In Italya il dibattito sul cosiddetto capitalismo cognitivo non ha preso particolare spazio, anche se l'origine del concetto si deve a Enzo Rullani. In Francia al contrario questo ha preso un posto di primo piano nel dibattito sia accademico che non, in particolare con le produzioni del gruppo di lavoro che ruota attorno a Yann Moulier Boutang (a proposito si veda qui L'età del Capitalismo Cognitivo). L'accento viene posto sul capitalismo cognitivo quale forma del capitalismo storico e cerca di cogliere i legami fra ruolo della conoscenza - quale risorsa fondamentale del nuovo meccanismo di produzione della ricchezza - e la centralità dei mercati finanziari. Nel 2003 in Francia venne pubblicato il lavoro dal titolo Sommes-nous sortis du capitalisme industriel? a cura di Carlo Vercellone, in cui si cerca appunto di tracciare il mutamento qualitativo del rapporto capitale-lavoro. Oggi finalmente viene pubblicata in Italya una versione ampiamente aggiornata di questo testo, aggiungendo quindi un tassello alla scarsa letteratura in italiano sul capitalismo cognitivo. Non l'ho ancora preso per le mani, ma certamente ne varrà la pena. Qui sotto l'introduzione di Vercellone all'edizione italiana dal titolo Capitalismo cognitivo. Conoscenza e finanza nell'epoca postfordista.
Introduzione
di Carlo Vercellone
Questo lavoro si riallaccia ad un’analisi dei mutamenti del capitalismo che parte dal ruolo strutturante delle trasformazioni della divisione del lavoro per interrogarsi sull’ipotesi di un possibile crepuscolo del capitalismo industriale. Questa scelta metodologica segue la strada tracciata dai padri fondatori dell’economia politica. Infatti Adam Smith, sin dal capitolo primo de La Ricchezza delle nazioni, considera gli «effetti della divisione del lavoro sull’industria generale della società» lo sprone più potente della rivoluzione industriale, che egli illustra attraverso il famoso esempio della fabbrica degli spilli. Possiamo retrospettivamente affermare che la crescita fordista ha rappresentato sotto molti aspetti l’esito storico del modello industriale di cui Smith aveva saputo anticipare i tratti e le tendenze essenziali. Da una parte, grazie all’associazione dei principi tayloristi e della meccanizzazione, la forza-lavoro si integra con un sistema sempre più complesso di strumenti e macchine. La produttività può essere allora rappresentata come una variabile le cui determinanti non tengono più in alcuna considerazione le conoscenze dei lavoratori. In questo senso, la rappresentazione smithiana della divisione tecnica del lavoro, caratterizzata dalla parcellizzazione del lavoro e dalla separazione dei compiti di progettazione ed esecuzione, conosce una sorta di compimento storico: la conoscenza e la scienza applicate alla produzione (progettate dagli ingegneri delle grandi imprese) si sono separate dal lavoro collettivo e, come annunciava Smith, sono divenute «come ogni altro impiego, la principale o la sola occupazione di una classe particolare di cittadini» (Smith 1991, p. 77). Dall’altra il potere di accumulazione del capitale industriale – poco importa se la mano invisibile del mercato è rimpiazzata dalla mano visibile dei manager (Chandler 1988) – si afferma non solamente nell’organizzazione della produzione, ma anche in rapporto alla sfera finanziaria. Quest’ultima, particolarmente sotto la forma di credito, si sviluppa essenzialmente in funzione dell’espansione dell’anticipazione di capitale che, secondo Smith, condiziona e governa la riproduzione allargata del capitalismo industriale. La crisi sociale del fordismo ha determinato l’esaurimento delle modalità tayloriste di conseguimento di incrementi di produttività. Più in generale, essa ha messo radicalmente in discussione la dinamica delle relazioni incrociate che riguardano l’economia della conoscenza e i rapporti capitale/lavoro e finanza/produzione. Per questo motivo questa crisi potrebbe essere interpretata come un vero capovolgimento storico1 all’interno della dinamica di lungo periodo del capitalismo. Questo capovolgimento si manifesta in particolare attraverso due tendenze principali del capitalismo contemporaneo. La prima riguarda la diffusione e il ruolo centrale della conoscenza, all’interno di una organizzazione sociale della produzione che tende sempre più a superare i confini delle imprese. Il sapere non è più, come sosteneva Smith, monopolio di una classe particolare di cittadini, e questa diffusione sociale del sapere trasforma la dinamica del progresso tecnico e il rapporto capitale/lavoro. Derivano da ciò il declino storico del capitalismo industriale nato con la grande fabbrica manchesteriana e il passaggio verso una nuova forma post-industriale di capitalismo che potrebbe essere definito capitalismo cognitivo, nel senso che la produzione e il controllo delle conoscenze divengono la posta in gioco principale della valorizzazione del capitale. In questo passaggio, i modelli di rete, di laboratorio di ricerca e di relazioni di servizi, potrebbero, in un certo senso, giocare lo stesso ruolo che la fabbrica degli spilli di Smith ha giocato nell’avvento del capitalismo industriale. Il ruolo centrale che la nozione di tempo impartito giocava all’interno del capitalismo industriale sembra, nello stesso movimento di trasformazione, cedere il posto, nel capitalismo cognitivo, alla nozione di tempi sociali necessari alla costituzione e alla valorizzazione dei saperi. Queste trasformazioni nella divisione del lavoro e nell’economia della conoscenza vanno di pari passo con i cambiamenti profondi che riguardano i meccanismi di regolazione del mercato del lavoro. In particolare, lo sfaldamento del modello canonico del rapporto salariale (il contratto a tempo indeterminato) e la crisi del sistema di tutela sociale costruitogli attorno, si combinano con un importante processo di desalarizzazione formale della manodopera. Un’autonomia crescente delle conoscenze dei lavoratori si trova così associata a una precarietà altrettanto importante che riguarda le condizioni di impiego e di remunerazione della forza lavoro, secondo una relazione sulla quale sarebbe opportuno interrogarsi. La seconda tendenza riguarda un imponente processo di finanziarizzazione. Tuttavia, sono rari i lavori che accostano la genealogia del processo di finanziarizzazione alle trasformazioni della divisione del lavoro e del rapporto salariale. In effetti, la maggior parte delle analisi considerano la globalizzazione finanziaria come il risultato del crollo del sistema di Bretton-Woods che, secondo Robert Reich (1993), aveva segnato l’apogeo del nazionalismo economico. Queste analisi si basano sull’ipotesi secondo la quale, nella dinamica storica del capitalismo, esisterebbe un eterno contrasto tra la logica universale dell’espansione del capitale denaro e i limiti che il potere politico degli Stati tendono a imporre a questa espansione. La fase attuale corrisponderebbe allora ad un nuovo capovolgimento storico nel rapporto conflittuale tra il potere degli Stati e la tendenza della sfera finanziaria a sfuggire a ogni forma di regolamentazione. Pertanto, le relazioni tra crisi del rapporto salariale, trasformazioni della divisione del lavoro e repentino sviluppo della logica della finanziarizzazione sono trascurati. Uno degli scopi di questo lavoro è tentare di colmare almeno in parte questa lacuna, collegando questi aspetti dell’analisi agli altri cambiamenti strutturali che la finanziarizzazione implica nella regolazione del rapporto salariale, sia che si tratti della governance delle imprese o del nuovo ruolo giocato dal risparmio delle amministrazioni e dai fondi pensione. Più in generale, i contributi qui raccolti si organizzano attorno alle seguenti domande. L’evoluzione attuale dell’organizzazione del lavoro e dell’economia della conoscenza corrisponde all’esaurimento della logica secondo la quale, seguendo Smith, si presume che la divisione tecnica del lavoro agisca sulla produttività e promuova il cambiamento tecnico e organizzativo? A questo riguardo, si può affermare che il modello della fabbrica degli spilli non sia stato in ultima istanza che una parentesi storica all’interno della dinamica del capitalismo? Se la risposta è affermativa, in che senso la diffusione e il ruolo primario del sapere definiscono l’apertura verso un XXI secolo postsmithiano? E quale sarebbe allora il modello che, alla stregua dell’esempio smithiano della fabbrica degli spilli per l’avvento del capitalismo industriale, potrebbe sintetizzare, con alcuni fatti stilizzati (nel senso di Kaldor), le nuove determinanti della divisione del lavoro e del progresso tecnico nell’ambito del capitalismo cognitivo? I diversi modelli che le teorie della crescita endogena e di una knowledge based economy hanno elaborato, spiegano il cambiamento attuale della divisione del lavoro e del nuovo ruolo giocato dalla conoscenza? In che modo, infine, lo sviluppo dell’economia della conoscenza è all’origine di nuovi dualismi che riguardano il mercato del lavoro e la specializzazione nella produzione delle nazioni e dei territori? La globalizzazione finanziaria sarebbe dunque indipendente dalle trasformazioni che colpiscono i rapporti di lavoro? O, al contrario, gli sconvolgimenti che la crisi sociale del fordismo ha provocato nella divisione del lavoro e nel rapporto salariale hanno giocato un ruolo primario nella finanziarizzazione del capitalismo contemporaneo? Quali sono le forme di articolazione e di captazione del sapere da parte del capitale finanziario? Quali sono i possibili scenari di evoluzione della regolazione del rapporto salariale e del sistema di protezione sociale nel nuovo capitalismo? Quale ruolo potrebbe qui giocare lo sviluppo dell’azionariato salariale e dei fondi pensione? Esiste un’alternativa al modello americano di cui l’Europa potrebbe essere portavoce? Infine, queste trasformazioni delle sfere produttive e finanziarie, non dovrebbero far nascere una riflessione sulla necessità di nuove norme di distribuzione? In particolare, la questione di un reddito garantito che sia indipendente dall’impiego, non potrebbe trovare nuovi fondamenti teorici nella considerazione del carattere sempre più sociale della crescita della produttività e delle esternalità positive legate alla diffusione e al ruolo motore del sapere? Per rispondere a queste domande, questo lavoro si propone di coniugare teoria e storia economica recuperando una visione centrata sulla dinamica a lungo termine del capitalismo. Questa prospettiva storica sembra tanto più necessaria se si considera che il capitalismo contemporaneo, sebbene segni una rottura con le tendenze della divisione del lavoro promosse dalla prima rivoluzione industriale, presenta numerose analogie con la struttura del capitalismo anteriore alla prima rivoluzione industriale. Il piano di questo lavoro si articola in tre parti, destinate a rendere conto dei diversi aspetti e delle diverse implicazioni che le trasformazioni della divisione del lavoro hanno sulla finanziarizzazione e la regolazione del rapporto salariale. La prima parte, Dal capitalismo industriale all’economia della conoscenza: verso un XXI secolo postsmithiano?, si interroga sull’ipotesi di una nuova tappa storica della divisione del lavoro corrispondente all’avvento di un’inedita forma di capitalismo, definita col termine di capitalismo cognitivo da alcuni degli autori dei contributi qui raccolti. Ne deriva un dibattito centrato tanto sull’importanza delle fratture intervenute rispetto alla logica dello sviluppo del capitalismo industriale quanto sull’impatto di una «economia fondata sulla conoscenza» sulle trasformazioni del rapporto salariale. La seconda parte, Trasformazione della divisione del lavoro e mercati finanziari, tratta una delle questioni più complesse (e meno analizzate) che riguarda i rapporti dinamici tra le trasformazioni della divisione del lavoro e le cause dell’attuale processo di finanziarizzazione. La terza parte, Trasformazioni della divisione del lavoro e nuove norme di distribuzione: il reddito sociale garantito (RSG), si propone di articolare l’analisi delle trasformazioni della divisione del lavoro e del processo di valorizzazione del capitale con la riflessione sulle nuove norme di ripartizione e ridistribuzione del reddito. Il problema centrale qui affrontato riguarda un reddito sociale garantito che sia indipendente dall’impiego e le cui basi poggino sull’analisi dei cambiamenti dell’organizzazione sociale della produzione. Bernard Paulré, infine, tenta nella sua postfazione una sintesi del dibattito sull’esaurimento del capitalismo industriale e i cambiamenti della divisione del lavoro ponendo l’accento sull’esistenza di due paradigmi alternativi, il capitalismo cognitivo e il capitalismo finanziarizzato.
Introduzione
di Carlo Vercellone
Questo lavoro si riallaccia ad un’analisi dei mutamenti del capitalismo che parte dal ruolo strutturante delle trasformazioni della divisione del lavoro per interrogarsi sull’ipotesi di un possibile crepuscolo del capitalismo industriale. Questa scelta metodologica segue la strada tracciata dai padri fondatori dell’economia politica. Infatti Adam Smith, sin dal capitolo primo de La Ricchezza delle nazioni, considera gli «effetti della divisione del lavoro sull’industria generale della società» lo sprone più potente della rivoluzione industriale, che egli illustra attraverso il famoso esempio della fabbrica degli spilli. Possiamo retrospettivamente affermare che la crescita fordista ha rappresentato sotto molti aspetti l’esito storico del modello industriale di cui Smith aveva saputo anticipare i tratti e le tendenze essenziali. Da una parte, grazie all’associazione dei principi tayloristi e della meccanizzazione, la forza-lavoro si integra con un sistema sempre più complesso di strumenti e macchine. La produttività può essere allora rappresentata come una variabile le cui determinanti non tengono più in alcuna considerazione le conoscenze dei lavoratori. In questo senso, la rappresentazione smithiana della divisione tecnica del lavoro, caratterizzata dalla parcellizzazione del lavoro e dalla separazione dei compiti di progettazione ed esecuzione, conosce una sorta di compimento storico: la conoscenza e la scienza applicate alla produzione (progettate dagli ingegneri delle grandi imprese) si sono separate dal lavoro collettivo e, come annunciava Smith, sono divenute «come ogni altro impiego, la principale o la sola occupazione di una classe particolare di cittadini» (Smith 1991, p. 77). Dall’altra il potere di accumulazione del capitale industriale – poco importa se la mano invisibile del mercato è rimpiazzata dalla mano visibile dei manager (Chandler 1988) – si afferma non solamente nell’organizzazione della produzione, ma anche in rapporto alla sfera finanziaria. Quest’ultima, particolarmente sotto la forma di credito, si sviluppa essenzialmente in funzione dell’espansione dell’anticipazione di capitale che, secondo Smith, condiziona e governa la riproduzione allargata del capitalismo industriale. La crisi sociale del fordismo ha determinato l’esaurimento delle modalità tayloriste di conseguimento di incrementi di produttività. Più in generale, essa ha messo radicalmente in discussione la dinamica delle relazioni incrociate che riguardano l’economia della conoscenza e i rapporti capitale/lavoro e finanza/produzione. Per questo motivo questa crisi potrebbe essere interpretata come un vero capovolgimento storico1 all’interno della dinamica di lungo periodo del capitalismo. Questo capovolgimento si manifesta in particolare attraverso due tendenze principali del capitalismo contemporaneo. La prima riguarda la diffusione e il ruolo centrale della conoscenza, all’interno di una organizzazione sociale della produzione che tende sempre più a superare i confini delle imprese. Il sapere non è più, come sosteneva Smith, monopolio di una classe particolare di cittadini, e questa diffusione sociale del sapere trasforma la dinamica del progresso tecnico e il rapporto capitale/lavoro. Derivano da ciò il declino storico del capitalismo industriale nato con la grande fabbrica manchesteriana e il passaggio verso una nuova forma post-industriale di capitalismo che potrebbe essere definito capitalismo cognitivo, nel senso che la produzione e il controllo delle conoscenze divengono la posta in gioco principale della valorizzazione del capitale. In questo passaggio, i modelli di rete, di laboratorio di ricerca e di relazioni di servizi, potrebbero, in un certo senso, giocare lo stesso ruolo che la fabbrica degli spilli di Smith ha giocato nell’avvento del capitalismo industriale. Il ruolo centrale che la nozione di tempo impartito giocava all’interno del capitalismo industriale sembra, nello stesso movimento di trasformazione, cedere il posto, nel capitalismo cognitivo, alla nozione di tempi sociali necessari alla costituzione e alla valorizzazione dei saperi. Queste trasformazioni nella divisione del lavoro e nell’economia della conoscenza vanno di pari passo con i cambiamenti profondi che riguardano i meccanismi di regolazione del mercato del lavoro. In particolare, lo sfaldamento del modello canonico del rapporto salariale (il contratto a tempo indeterminato) e la crisi del sistema di tutela sociale costruitogli attorno, si combinano con un importante processo di desalarizzazione formale della manodopera. Un’autonomia crescente delle conoscenze dei lavoratori si trova così associata a una precarietà altrettanto importante che riguarda le condizioni di impiego e di remunerazione della forza lavoro, secondo una relazione sulla quale sarebbe opportuno interrogarsi. La seconda tendenza riguarda un imponente processo di finanziarizzazione. Tuttavia, sono rari i lavori che accostano la genealogia del processo di finanziarizzazione alle trasformazioni della divisione del lavoro e del rapporto salariale. In effetti, la maggior parte delle analisi considerano la globalizzazione finanziaria come il risultato del crollo del sistema di Bretton-Woods che, secondo Robert Reich (1993), aveva segnato l’apogeo del nazionalismo economico. Queste analisi si basano sull’ipotesi secondo la quale, nella dinamica storica del capitalismo, esisterebbe un eterno contrasto tra la logica universale dell’espansione del capitale denaro e i limiti che il potere politico degli Stati tendono a imporre a questa espansione. La fase attuale corrisponderebbe allora ad un nuovo capovolgimento storico nel rapporto conflittuale tra il potere degli Stati e la tendenza della sfera finanziaria a sfuggire a ogni forma di regolamentazione. Pertanto, le relazioni tra crisi del rapporto salariale, trasformazioni della divisione del lavoro e repentino sviluppo della logica della finanziarizzazione sono trascurati. Uno degli scopi di questo lavoro è tentare di colmare almeno in parte questa lacuna, collegando questi aspetti dell’analisi agli altri cambiamenti strutturali che la finanziarizzazione implica nella regolazione del rapporto salariale, sia che si tratti della governance delle imprese o del nuovo ruolo giocato dal risparmio delle amministrazioni e dai fondi pensione. Più in generale, i contributi qui raccolti si organizzano attorno alle seguenti domande. L’evoluzione attuale dell’organizzazione del lavoro e dell’economia della conoscenza corrisponde all’esaurimento della logica secondo la quale, seguendo Smith, si presume che la divisione tecnica del lavoro agisca sulla produttività e promuova il cambiamento tecnico e organizzativo? A questo riguardo, si può affermare che il modello della fabbrica degli spilli non sia stato in ultima istanza che una parentesi storica all’interno della dinamica del capitalismo? Se la risposta è affermativa, in che senso la diffusione e il ruolo primario del sapere definiscono l’apertura verso un XXI secolo postsmithiano? E quale sarebbe allora il modello che, alla stregua dell’esempio smithiano della fabbrica degli spilli per l’avvento del capitalismo industriale, potrebbe sintetizzare, con alcuni fatti stilizzati (nel senso di Kaldor), le nuove determinanti della divisione del lavoro e del progresso tecnico nell’ambito del capitalismo cognitivo? I diversi modelli che le teorie della crescita endogena e di una knowledge based economy hanno elaborato, spiegano il cambiamento attuale della divisione del lavoro e del nuovo ruolo giocato dalla conoscenza? In che modo, infine, lo sviluppo dell’economia della conoscenza è all’origine di nuovi dualismi che riguardano il mercato del lavoro e la specializzazione nella produzione delle nazioni e dei territori? La globalizzazione finanziaria sarebbe dunque indipendente dalle trasformazioni che colpiscono i rapporti di lavoro? O, al contrario, gli sconvolgimenti che la crisi sociale del fordismo ha provocato nella divisione del lavoro e nel rapporto salariale hanno giocato un ruolo primario nella finanziarizzazione del capitalismo contemporaneo? Quali sono le forme di articolazione e di captazione del sapere da parte del capitale finanziario? Quali sono i possibili scenari di evoluzione della regolazione del rapporto salariale e del sistema di protezione sociale nel nuovo capitalismo? Quale ruolo potrebbe qui giocare lo sviluppo dell’azionariato salariale e dei fondi pensione? Esiste un’alternativa al modello americano di cui l’Europa potrebbe essere portavoce? Infine, queste trasformazioni delle sfere produttive e finanziarie, non dovrebbero far nascere una riflessione sulla necessità di nuove norme di distribuzione? In particolare, la questione di un reddito garantito che sia indipendente dall’impiego, non potrebbe trovare nuovi fondamenti teorici nella considerazione del carattere sempre più sociale della crescita della produttività e delle esternalità positive legate alla diffusione e al ruolo motore del sapere? Per rispondere a queste domande, questo lavoro si propone di coniugare teoria e storia economica recuperando una visione centrata sulla dinamica a lungo termine del capitalismo. Questa prospettiva storica sembra tanto più necessaria se si considera che il capitalismo contemporaneo, sebbene segni una rottura con le tendenze della divisione del lavoro promosse dalla prima rivoluzione industriale, presenta numerose analogie con la struttura del capitalismo anteriore alla prima rivoluzione industriale. Il piano di questo lavoro si articola in tre parti, destinate a rendere conto dei diversi aspetti e delle diverse implicazioni che le trasformazioni della divisione del lavoro hanno sulla finanziarizzazione e la regolazione del rapporto salariale. La prima parte, Dal capitalismo industriale all’economia della conoscenza: verso un XXI secolo postsmithiano?, si interroga sull’ipotesi di una nuova tappa storica della divisione del lavoro corrispondente all’avvento di un’inedita forma di capitalismo, definita col termine di capitalismo cognitivo da alcuni degli autori dei contributi qui raccolti. Ne deriva un dibattito centrato tanto sull’importanza delle fratture intervenute rispetto alla logica dello sviluppo del capitalismo industriale quanto sull’impatto di una «economia fondata sulla conoscenza» sulle trasformazioni del rapporto salariale. La seconda parte, Trasformazione della divisione del lavoro e mercati finanziari, tratta una delle questioni più complesse (e meno analizzate) che riguarda i rapporti dinamici tra le trasformazioni della divisione del lavoro e le cause dell’attuale processo di finanziarizzazione. La terza parte, Trasformazioni della divisione del lavoro e nuove norme di distribuzione: il reddito sociale garantito (RSG), si propone di articolare l’analisi delle trasformazioni della divisione del lavoro e del processo di valorizzazione del capitale con la riflessione sulle nuove norme di ripartizione e ridistribuzione del reddito. Il problema centrale qui affrontato riguarda un reddito sociale garantito che sia indipendente dall’impiego e le cui basi poggino sull’analisi dei cambiamenti dell’organizzazione sociale della produzione. Bernard Paulré, infine, tenta nella sua postfazione una sintesi del dibattito sull’esaurimento del capitalismo industriale e i cambiamenti della divisione del lavoro ponendo l’accento sull’esistenza di due paradigmi alternativi, il capitalismo cognitivo e il capitalismo finanziarizzato.
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