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Buona lettura!
Da un esperimento individuale sui new-media a...
Questa che vi riporto è una vicenda in pieno svolgimento, di cui l'esito che pare scontato piacerebbe a tanti poter cambiare. Un storia come tante - è non è un modo di dire - che questa svolta ha come sfondo contestuale Trento. Il protagonista, suo malgrado, si chiama appunto Patrick ed è un migrante, un sans-papiers. Clandestino per la legge italiana, come tanti altri, almeno fino al momento di una sanatoria quando, come per incanto, da soggetti pericolosi diventano una risorsa. L'ipocrisia di questa retorica, propinataci a piene mani dai media mainstream e da tanti attori politici, non ci impedisce di vedere le barbarie a cui sono sottoposte le sorelle e i fratelli migranti nel nostro paese. Speriamo che almeno per Patrick l'esito scontato della vicenda qui sotto narrata sia la libera possibilità di determinare il suo futuro e di perseguire la felicità: ora, in italya, perchè lui l'ha scelto.
Mi chiamo Patrick,
la mia storia è la cronaca della brutalità della legge Bossi-Fini, il percorso verso la conquista della dignità attraverso gli ostacoli che la legge impone a noi stranieri. La mia storia è quella di un ragazzo ghanese che per stare in Italia vicino alla propria madre, per lavorare in regola e per vivere da persona libera ha dovuto fare “carte false”, modificare la sua identità. La storia di un ragazzo di 21 anni che per schivare la severità della legge che non permette ad una famiglia di ricongiungersi ha dovuto negare il suo nome per non negarsi il diritto di vivere senza nascondersi.
Sono stato incarcerato con l’accusa di avere falsificato il documento di soggiorno, infrangendo le leggi che regolano l’immigrazione. Ora sono stato scarcerato, in attesa del processo che potrà costarmi l’espulsione per 10 anni dall’Italia. Il 12 luglio dovrò presentarmi in questura per regolarizzare la mia posizione: se risulterò clandestino mi sarà intimato di lasciare il territorio italiano, se non lo farò sarò nuovamente incarcerato, portato in un Centro di detenzione per migranti (CPT) e rimpatriato con la forza, obbligato ad un viaggio di sola andata verso il Ghana.
Vi chiedo di non rimanere indifferenti spettatori di fronte ad un atto che ha la forza di distruggere una famiglia, di spezzare un sogno, di interrompere un cammino che avevo quasi del tutto conquistato: vivere nel vostro Paese da cittadino straniero regolare. Vi chiedo di starmi vicino, perché possa essere riconosciuta la mia voglia di vivere vicino a mia madre e nel vostro Paese con dignità. Vi chiedo l’impegno per la dignità di tutti gli immigrati, perché la battaglia per i diritti di cittadinanza diventi la lotta per la libertà.
Chiedo a tutti quelli che mi conoscono, al mondo dell’associazionismo, ai democratici e agli antirazzisti di mobilitarsi sottoscrivendo questa lettera, partecipando all’assemblea del 29 giugno, non lasciandomi solo a lottare per la libertà.
Patrick
Ci muoviamo nel campo della comunicazione in modo politicamente scorretto, disinteressati di far parte di una opposizione ragionevole perche' molto semplcimente non c'e' nulla di ragionevole in un sistema che propone il consumo come stile di vita.
La pubblicita' fa questo, nulla di piu' nulla di meno, se vi illudete che vogliano vendervi dei prodotti avete sbagliato binario... i prodotti cambiano ma il messaggio resta ed il messaggio e' semplice: consuma!
I classici strumenti della controinformazione ci stanno stretti perche' alla la follia della comunicazione pubblicitaria non si puo' rispondere che con una follia parimenti strutturata che sputi in faccia i resti della suggestione delle merci e dei consumi.
Di fronte alla falsita' reagiamo con la falsificazione creativa e se ci riusciamo noi... buona guerriglia semiotica a tutte e tutti!
Serpica Naro: la beffa dei precari contro il sistema moda.
26 febbraio 2005: la prestigiosa Settimana della Moda di Milano volge al termine. Il piccolo mondo dello moda è in effervescenza e attende con impazienza la sfilata di una giovane creativa ancora sconosciuta, che farà parlar molto di sé. Poiché Serpica Naro, sedicente giovane, può vantare un profilo ideale per sedurre l’ambiente disincantato del lusso e dei media. Oltre alla sua giovinezza, questa “creatura rimbaldienne dell’alta moda” vanta infatti una doppia nazionalità anglo-nipponica, un cosmopolitismo alla moda che non può che piacere, e coltiva già con delizia l’arte della provocazione e dell’autopromozione.
Attraverso le sue creazioni, pretende di “render sexy” e nobilitare un nuovo modello di vita urbana, quello della precarietà! La sua collezione promette d’essere “fashion” e rivoluzionaria. Il suo slogan («We are the new class”) e le voci curiose sapientemente fatte trapelare ad arte dal suo ufficio stampa han poi fatto crescere la tensione. Serpica Naro, infatti, prima avrebbe tentato di affittare uno dei più importanti centri sociali della città per proporvi la sua sfilata, e successivamente avrebbe lanciato negli ambienti omosessuali un appello di reclutamento di persone affette dal virus dell’ HIV per fungere da mannequins . Scioccati da questo tentativo di banalizzazione, gli ambienti militanti e precari di Milano hanno quindi organizzato una contestazione per impedire la sfilata
Il giorno X le forze dell’ordine sono in febbrile attesa e dozzine di poliziotti presidiano il perimetro della manifestazione. Ma quando il corteo dei contestatori sfocia in prossimità della sfilata, i responsabili della DIGOS non credono ai propri occhi: le modelle della stilista e il suo addetto stampa fanno parte del gruppo dei manifestanti e uno dei partecipanti ha in mano il contratto di locazione del parcheggio dove è installato il tendone che accoglierà l’evento.
Basteranno alcuni minuti ai media presenti e al capo della polizia per realizzare che Serpica Naro non esiste, che è un anagramma di San Precario, il falso santo protettore dei precari inventato un anno prima dagli attivisti della crew Chainworkers. Ben reale invece la collezione di moda di Serpica Naro che viene presentata in un vero e proprio happening, rivelando creazioni per lo meno insolite come un modello destinato alle donne incinte che cercano di nascondere la loro gravidanza per evitare il licenziamento, una tuta da lavoro reversibile in pigiama per poter passare la notte in ufficio o ancora una divisa per chi lavora dentro il fast food la mattina e nel call center il pomeriggio. L’affaire avrà una grande eco tanto che il direttore della Camera della Moda, i cui uffici hanno ufficialmente accreditato la falsa stilista, sarà obbligato in seguito a scusarsi con i suoi sponsor, mentre più d’uno fra i più noti creatori di moda si ripropone di sfruttare l’opportunità comprando il nuovo brand.
La beffa, strumento del movimento sociale e dell’immaginario radicale
Dietro a questa beffa audace ed echeggiante- una delle azioni di disturbo politiche più sofisticate di questi ultimi anni - si nasconde effettivamente il primo movimento auto-organizzato dei precari dell'industria della moda. Per circa un mese, più di uno centinaio di piccole mani – che per la maggior parte fino ad allora a non avevano mai avuto un impegno politico - hanno contribuito attivamente alla sua preparazione. Poiché nel retro del fasto delle sfilate, delle top-model, delle star dello stile e dei miliardi di euro che rappresenta la moda nell'economia milanese, ci sono migliaia di precari, dipendenti saltuari per salari appena di cinque euro all'ora, che rendono possibile lo svolgimento quattro volte all'anno della famosa settimana della moda. Milano, capitale economica d’Italia e cuore dell’Impero mediatico politico di Silvio Berlusconi, sogna in effetti di fondare la sua fama internazionale attraverso l’industria del lusso. Tutto per detronizzare Parigi e ridare lustro all’immagine della città lombarda.
I budget municipali stanziati per la cultura sono stati decurtati drasticamente e le somme così risparmiate sono state reinvestite a sostegno del settore della moda. Monumento alla gloria della moda e del design, il progetto di una grande città della moda sulla base della speculazione finanziaria/fondiaria e della gentrificazione dei quartieri popolari sono all’ordine del giorno. Ma Milano è prima di tutto la precarietà a oltranza, dove circa i tre quarti dei minori di 35 anni lavorano sotto il regime dei contratti atipici, questo precariato messo in atto dalla destra, perpetrato dalla sinistra e in seguito consolidato sotto Berlusconi, ci dice Alex Foti, creatore della May Day Parade, il primo maggio alternativo dei “flexworkers” che ha riunito 120.000 partecipanti nella città l’anno scorso ed ha attecchito a macchia d’olio nelle numerose capitali europee.
Serpica Naro, come San Precario, sono nati per riscattare i precari dal loro isolamento e creare una forza rivendicatrice all’interno di quei mestieri dove è impossibile organizzarsi sindacalmente senza rischiare delle pesanti misure di ritorsione, aggiunge Zoe, grafica free-lance e altro pilastro del movimento. “Noi vogliamo precarizzare chi ci precarizza, e siccome è proprio il nostro isolamento che costituisce la loro forza, noi abbiamo scelto di ricorrere alla potenza del simbolico e dell’immaginario creando una figura libera e collettiva nella quale chiunque potesse incarnarsi senza perdere la propria specificità; un nome multiplo che permetta a ciascuno di agire preservando il suo anonimato” continua Zoe. “Per noi”, precisa ancora Zoe,”la beffa non costituisce il fine primario dell’azione.
La beffa non è altro che uno strumento tra tanti nel processo di creazione di immaginari radicali forti per costruire un movimento sociale fuori dai sindacati e dai partiti istituzionali, che non si sono nemmeno disturbati per la nostra situazione. Nel caso Serpica Naro, la beffa è stato senza dubbio il mezzo più adatto per far capire il nostro messaggio all’interno dell’ambiente molto particolare della moda, del design e della comunicazione. L’immagine un po’ puttaniera e molto controversa di Serpica è stata costruita per questo fine: sedurre un ambiente molto superficiale e comunque sottoporlo alla finzione della trasgressione, e allo stesso tempo mettere in scena un preteso antagonismo coi movimenti di protesta che abbiamo cercato di far passare per arcaici e retrogradi”.
Alle firme dell’alta moda che dispongono di budget colossali per la comunicazione, noi abbiamo dato dimostrazione, con qualche migliaia di euro soltanto (spesi essenzialmente per l’affitto e il riscaldamento della location della sfilata), che la settimana della moda non è così prestigiosa e che i nostri nemici hanno le loro debolezze. “In altri tempi, la nostra reazione avrebbe potuto essere quella di rompere delle vetrine. Quell’epoca ormai è passata e noi abbiamo scelto di rompere le vetrine dell’immagine, quelle di una Milano vampirizzata dalla moda”, conclude Frankie, un altro ideatoredi Serpica Naro.
Comincia il post beffa!
La cosa si sarebbe potuta concludere là, e il falso della Settimana della Moda alla fine sarebbe stato solo un’incursione mediatica effimera e senza conseguenze, se i suoi ispiratori non avessero cominciato ad estendere l’esperienza anche al di là della kermesse modaiola facendo ricorso ad altre forme d’azione, più concrete ma altrettanto creative. Dopo la beffa dell’anno scorso, almeno una trentina di persone, inserite nella fitta trama del movimento milanese, hanno infatti deciso di continuare ed arricchire il progetto costituendo quattro gruppi di lavoro. Uno di questi ha preso la forma di un atelier di moda che permette ai partecipanti di concepire e realizzare i propri capi d’abbigliamento. Un altro si occupa dello sviluppo del sito (www.serpicanaro.com) per farne una comunità dove i giovani stilisti possano condividere saperi ed esperienze, scambiarsi consigli e pratiche di auto produzione per diffondere il principio di un’economia fondata sul capitale sociale piuttosto che sul capitale finanziario.
Un terzo gruppo si concentra sulla preparazione delle azioni da realizzare durante le scadenze ufficiali. Serpica Naro quest’ anno ha scelto di non sfilare, per non ripetere le proprie gesta e per evitare di dare vita ad un rituale militante senza creatività. Ciononostante il gruppo continua a disturbare la Settimana della Moda con la propria presenza attivista. Prima vittima di quest anno: la nota casa di moda di Enrico Coveri che, resasi conto che il marchio Serpica Naro non era stato depositato a livello internazionale, ha deciso di impadronirsene registrandolo unilateralmente.
Ma mal gliene incolse! A fine Febbraio 2006 la sua sfilata milanese è stata infatti oggetto di un happening punitivo da parte dei precari che non hanno avuto difficoltà a metterne in ridicolo l’immagine negli ambienti della moda. Il quarto gruppo di lavoro, infine, si dedica specificamente ai temi della proprietà intellettuale e del libero accesso alla conoscenza. La posta in gioco è più che considerevole nell’universo del lusso e della moda dove molto spesso è la marca in sé stessa a costituire il valore di un’impresa e la ragione principale dei suoi margini di profitto. Ma la questione è del resto altrettanto centrale per Serpica Naro che, obbligata l’anno scorso a depositare il marchio per ottenere i permessi dalle autorità milanesi, non aveva alcuna intenzione di trovarsi inserita passivamente in quella logica commerciale che contesta radicalmente. Era quindi necessario fare di questa anomalia un punto di forza.
Ispirandosi ai principi che sottostanno allo sviluppo del software libero e all’esperienza acquisita dai loro amici danesi di Superflex , i promotori della stilista virtuale hanno così deciso di fare di Serpica Naro un marchio liberato, “una versione generosa del trademark, tutti coloro che vi si riconoscono possono parteciparvi, “un processo open-source” o ancora, come il refrain di una recente dichiarazione del gruppo “una produzione autonoma di senso, un metodo di condivisione, apertura pubblica dei ‘codici’, liberazione e messa in rete di competenze e intelligenze.” Concretamente il marchio Serpica Naro è adesso gestito attraverso una licenza collettiva inedita che prevede che ciascun prodotto con quel marchio e quel nome sia liberamente e gratuitamente riproducibile e modificabile. L’uso artigianale del marchio è totalmente libero, a condizione di mettere in condivisione i suoi utilizzi all’interno della community www.serpicanaro.com.
Il suo utilizzo a fini industriali è ugualmente aperto ma vincolato al rispetto dei principi enunciati nella licenza, dall’applicazione dei diritti del lavoro e sociali all’osservanza di alcune basilari regole etiche. Ormai vero e proprio ‘media sociale’ e ‘meta brand’, Serpica Naro comincia così a mettere in connessione una rete informale di persone e gruppi – sia in Italia che negli altri paesi europei - desiderosi di detournare il sistema di creazione della moda, spostandolo dai meccanismi produttivi e commerciali classici fondati sullo sfruttamento del lavoro ad un sistema fondato sull’intelligenza collettiva e sul desiderio di ciascuno. Autrice del falso originario che ha dato inizio ad un’autentica mobilitazione all’interno di un settore fino ad allora caratterizzato dall’assenza di antagonismo sociale, Serpica Naro è un caso raro ma emblematico di come l’intervento sull’immaginario possa produrre degli effetti concreti sul reale.
Traduzione a cura di SerpicaNaroCrew
Umbre de muri, muri de maine' dunde ne vegni, duve
l'e' ch'a ne': de'n scitu duve a luna se mustra nua e
neutte n'a' puntou u cultellu a gua;
e a munta l'ase gh'e' restou Diou, u Diau l'e' in pe e u s'e' gh'e' faetu
niu; ne sciurtimmu da u ma pe sciuga' e osse da u Dria,
a funtana di cumbi 'nta ca de pria.
E andae, andae, anda ayo; e andae, andae, anda ayo.
E 'nt'a ca de pria chi ghe saia, int'a ca du Dria che u nu l'e' maina': gente de Lugan, facce da mandilla, qui
che du luassu preferiscia l'a; figge de famiggia udu de bun che ti peu ammiale senza u gundun.
E a 'ste panse veue cose che daia, cose da beive, cose da mangia?
Frittua de pigneu giancu de Purtufin,
cervelle de bae 'nt'u meximu vin,
lasagne da fiddia ai quattru tucchi,
paciugu in aegruduse de levre de cuppi.
E 'nt'a barca du vin ghe naveghiemu 'nsc'i scheuggi,
emigranti du rie cu'i cioi nt'i euggi. Finche' u matin
crescia da pueilu recheugge fre di ganeuffeni e de figge.
Bacan d'a corda marsa d'aegua e de sa che a ne
liga e a ne porta 'nte 'na creuza de ma.
Roma, 9 giugno 2006
Controllando i dati di traffico di wumingfoundation dell'ultima settimana, abbiamo notato 300 contatti provenienti da un blogghetto fascista appollaiato su Splinder (non lo linkiamo per non mandargli visitatori), pieno di prevedibile ciarpame.
Ohibò, e come mai?
Subito scoperto e presto detto: da tempo, nella sezione antifascismo del nostro sito, a illustrazione di questa pagina campeggia l'immagine di un torvo squadrista in posa ridicola. Il sosia deficiente di Boris Karloff.
Quale mentecatto potrebbe mai identificarsi con un soggetto del genere, al punto da "richiamare" l'immagine dal nostro sito e farla comparire sul suo blog come parte della testata?
Beh, il tizio lo ha fatto. Ogni volta che un camerata visitava il suo blog, richiamava l'immagine e lasciava una traccia nelle nostre stats.
Allora noi che abbiamo fatto?
Abbiamo sostituito l'immagine...
...mettendoci questa:
Il risultato si può vedere in questa foto della homepage:
Quale migliore icona sotto il titolo "Identità e tradizione"?
Quale migliore illustrazione per la didascalia "La giovinezza è bella [...] perchè [sic] ha il cuore intrepido che non teme la morte. Strano, ma vero! Solo la giovinezza sà [sic] morire. La vecchiaia si aggrappa alla vita con disperata tenacia"?
Quale migliore emblema sopra lo slogan "Dio, patria e famiglia"?
Mentre scriviamo queste righe sono trascorse diverse ore, il tizio non se n'è ancora accorto, e forse nemmeno il tristo manipolo dei suoi visitatori. Del resto, 300 contatti (non visitatori: contatti) in una settimana sono pochini...
Chissà, magari rimane lì per tutto il week-end.