro” avrebbe trovato il suo apice nella “ legge Biagi” nella quale le linee precedenti di limatura dei diritti fondamentali dei dipendenti avrebbero trovato una completa sistemazione nella balkanizzazione delle tipologie contrattuali e nell’abbandono della centralità del lavoro subordinato di tipo tradizionale con i connessi effetti devastanti sia sul fronte della rappresentanza sindacale che nella “ tenuta” dei livelli consolidati di prestazioni e servizi offerti dallo Stato sociale. Solo nella lotta per la difesa dell’art. 18 dello Statuto del 1970 e, poi, con la caduta del Governo Berlusconi si sarebbero ripristinate le condizioni per reinvertire il processo, contrastare il fenomeno emergente della precarietà e tornare al modello “ costituzionale”.

“Certamente la mia è una ricostruzione molto semplificata e, forse, di comodo ma mi pare difficilmente contestabile che quando, a “ sinistra della sinistra”, si chiede una “ svolta nel lavoro”(1 ) in genere si ignorano ipotesi e tentativi emersi negli aborriti anni 90 ( ed anche durante gli anni del governo Berlusconi): il colpo di spugna dovrebbe così traghettarci di nuovo, come per incanto, al mondo “ com’era”, dominato dalla classe lavoratrice stabile, impiegata in aziende di medio-alta dimensione, con una professionalità definita ed etichettabile contrattualmente con precisione, saldamente ancorata alle organizzazioni “ confederali” emerse nel dopoguerra……

Se qualcuno tentasse una simile operazione “ nostalgica” per quanto riguarda il sistema politico(proponendo il ripristino della proporzionale nelle forme precedenti i referendum) verrebbe preso per visionario, non meno di chi tentasse di rilanciare il “ compromesso storico” nei modi originari, ma in materia di lavoro la rimozione di un quindicennio di elaborazione teorica e di sperimentazione sociale in nuovi conflitti e rivendicazioni dimostra un ben diverso appeal. Il tutto è miscelato da una sostanziale metodologia “ nazionalista” che ritiene che, nonostante il processo di integrazione economica e sociale dell’Europa sia progredito enormemente ( più lenta quella istituzionale, anche se non sul fronte dei diritti fondamentali per il quale è operante da tempo una federalizzazione comunitaria della materia), il nostro paese possa “ fare da solo” e, in piena autarchia, procedere a riscrivere le regole del gioco.

“L’Unione europea non è ,quindi, quasi mai vista come una opportunità e una risorsa , ma costantemente come un ostacolo per i virtuosi progetti nazionali di ritorno “ all’antico”.


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