giovedì, dicembre 27, 2007
Cerro Torre: el arca de los vientos
Il titolo del video è anche - spero di non sbagliare - il nome della nuova via aperta: el arca de los vientos.
mercoledì, dicembre 19, 2007
Ottantaquattro anni dopo il Gleno
Vennero coinvolti molti paesi, tra cui il mio paese di origine che si vide portati via una decina fra uomini e donne per lo più presso la centrale elettrica del paese, oltre che il cimitero allora sito nelle prossimità del torrente. Il crollo fu provocato dai materiali scarsi utilizzati nell'opera, oltre che da probabili errori di progettazione. I morti ufficiali furono 356, altre stime parlano di 500 vittime.
Senza valutare il peso che quelle genti di montagna già pativa per le dure condizioni di vita, le conseguenze di questa tragedia certo saranno perdurate per anni. Unica compensazione per la popolazione: la visita del Re "nano" e del vate D'Annunzio.
Per chi volesse saperne di più linko la sezione dedicata al disastro su un portale dedicato alla Val di Scalve che ha il pregio di contenere molto materiale.
Lo trovate qui.
domenica, dicembre 16, 2007
"Voèmo Basi... ma dai moròsi !!" - Manifestazione No Dal Molin Vicenza
80 mila: siamo ancora qui
Un fiume di persone attraversa Vicenza... una sorpresa, una partecipazione oltre le aspettative. Nonostante il silenzio mediatico, l'arroganza dei governanti, la neve che ferma i pullman e Trenitalia che rallenta i treni...
Famiglie, donne e bambini, anziani: decine di migliaia di persone hanno sfilato ancora una volta per le strade di Vicenza; per difendere questa terra, per impedire la realizzazione di una nuova base di guerra. I vicentini, tantissimi, in testa al corteo, e poi gli spezzoni di coloro che, da tutta Italia, sono giunti nella città berica per sostenere la comunità locale.
Una nuova prova di forza; una nuova dimostrazione di maturità. Questo movimento è vivo e vitale, e non si fermerà fino a quando non avrà ottenuto il suo obiettivo: impedire la realizzazione della nuova base Usa a Vicenza.
Un messaggio chiaro, quello lanciato a chi siede al Governo: non è finita qui.
Grazie a tutte e tutti: il futuro è nelle nostre mani.
giovedì, dicembre 13, 2007
lo squaderno e la vita di provincia
Antefatto. C’è questo quadro dal barbiere. Corrisponde pressappoco alla veduta dalla vetrina d’ingresso: la stessa piazza del paese, com’era qualche decennio fa e neanche tanto diversa da ora. In primo piano, una bicicletta e una sedia. L’una accostata all’altra, la sedia di chi resta e la bicicletta di chi va, testimonianza di un incontro che da qualche parte e per qualche tempo ha avuto luogo. Quando rientro dalle mie parti, tagliarmi i capelli mi aiuta ricomporre la relazione tra il territorio della cute e quello geografico. Perché quando li lasci fare i capelli si allungano, si allargano. Quasi che il loro volume e la lunghezza debbano coprire le distanze percorse, legare insieme quest’incontro e quell’affetto, far passare in mezzo un qualche fluido che li tenga vivi o prometta di farlo. Ma poi i continui andirivieni procurano intrecci e increspature. Saltano fuori ambigue le doppie punte... C’è da impazzire a farsi crescere così i capelli: si afflosciano da una parte e ti deformano il viso. Dall’altra tirano e fanno male, si spezzano. Si diradano. Dice: come te li faccio? Come al solito, dico io. E come al solito è sempre diverso, che da un taglio all’altro passano mesi, che il numero dei capelli non è quello dell’ultima volta e alla porta d’ingresso della saletta ho notato un fiocco rosa e sopra c’è scritto Angelica.
C’è questo fatto in provincia, che tutto cambia anche se niente è diverso. I tempi i luoghi e
i loro abitanti sono mescolati: la terza corsia in costruzione e i paesi attorno che si spopolano, i cinesi rinchiusi dentro fabbriche abusive e il lavoro artigianale a casa conto terzi, il distretto industriale e la delocalizzazione in Est Europa, i contadini e le ecomafie, cittadini e clandestini, nomadi e residenti. La provincia è terra di attriti e di collisioni. Lo vedi dal modo sempre più veloce in cui si consuma, nell’anima come nel paesaggio, negli affetti come negli oggetti. Lo vedi dai distacchi inesorabili tra le persone che se ne vanno e quelle che restano, dalla circolazione vaselinica delle merci, dai miasmi catodici dell’infotainment, dai detriti materiali e psichici sempre più tossici che si sedimentano e contaminano gli spazi e i corpi, narcotizzano i sensi. Quest’atmosfera rarefatta rende gli attriti meno visibili, le collisioni insonorizzate, finchè la catastrofe esplode in una successione perversa di delitti e rappresaglie, emergenze e insabbiamenti.
Continua sul n. 6 de lo squaderno.
Design21: Social Design Network
(frnc)
DESIGN 21: Social Design Network's mission is to inspire social activism through design. We connect people who want to explore ways design can positively impact our many worlds, and who want to create change here, now.
http://www.design21sdn.com/
martedì, dicembre 11, 2007
Haikyo: la fotografia delle rovine
Fino a qualcosa di più sbalorditivo, un'intera isola ora abbandonata - nella foto a lato - ma che fino a una trentina di anni fa ospitava qualche migliaio di donne e uomini, che li vivevano e lavoravano nelle miniere. Una volta che queste ultime sono state chiuse l'isola è stata completamente abbandonata, così la natura ha iniziato a riprendersi quello che le era stato sottratto a suo tempo, trasformando l'isola in un perfetto non-set per i fotografi haykio. L'isola si chiama Hashima, sulla costa di Nagasaki, ed è ufficialmente non accessibile liberamente.
Ho cercato un pò in Rete ed ecco che subito è saltato fuori il sito di Hiroyuki Tsuzuki, fotografo haikyo, che con le sue immagini rende tutto il fascino di questi luoghi che evocano mondi futuribili, così simili a quelli visti nei film catastrofisti e, soprattutto per i giapponesi, sugli anime.
Nella cultura giapponese leggo che non si dà valore a ciò che è vecchio, una qualità questa che pare non sia apprezzata e poco accettata. Certo queste immagine, così come l'interesse verso questi luoghi, avranno certamente a che fare con il fatto che la società giapponese sia "vecchia" e oramai in declino.
Queste sotto sono una selezione personale e parziale di fotografie, voi fatevi un giro direttamente sul sito di Hiroyuki... e vedete come ve la cavate con il giapponese (a partire da quelli che penso siano i titoli delle foto).
lunedì, dicembre 10, 2007
osocio - social advertising and non-profit campaingn
Despite there being hundreds of other ad blogs on the web, Houtlust stood out by focusing exclusively on social advertising. Unlike commercial advertising, which only attempts to influence purchase decisions, non-profit ads seeks to connect us with other human beings. Social advertising has an uncanny power to make us stop, think and then take action to help a person, or a group of people, who we don’t even know, who might be from a foreign culture, living thousands of miles away. And for that reason we celebrate these ads, study them and discuss them at length. We hope you will too.
Created by Marc van Gurp in October 2005, Houtlust began as a personal collection of non-profit ads. Originally the site was only written in Dutch, with no thoughts of a wider audience. But the demand for an English version quickly grew. The tiny niche blog got bigger and bigger. And it wasn’t long before Houtlust became known as the authoritative reference of non-profit advertising for the ad industry and socially minded people everywhere.
In the spring of 2007 discussions started on how to take Houtlust to the next level. Interactive agency Onstuimig and branding agency Alef de Jong were quick to volunteer their services to help with the re-brand and re-launch of new website. The result of this cooperation is where you are now: Osocio.
Osocio is more then a blog. It’s a complete resource for all things in the world of non-profit and social messaging. It’s a platform for global and local social issues, both large and small. It’s a community of social thinkers and marketing do-gooders.
While Houtlust was curated by one person (Marc van Gurp), Osocio has several contributors, each of whom are specialists in a specific field of the diverse non-profit sector. We are glad to welcome these experts to the Osocio team (see below).
Of course, we have our own ideas on how to make the world a better place. However, Osocio promises to never push any political agenda of its own. The campaigns we publish in no way directly express our personal stance on a specific issue. Our focus is solely on the communication of social messages.
If you feel you can collaborate in any shape or form, please contact us. We’re always keen on new social campaigns. So please send us the non-profit marketing you’ve been working on, or the work of your agency, along with news, links or tips.
Although you can read this text in many languages, all the content of Osocio is originally written in English.
Tags: abuse, activism, advertising, animal rights, awards, animal rights, campaign, communication, culture, design, drugs, education, entrepreneur, gender issues, grassroots, environment, fundraising, government, health, human rights, marketing, media, ngo, non-profit, politics, religion, poverty, road safety, social, social aid, solidarity, third world, violence, war, woman issues.
domenica, dicembre 09, 2007
Noi, i fratelli della curva - di Marco Philopat
da il manifesto - 8 dicembre 2007
Vengo dalla periferia sud-ovest di Milano, sono entrato nella curva del Milan a 14 anni. Ci sono arrivato grazie alla passione per il calcio. Se ci sono da quasi diciotto anni è perché tra gli spalti e nelle trasferte mi sono nate grandi amicizie. Andare allo stadio e abbracciare la cultura ultrà significa entrare nell'ottica di un vero e proprio stile di vita, con i suoi ritmi, le sue regole, cioè... Sono dei linguaggi difficili da capire per chi non è in mezzo. Vedi, ogni volta che ti piazzi in curva e sta per iniziare una partita, ti senti... non come dire... aaaahhh... Sei zeppo d'adrenalina, tensione, paura, e soprattutto c'è una gioia davvero impossibile da tradurre con le parole. Durante la settimana hai un solo un'idea fissa nella testa, quella di rientrare allo stadio per la prossima... È una malattia... Cioè, per farti capire posso raccontarti una partita, per esempio Milan-Ajax di tre o quattro anni fa per i quarti della Champion. All'andata ad Amsterdam non puoi capire quanto ci siamo divertiti, però era finita 0 a 0 e qui a Milano la vedevamo brutta... Se non vincevamo non avremmo potuto giocare il derby europeo, anzi quelli dell'Inter sarebbero andati a divertirsi alle nostre spalle ad Amsterdam. Quella volta in curva stavamo per scoppiare... 1 a 0 per noi, 1 a 1, 2 a 1, 2 a 2... A un minuto dalla fine eravamo fuori dalla Champion... Disperazione totale, gli interisti ci avrebbero preso per il culo alla grande... In quel momento di pensieri atroci, Inzaghi fa un pallonetto... E la palla entra in rete... Puuuf, cioè... Un delirio... Stavo volando giù dal secondo anello per l'intensità del casino...
Oggi le cose stanno peggiorando per noi ultrà, ti senti braccato, certe volte sembriamo dei clandestini... Una volta avevi dei posti, dei bar, delle sedi dove ti ritrovavi, ora è tutta una massa invisibile che gira per le strade, un po' in quel posto, un po' nell'altro, siamo sempre in movimento, come uno sciame di api per la città. Poi ci sono i siti, i blog, molto avviene attraverso le reti, ci si organizza da lì, anche se alle volte è meglio incontrarsi di persona, cioè, in quei casi puoi parlare più liberamente. Un'altra differenza tra ieri e oggi sono i costi, tempo fa per una trasferta erano sufficienti ventimila lire, adesso 50 euro non bastano mica, solo per entrare in certi stadi te ne chiedono trenta. C'è gente che non ce la fa... Così ci vanno solo i figli dei ricchi e quelli che fanno dei sacrifici mostruosi: lavoro per 12 ore al giorno, mai al cinema, mai fuori a mangiare, c'è chi non va mai in ferie... Ma uno non può rinunciare, fare l'ultrà è una passione troppo forte, da portare fino in fondo, al cento per cento, è come una famiglia, siamo tutti fratelli in curva.
C'è sempre qualcosa da esultare o qualcosa per cui ci rimani male, quando perdi alla cazzo o quando la squadra fa schifo... Hai speso tutti quei soldi e devi stare attento a non sfogare nemmeno un minimo la tua rabbia, la polizia non aspetta altro! Ecco la cosa che è più cambiata, ormai con la legge Amato, noi ultrà siamo trattati peggio dei delinquenti comuni.
Poi ti sembra logico che questi nuovi decreti ti proibiscono tutte le coreografie? Era la cosa più bella e creativa: bandieroni, figure con i cartoncini di 2.000 metri quadri da paura, non si può portare nemmeno più megafoni e tamburi... Che cazzo puoi fare adesso? Sgolarti per tre ore con l'ugola in fiamme? Ormai alla fine della partite rimaniamo tutti senza voce, cioè... Uno strazio... La gente si sbatteva anche mesi per realizzare gli enormi striscioni e quando si esponevano venivano coinvolti anche 15 mila tifosi. Sono cose fenomenali da vedere, era una festa che ti faceva dimenticare tutto la rabbia che c'avevi in corpo.. Che cazzo di male ti possono fare le coreografie? Poi c'erano dei tipi in curva bravi come degli artisti... Cioè, per esempio... Io perché ho cominciato a interessarmi alla cultura Hip Hop? Perché fin da ragazzetto stavo ore a guardare questi miei amici che disegnavano gli striscioni o che battevano il tamburo inventando gli slogan in versione rap, adesso senza tamburi e impianti voci come fai a farti sentire da quelli che sono in alto... È impossibile, lo stadio è grande...
Comunque la repressione è controproducente, hanno rovinato tanti giovani con questi assurdi giri di vite. Ti voglio vedere a te, se per caso stai un po' nervoso per i cazzi tuoi, hai bisogno di stare bene, di sfogarti un po' con i tuoi amici, di fare un po' di bordello... Ti ritrovi fuori dallo stadio con gli sbirri che ti ringhiano sempre addosso, si entra dentro come degli scolaretti senza folklore e nemmeno una bandierina da sventolare. Magari la squadra fa schifo, magari ha perso, le altre tifoserie ti sfottono, hai speso un patrimonio e devi stare ancora zitto... Cioè, ti pare logico? La stessa cosa succede per le strade, non si può più dire nulla, fare niente, guarda come trattano oggi i writer? Se passa la "task force", la nuova legge dove persino i vigili urbani possono legarti... Per una bomboletta rischi la galera... Ti puoi cuccare fino a due anni e sei mesi per una scritta sui muri! Ma ti pare normale? In questo clima qualcuno sta a casa per settimane, per mesi, poi quando esce non ne può più e magari si fa coinvolgere in cose che non vorrebbe fare... Cioè, i giovani, soprattutto quelli che come me vengono dalle periferie, non ci stanno più dentro... Così vengono fuori le stronzate... È una merda di società nel suo completo, siamo controllati abbestia, figuriamoci per noi ultrà o per chi ascolta il rap... Per me è una battaglia ogni giorno, perché sono un ultrà veterano e mi piace ascoltare Fabri Fibra, il Vacca, qualcosa dei Club Dogo e sono pure amico di tutti i writer di Milano. La vita mi si stringe addosso, tra un po', senza nemmeno rendermene conto, mi ritroverò rinchiuso in una cella anch'io... Cioè, cazzo!
Intorno a San Siro ci sono una marea di muri pieni di scritte a spray, ogni settimana ce ne sono di nuovi, strati su strati di tag e disegni troppo belli... Cioè, sono delle vere opere d'arte, invece all'interno dello stadio non puoi scrivere niente, nemmeno con un pennarello, sennò ti blindano in un minuto, tutto grigio-cemento da far schifo. Credo che se autorizzassero i writer a realizzare un grande muro interno, magari quello della curva sud, tutti sarebbero più felici e ci sarebbero anche meno scazzi, perché è proprio ganzo vedere uno stadio colorato in una città supergrigia come Milano, ti dà un senso diverso, cioè, buone vibrazioni. Mi piacerebbe tanto vedere uno stadio pieno di graffiti come quello di Monaco o quello fantastico di Eindhoven in Olanda, che è una botta visiva micidiale, completamente colorato, allegro, bellissimo...
sabato, dicembre 08, 2007
Just Seeds - Who We Are
History
Justseeds was originally started in 1998 by artist Josh MacPhee as a way to distribute his art and the Celebrate People's History poster series. He slowly expanded Justseeds to include the work of like-minded artists. In 2004 it grew too large to hold in MacPhee's apartment and order fulfillment was taken on by Clamor Magazine and their new online sales venture Infoshop Direct. Both Justseeds and Infoshop Direct continued to grow, but in late 2006, serious financial problems at Infoshop Direct caused it to unexpectedly and immediately shut down. Justseeds was left with no functioning website, no order fulfillment service, and over $8,000 in debt; things looked pretty bleak. Amazingly, a grassroots effort of hundreds of people donating relatively small amounts of money helped Justseeds pay off all it's debt, and a couple of successful benefit art shows raised enough money to launch a new and improved website.
(Nella barra laterale trovate il feed da Just Seeds)
venerdì, dicembre 07, 2007
Contro il Ritalin
(frnc)
A cura del Telefono viola di Bologna - tratto da carmillaonline
Il ministero della salute nel 2002 ha autorizzato la sperimentazione del RITALIN, un farmaco "dedicato" ai bambini che si appresta entro sei mesi a invadere il mercato italiano. Gli psichiatri affermano che esiste una malattia psichiatrica dell'infanzia che consiste essenzialmente nel fatto che alcuni bambini sono distratti e molto vivaci. E' bene ricordare che la definizione di una nuova malattia nel DSM (manuale diagnostico e statistico dei disordini mentali) non richiede vere prove scientifiche.
E' sufficiente che si compili una lista di domande, osservando il bambino: bastano sei risposte positive su nove per diagnosticare la ADHD (Attention Deficit/Hyperactivity Disorder).
Riportiamo alcune delle domande del test riferite ai bambini dai 2 ai 5 anni:
-"muove spesso le mani o i piedi o si agita sul sedile?"
-"è distratto facilmente da stimoli esterni?"
-"ha difficoltà a giocare quietamente?"
-"spesso chiacchiera troppo?"
-"spesso spiattella delle risposte prima che abbiate finito di fare la domanda?"
-"spesso interrompe o si comporta in modo invadente verso gli altri; per es. irrompe nei giochi degli altri bambini?"
Gli psichiatri statunitensi garantiscono l'efficacia del metodo di individuazione del bambino da curare e affermano che sono necessari 16-20 min. di osservazione per essere certi della loro diagnosi. I promotori del RITALIN in Italia affermano che a loro servono dalle 4 alle 5 ore di osservazione, volendo forse dimostrare maggior rigore scientifico rispetto ai colleghi d'oltreoceano.
Avvertiamo quindi genitori e insegnanti: se venissero a dirvi che il vostro bambino presenta questo "disturbo" e che deve essere "trattato", non fidatevi!.
Il Ritalin (definizione biochimica: metilfenidato) è un'anfetamina nota da decenni, usata sia come dimagrante, sia come droga euforizzante; è classificato nella tabella II degli stupefacenti con oppiacei e cocaina.
Ad oggi non esiste una versione scientifica fondata su quale sia il meccanismo biochimico che la sostanza produce sul cervello del bambino. La versione più accreditata è che migliora solo temporaneamente i sintomi (una dose ha durata di 4/5 ore) e che permette di concentrarsi su una attività monotona e ripetitiva.
Vale a dire che il farmaco non compie il miracolo di migliorare le capacità scolastiche o relazionali del bambino o di sviluppare abilità e motivazioni.
Dato che non esiste una eziologia dell' ADHD, la diagnosi è basata su strumenti pericolosamente arbitrari.
Gli enormi interessi economici della casa produttrice fanno temere un uso massiccio di questo farmaco così come già avviene negli USA.
Il RITALIN era famoso tra le comunità Hippy degli anni ' 70, usato per numerose sedute di sballo e da giovani donne per "pseudo cure " dimagranti (con effetti devastanti).
Negli stessi anni gli psichiatri americani "scoprivano" un nuovo "disturbo" nei bambini, l' A.D.H.D. che tradotto in italiano significa "Sindrome da iperattività e deficit di attenzione".
Bambini particolarmente vivaci, o, al contempo, molto distratti nella vita scolastica rivelavano un "disturbo" che trovava la sua spiegazione in ambito patologico. Come per tutte le "malattie" psichiatriche anche per questa fanta-sindrome, A.D.H.D., è stata creata ad hoc, una cura psicofarmacologica.
Il Ritalin è un metil-fenidato che, somministrato, a breve termine aumenta le prestazioni di qualsiasi persona, ma a medio-lungo termine causa una serie di effetti nocivi e complicazioni.
E' una anfetamina, paradossalmente somministrata ad individui già iperattivi di per sé, che , appunto grazie alle sue qualità di aumentare le prestazioni, contribuisce a far si che l'allievo risulti attento e collaborativo durante le lezioni.
Viene somministrato durante l'anno scolastico, escluso quindi il periodo di ferie estivo e durante le feste. Sovente l'interruzione del trattamento provoca problemi e deve essere sostenuta con altri farmaci e monitorata da controlli medici.
In Italia la comuni psichiatrica italiana chiede a gran voce che il farmaco sia disponibile, vista la crescita esponenziale dei bambini cui viene diagnosticata la sindrome.
L' unico strumento diagnostico per ora utilizzato è un questionario fatto compilare ai genitori, e in cui le domande hanno questo tenore:
a. Spesso il bambino non fa attenzione sufficiente ai dettagli o fa sbagli di negligenza nei compiti, nelle altre attività lavorative o di altro genere;
b. Spesso ha difficoltà a mantenere la concentrazione durante i compiti o persino nelle attività di gioco;
c. Spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente;
d. Spesso non segue le indicazioni e non finisce i compiti di scuola o di altro genere(e ciò non è dovuto a ribellione aperta o al non aver compreso le istruzioni);
e. Spesso gli rusulta difficile organizzare compiti e attività;
f. Spesso non ama o addirittura odia o è molto titubante ad impegnarsi in compiti che richiedono uno
sforzo mentale sostenuto;
g. Spesso perde cose necessarie ad effettuare compiti o attività ( per es. la lista dei compiti da fare,
matite e penne, libri, strumenti vari);
h. E’ spesso distratto da stimoli estranei;
i. Dimentica spesso le attività quotidiane;
Che questa sindrome, sempre che si possa definire tale, si possa curare con altri strumenti che non siamo il farmaco della multinazionale - magari scoprendo le cause del disturbo nelle trasformazioni che l'umanità sta vivendo, che producono inquinamento, intossicazioni, vita frenetica, modificazioni genetiche, radiazioni - non viene preso in considerazione.
La mano lunga del business medico e farmaceutico ha la meglio e così i bambini italiani avranno finalmente la possibilità di rivaleggiare con i loro coetanei statunitensi ed europei nell' ingurgitare anfetamine sin dalla più tenera età.
Quando si presenterà nelle scuole italiane, e anche negli asili - il Ritalin può essere somministrato anche ai bambini di 4 anni - il farmaco causerà dibattiti accesi tra insegnanti, genitori e medici. Tra chi sarà favorevole all' utilizzo del farmaco sui bambini troppo vivaci e dalle prestazioni scolastiche deludenti, e chi invece lotterà per impedirlo. Non sfugge l'importanza del problema che investe soprattutto genitori ed insegnanti, sovente inconsapevoli che dietro una innocente pastiglia dagli effetti così miracolosi, si celino invece da un lato complicazioni future nella salute e nello sviluppo psicofisico dei loro figli, dall'altro una delle più selvagge ed agguerrite lotte di multinazionali, il cui bene supremo rimane il profitto.
Pensiamo che la dipendenza da un farmaco "somministrato dallo STATO", contro la libera scelta della persona e in questo caso dei genitori, sia da combattere senza mezzi termini. Organizziamo la disobbedienza alla psichiatria del controllo sociale. Abbattiamo le false sintomatologie come l' ADHD. Organizziamo il rifiuto degli psicofarmaci diretti all' infanzia. Allertiamo genitori ed insegnanti: il Ritalin è funzionale solo alla scuola-azienda! Chiediamo a tutti, a chiunque abbia possibilità di accedere ai mezzi di informazione di accogliere, diffondere e sostenere questo appello.
L' amore, l'ascolto e l'attenzione nei confronti dei nostri figli non potranno mai essere sostituiti da nessun tipo di psicofarmaco e da nessuna altra forma di controllo.giovedì, dicembre 06, 2007
neuropa creativa a graz
Sono stati 3 giorni di attivismo & artivismo intensissimi nella città capitale della stiria a meno di 100 km dalla maribor slovena. graz è una città di 200mila abitanti tagliata in due da un fiume impetuoso e dominata da un'erta rocca con un castello pergolato e terrazzato. Spira un fiero vento montano fra le botteghe e i campanili medievali. Capitale europea della cultura qualche anno addietro, ha realizzato per l'occasione una kunsthaus in riva al fiume e un'isoletta artificiale annessa. E' una costruzione ardita che si può definire come una creatura a metà fra una cornamusa gastrica e un baubau buzzatiano che aleggia a mo' di nero dirigibile. Quando il sole tramonta, un gioco di specchi-occhio sembra darle un corpo a scaglie. E' un antipompidou, insomma.
Arrivo di sera e vengo accolto da laila, stiriana-maltese di radical europe che mi ha invitato, rheiny ("rheinard is too german"), hacker e reporter, leo, un attivista negriano ultrasimpatico patito di stadi e curve insorgenti (gode quando gli faccio vedere l'articolo del corsera che reca il titolo "ultrà senza confini uniti in europa: odiano la polizia, si firmano acab e appoggiano le banlieue. Il cordoglio per gabbo unisce un movimento che usa il tifo come forma di antagonismo. a vienna come a kiev, a colonia come ad atene, a madrid come a bucarest"; sembra l'inizio di un appello euromayday, commenta più di uno), spitoo, attivista del soc ad almeria in andalusia, il sindacato che organizza i migranti che lavorano nelle serre, e kolya abramsky (conosce paolino di terre mutanti!), forse il primo storico del movimento noglobal (nella fase ante001) che oggi sta facendo un phd in sociologia a suny in pennsylvania. Rheiny vede che a me, spitoo e kolya ci stanno cadendo le orecchie dal freddo e senza dire niente scompare e ritorna con tre cappellini di lana a strisce bianche e nere. d'un tratto eccoci trasformati in 3 gnomi noglobal: un senegalese andaluso, un milanese calabrese e un ebreo angloamericano: now is the future!
Andiamo a fare un salto a radio helsinki (ci dicono che bifo è stato immortalato al suo ingresso) e rheiny dice che si deve assentare mentre laila pronuncia misteriosamente la parola sabotaggio. Il giorno dopo rheiny mi spiega che la radio (tipo radiopop) voleva fare due ore di intervista in diretta il mattino con una notoria xenofoba nazi (alla destra di haider). A tutti sembrava allucinante, ma nessuno in redazione faceva niente per opporsi. Così lui ha messo fuori uso i microfoni e pubblicato un comunicato sul web tipo "ci scusiamo per problemi tecnici". L'intervista alla nazi è saltata, ma lui ha dovuto dare le dimissioni... Dopo una ricognizione degli stencil sui muri di graz andiamo all'inaugurazione del nuovo spazio espositivo di rotor, l'associazione artistica che ha organizzato la conferenza "land of human rights: artistic and activist stragies for making rights visible" che apre il giorno dopo con gente da tutta l'europa centrorientale and beyond. E' una mostra dichiaratamente noglobal, tutta dedicata a esperienze e visioni di attivismo sociale nella neuropa del dopo guerra fredda.
Un bellissimo video mixa l'uso simbolico del pugno chiuso dagli anni 20 agli anni 90 passando per gli anni 60. Comunismo, anarchismo, pantere nere, zengakuren, via campesina, noglobal europei: una cavalcata simbolica. Ampio spazio alle opere create per la mobilitazione di lungo corso (e ancora in corso) a Vilinius per salvare il Lietuva, il cinema esempio di modernismo sovietico che da 40 anni è epicentro della vita culturale della città e di cui vorrebbero fare un centro commerciale (il destino toccato a tutti gli altri teatri). Il simbolo di rotor è stato disegnato dall'artista in residence, una donna slovena sulla sessantina che ha creato un simbolo per dire che tutti gli esseri umani sono uguali sotto il sole: due fregi alla fred perry racchiudono 13 stelle nere sotto uno scoop sun. Mi piace: sembra il fregio di una bandiera centrasiatica e aggiunge l'anomalia jinx sovversiva (il 13 da gatto nero di halloween) alle 12 stelle cattosocialiste della disunione europea.
E' un pieno di gente, conosco una ragazza che ha scritto su chiapas e oaxaca (parla in italiano perché stava con uno di yabasta bologna). Mi dicono che è presente l'ultimo sindaco socialista di graz, un uomo incanutito e segaligno, vestito come un trekker, dallo sguardo gentile, che regala a rotor la targa dei giusti che gli ebrei austriaci gli avevano dato dopo la guerra, in memoria di quanto aveva fatto per cercare di proteggerli dalla furia nazista. E' come se dicesse "vi passo il testimone, adesso sta a voi battervi contro il ritorno del fascimo europeo". Il giorno dopo si attacca con la conferenza, che verte sulle forme di attivismo creativo per far emergere diritti negati, dai migranti ai precari, dalla lotta all'immobiliarismo all'identità europea meticcia, dai noborder agli zapatisti, da Malaga a Pietrogrado. Si tiene in uno spazio spoglio, dove si concepiscono azioni di teatro da strada, nel quartiere turco della città. Il livello è della madonna. Di solito io mi rompo i coglioni in queste ciarle. Ma ci si sente fra pari, non ci sono intellettualismi indebiti e seriosità fuori posto. Si respira subito sorellanza e voglia di cambiare il mondo.
Apre uno scienziato politico ("sono anarchico kropotkiniano nonviolento") della freie universitaet che mi dicono essere stato un faro della dissidenza politica in germania federale. E' l'unico in là con gli anni. L'età media è sui 30 con qualche 'antenne come me. Segue una ragazza che ci fa un quadro dei campi di detenzione per immigrati dentro l'unione e alle porte dell'unione, come in ucraina e in libia. c'è un reportage agghiacciante su ceuta e melilla. poi parla spitoo, dei pogrom contro i migranti, di come soc da sindacato rivoluzionario per braccianti analfabeti nei 70s si sia trasformato in un sindacato migrante. E di come i proprietari di campi e serre preferiscano oggi importare manodopera dall'est per usarla come forza crumira contro i raccoglitori neri e magrebini da lui organizzati. Parla quindi Dieter, un biologo e agronomo che lavora con longo mai, via campesina e european civic forum sui temi di sovranità alimentare e lavoro agricolo. Ha girato i campi dalla spagna all'ucraina ed è superpunksimpatico. Poi è la volta di Rubia Salgado, che in maiz organizza le donne migranti a linz con campagne pink con cartelli che dicono "prekaer und revolutionaer". E' una butch brasiliana che si sforza di non far la simpatica, ma le foto che mostra strappano il sorriso a tutti. Parla poi la maitre a penser spivakiana dei neri austriaci (ai tempi di mozart, c'era un celebre nero alla corte asburgica), Araba Evelyn Johnston-Arthur, una giovane donna vestita di nero che traccia il rapporto fra discorso dei diritti umani e liberazione nera. Chiude il fratello maydayano Josip Rotar, che presenta il film sulla carovana dei cancellati (i nonslovenofoni che si trovarono esclusi dalla cittadinanza nel 92) che da lubiana è arrivata a bruxelles passando per parigi, chiedendo all'europa i diritti civili di base negati dallo stato-nazione.
Il film è davvero fantastico. Ti commuove e ti fa arrabbiare. Dobbiamo farlo vedere a Milano assolutamente. Si tratta di una lotta modello di quello che il transnazionalismo radicale europeo deve riuscire a compiere, se non vuole rimanere schicciato dalla tenaglia costituita da liberalismo e nazionalismo. Riportiamo in albergo Mateya, la compagna di Josip incinta, una storica della dissidenza slovena che lavora con lui in una radio commerciale: aspettano una bambina a marzo! Passiamo tutta la serata a bere e parlare delle prospettive euroradical della rete mayday, di maribor, lubiana, milano, di negrianesimo nordestino e lombardo. Di verde, anarchia e pink. E' entusiasta dell'idea di costituire una sorta di internazionale dei noglobal europei. Facciamo la Zeroeth Transnational of european radicals! Che ne dite? Gli parlo della mia idea di bandiera noglobal. Lui ne propone un'altra assolutamente più figa.
Cazzo, dài, facciamo emergere l'europa dissidente e insorgente di spazi sociali, collettivi politici, media indipendenti, innovazioni artivistiche. Se non ora, quando? Dopo tot birre e passeggiata notturna sulle alture in solitaria, la mattina si apre con Kolya (che studia l'economia politica di energia e comunità alternative) fa un affresco del movimento noglobal da una prospettiva worldsystems mixato con moltitudine e annuncia (troppo d'accordo) la fine avvenuta della globalizzazione multiculturale e l'avvento del regionalismo securitario di elite straricche e guerresche. Poi fa vedere le foto della comunità zapatiste all'ultimo incontro transnazionale organizzatto dall'EZLN quest'estate. Fanno vedere un altro mondo possibile all'opera, dai corsi di agronomia alla logistica della distribuzione, i luoghi della democrazia diretta, i murales della liberazione india, l'ironia del discorso marcosiano (kristo, Chavez è andato sotto; è una battuta d'arresto, e sob per le 36 ore, ma meglio così che un altro caudillo rosso a vita; è la dimostrazione che il venezuela è una democrazia sociale, non un regime).
Poi è il mio turno (dopo due cippe per trovare la concentrazione). Margarita, l'irruente e vitale moderatrice mi confessa una travolgente passione per san precario. Poi tira fuori una fotocopia del santo che stava nel suo ufficio, la quale poi viene affissa nel sipario alle spalle dei relatori per tutto il resto della conferenza. Allora metto il computer sull'immagine del santino e comincio la mia tiritera abbastanza ispirata (segue net parade e i poster mayday 004, 005, 006, vienna, berlino). E' finita. Parlo con la mamma di Laila di società resistente e sarkozy.Di come una volta c'era una solidarietà transetnica nei quartieri popolari e di come manchino oggi ideologie universaliste che possano motivare le persone ad agire insieme a chi condivide il tuo spazio urbano. Seguono Julien che con Fanny di génération précaire hanno fatto l'agitazione degli stagisti con le maschere bianche e fatto fare una figura di merda ai ministri alla conferenza stampa al telegiornale smentendo a latere con i giornalisti che le robe proposte fossero un benché minimo miglioramento per gli stagisti, ma anzi un peggioramento perché l'indennità di 300 euro era la stessa solo che ora si potevano far lavorare gli stagisti i primi quattro mesi gratis! (la proposta fu poi ritirata).
Adesso fanno jeudi noir. Party improvvisati con mr disco e altri personaggi queer andando a zonzo per la città si presentano in massa agli appuntamenti delle agenzie immobiliari e fanno irruzione nelle case ripresi da telecamere di fronte agli occhi increduli dei proprietari. Si chiamano giovedì nero perché hanno occupato un palazzo di fronte alla borsa. La crisi degli affitti è totale e non viene applicata la tassa agli appartamenti sfitti. Loro sono per la regolazione "realistica" del mercato, non per i sussidi agli affitti perché sono inflazionisti. Anche loro si muovono in un'ottica demoradicale dichiaratamente priva di proclami ideologici. Fanny dice che vogliono usare la leva mediatica al massimo, anche se significa fare il lavoro delle redazioni. Sono vicini ad antipub, nati negli anni 80 e son mediattivisti della madonna. Si mangia cucina bioasiatica grazie al collettivo omega di donne che sembrano tatare. Incontro Elizabeth Steger della mayday viennese! Che figata, ci siamo scritti tanto! Poi io mi faccio una bigiatina di un paio d'ore per prendere i regalini a chi si ama e farmi un sonnellino (i wanna finally party hard tonite).
Ritorno in tempo per vedere un uomo del 22esimo secolo all'opera, Gediminas Urbonas, fratello del 66 che sembra il fratello polare di ikarris degli eterni di jack kirby, con occhi di ghiaccio e uno sguardo divertito sotto il taglio electrobeat dei suoi capelli bianchissimi. E' un artista che a Vilnius ha tirato su un casino intorno al cinema Lietuva (che significa Lituania) che faceva vedere il cinema sperimentale dell'est (e restaurato nel 99 per festival cine) fra cui (come mi ha raccontato poi dopo una notte mirabolante) gli ostern e i redstern: i western sovietici degli anni 60!! Dove i buoni erano degli indiani interpretati da musulmani bosniaci e i russi bianchi facevano i cowboy in set locati in kazakistan... Dovendosi muovere in un contesto di stato nazionalista hayekiano in cui qualunque protesta diventava immediatamente bollata di comunismo ergo di stalinismo, e dove la politica economica è fatta dall'institute for the free market, la sua compagna e lui hanno squattato la biglietteria riscaldata dove si faceva la fila ai tempi dell'urss e l'hanno trasformato in atelier di attivismo dove chiunque in città poteva fare la sua cosa, proporre e realizzare la sua compagna, suonare il proprio concerto, creare insieme qualcosa. Hanno arruolato cani e intellettuali, fatto bagni collettivi, steso striscioni su autostrade, una miriade di azioni più o meno strane che han creato un movimento collettivo che ha conquistato la maggioranza di opinione nella capitale con la campagna salvate lietuva (cioè lituania) dal governo lituano con invocazioni paradossali dell'america e varie sovversioni del senso politico comune. Hanno portato lo stato in giudizio per aver concesso gratis il terreno alla catena di supermercati akropolis in quella che è una delle piazza principali di aggregazione della città. Forse la chiave per far vincere anche qui l'artivismo come serpica è di crearsi una proposta postideologica di resistenza e protesta. (C'era anche la comune di peter watkins ma l'ho mancata. spero di beccarla in rete. chiedo a z).
Arriva il momento di godersela in tutta spensieratezza. C'è la cena in birreria austriaca al tavole prevalentemente exyugoslavo. Con Josip si parla di affetti e politica. Lo strudel! Più tardi con Josip e Gediminas, Laila ed Elisabeth ed altri attraversiamo un grande parco. Dieter è fuori in canottiera. Spunta fuori Leo e dice c'è un altro party in un posto appena squattato. Schiodiamo dal saturissimo bar con concerto hardcore ungherese. Con leo arriviamo nel nulla dopo essere passati accanto alla locale lugubre prigione e aver discusso dei vari sistemi di controllo. C'è un viavai dietro un gruppo di case, si scendo tre ripide spirali di scale. C'è un ingresso angusta e una tenda: usciti dal vestibolo si entra in una gigantesca catacomba con due stanzoni coi soffitti a botte di mattoni, pompa la tecno: ka-boom!! Resto ad aspettare la faccia di Gediminas che fa quando entra: con gli occhi candidamente sorpresi esclama: "It's like Soviet time!", è un momento perfetto, tutto si coagula in un istante, il vissuto e lo storico della nostra generazione.
Prendiamo a parlare dei suoi due anni di servizio militare nell'armata rossa e di come la dissidenza covasse anche lì. di come fu un ufficiale a passargli letteratura proibita, come la giornata di ivan denisovic, della cultura punk e underground dell'epoca. del fatto che ci si sposasse presto (ha una figlia di 14 anni!) e si faceva vita in comune. Degli allevatori di colombi viaggiatori di reggio emilia. Di come l'89 fu davvero una rivoluzione nel senso buono del termine. Ah, kristo mi manca una cifra il 1984 e i miei 18 anni, lui in russia, io in america: ivan meets gi joe. Mi manca quel senso di mutazione costante, di ricerca perenne, ché sotto l'asfalto c'era la devianza, dietro il conformismo c'era sovversione dilagante. West Berlin. Ost Berlin. Berlin. Ostalgia and Western Decline. Finalmente ganja. Le ore passano. Son già le 4. Torniamo in albergo. Ci guardiamo con Josip e Gediminas, ekikkazzo ha sonno? Andiamo a cercare l'ultimo drink. Ci dirigiamo verso il bar r'n'r autonomo con music hyperkool, la barista ci guarda male, si sta sbaraccando. Ma accanto nel bar turco c'è animazione. Entriamo. La più alta densità di fumo di sigarette della mia vita. Ci sorridono. Ragazze e ragazzi fumano e bevono ai tavoli. Islam is part of Europe. Ci mettiamo a parlare di politica. Facciamo la transnazionale delle metropoli ribelli. Facciamo l'altra europa anarco-negriana, pink, meticcia, ecotopica, creative underclass:
ERESIA OVUNQUE!
mercoledì, dicembre 05, 2007
frnc scrive ai Wu Ming: le lotte dei minatori del Colorado e la strage di Ludlow
Generalmente seguo le vostre "mosse" da wumingfoundation, ma casualmente nel caso dell'intervista su Il bene comune ci sono arrivato per tutt'altra strada, per connessioni più o meno casuali. Vi rubo un minuto per citarle.
Casualmente ho letto su un volume recuperato in un mercatino tre articoli di John Reed su alcune vicende legate al movimento operaio statunitense all'inizio del Novecento: Le lotte di Paterson (1913), Le lotte del Colorado (1914), Processo all'IWW (1918).
Il secondo reportage sulle lotte dei minatori in Colorado mi ha fatto conoscere le vicende svoltesi tra Trinidad e Ludlow, con i minatori e le loro famiglie che si contrapposero alle guardie armate delle società minerarie prima (in primis gli uomini di Rockefeller), ai soldati federali poi. Il risultato fu la strage di 17 fra donne e bambini, bruciati nelle buche scavate sotto le tende che avevano ospitato i minatori e le loro famiglie durante la lotta - ovviamente scacciati dalle loro case poiché di proprietà delle stesse imprese minerarie. Quelli di seguito sono i loro nomi, suonano familiari vero?
VICTIMS OF LUDLOW MASSACRE
APRIL 20, 1914
LOUIS TIKAS, AGE 30 YRS.
JAMES FYLER, AGE 43 YRS.
JOHN BARTOLOTTI, AGE 45 YRS.
CHARLIE COSTA, AGE 31 YRS.
FEDELINA COSTA, AGE 27 YRS.
ONAFRIO COSTA, AGE 6 YRS.
LUCY COSTA, AGE 4 YRS.
FRANK RUBINO, AGE 23 YRS.
PATRIA VALDEZ, AGE 37 YRS.
EULALA VALDEZ, AGE 8 YRS.
MARY VALDEZ, AGE 7 YRS.
ELVIRA VALDEZ, AGE 3 MO.
JOE PETRUCCI, AGE 4 1/2 YRS.
LUCY PERTUCCI, AGE 2 1/2 YRS.
WILLIAM SNYDER, JR., AGE 11 YRS.
RODGERLO PEDREGONE, AGE 6 YRS.
CLORIVA PEDREGONE, AGE 4 YRS.
22 novembre 2007
finoaquituttobene, wu ming, stragi e movimento operaio statunitense...
Dopo di che, per presentarmi oltre questa banale coincidenza, avevo scritto una e-mail in cui racconto come ero giunto alla "scoperta" della suddetta intervista: una modalità serendipica che da un libro acquistato al mercatino dei Gaudenti mi aveva portato ad alcuni reportage di John Reed, quindi alla strage di famiglie operaie nella lotta dei minatori del Colorado (1914), a Ludlow per la precisione. Quindi via di nuovo con altre connessioni: storici militanti statunitensi, Karl Marx and the Iroquais di F. Rosemont, per finire con la scoperta degli Ethnological Notebooks dello stesso Marx... ed ecco comparire l'intervista ai Wu Ming. Un viaggio mentale colmo di sollecitazioni e storie in cui scavare.
Béh, la mia e-mail è piaciuta ai Wu Ming e ora si trova come spunto di discussione sul Livello 2 del sito di Manituana (il livello cioé a cui si accede solo rispondendo a una domanda inerente il romanzo stesso, quindi dedicato a coloro che hanno già letto Manituana). Mi sembra giusto quindi raccontare anche qui un pò più dettagliamente il mio "viaggio serendipico" proprio attraverso la stessa mail, che in effetti mi sembra diretta e assente da affettazione, quindi particolarmente riuscita (la trovate al prossimo post). Nel frattempo invito tutti i lettori di Manituana che seguono finoaquituttobene nella sezione Conversazioni del Livello 2...
(frnc)
mercoledì, novembre 28, 2007
Siamo tutti sospettati - Intervista a Giorgio Agamben a cura di Andrea Cortellessa
Le statistiche dicono che i delitti effettivamente perpetrati diminuiscono eppure nell’opinione pubblica cresce un senso di insicurezza. Perché la questione sicurezza è oggi la più sentita?
«Come già lo Stato di eccezione, oggi la Sicurezza è divenuta paradigma di governo. Per primo Michel Foucault, nel suo corso al Collège de France del 1977-78, ha indagato le origini del concetto mostrando come esso nasca nella pratica di governo dei Fisiocratici, alla vigilia della Rivoluzione francese. Il problema erano le carestie, che sino ad allora i governanti si erano sforzati di prevenire; secondo Quesnay occorre invece quella che definisce appunto "Sicurezza": lasciare che le carestie avvengano per poi governarle nella direzione più opportuna. Allo stesso modo il discorso attuale sulla Sicurezza non è volto a prevenire attentati terroristici o altri disordini; esso ha in realtà funzioni di controllo a posteriori. Nell’inchiesta seguita ai disordini di Genova per il G8, un alto funzionario di polizia dichiarò che il Governo non voleva l’ordine, voleva piuttosto gestire il disordine. Le misure biometriche, come il controllo della retina introdotto alle frontiere degli Stati Uniti del quale ora si propone l’inasprimento, ereditano funzione e tipologia di pratiche introdotte nell’Ottocento per impedire la recidiva dei criminali: dalle foto segnaletiche alle impronte digitali. I governi sembrano considerare tutti i cittadini, insomma, come terroristi in potenza. Ma questi controlli non possono certo prevenire i delitti: possono semmai impedire che vengano ripetuti».
Tanto più inefficaci di fronte a un kamikaze. Che per definizione agisce una volta sola!
«Una democrazia che si riduca ad avere come unici paradigmi lo Stato di eccezione e la Sicurezza, non è più una democrazia. All’indomani della Seconda guerra mondiale politologi spregiudicati come Clinton Rossiter giunsero a dichiarare che per difendere la democrazia nessun sacrificio è abbastanza grande, compresa la sospensione della stessa democrazia. Così oggi l’ideologia della Sicurezza è volta a giustificare misure che, da un punto di vista giuridico, possono essere definite solo come barbare.»
Il delitto Reggiani a Roma ha avuto come conseguenza l’abbattimento di campi Rom e, di fatto, la messa in discussione del principio della libera circolazione delle persone, che è tra i fondamenti dell’Unione Europea, di cui la Romania fa parte a pieno titolo. Ma cosa pensare di provvedimenti del genere, che oltretutto lasciano all’opinione pubblica solo un giorno per riflettere?
«Il dato di fatto più preoccupante, di fronte a misure che violano i più elementari principi di diritto, è il silenzio dei giuristi. All’interno del pacchetto sulla Sicurezza annunciato ci sono disposizioni - come quelle nei confronti della pedofilia on line - che di fatto istituiscono il reato d’intenzione. Ma nella storia del diritto l’intenzione può costituire un’aggravante; non può essere mai un crimine in sé. È solo un esempio della barbarie giuridica cui siamo di fronte: abbiamo assistito a dibattiti sull’opportunità o meno di praticare la tortura. Se uno storico confrontasse i dispositivi di legge esistenti durante il Fascismo e quelli in vigore oggi, ho paura che dovrebbe concludere a sfavore del presente. Sono ancora vigenti leggi, emanate durante i cosiddetti anni di piombo, che vietano di ospitare una persona in casa propria senza denunciarne la presenza all’autorità di polizia entro ventiquattro ore. Norma che nessuno applica, e della quale la maggior parte delle persone neppure è a conoscenza; ma che punisce tale comportamento con un minimo di sei mesi di reclusione!»
Questo stato di cose deforma anche la nostra percezione del tempo. Sia i controlli proposti come preventivi e invece tardivi, sia l’intenzione sessuale che al contrario punisce reati non ancora commessi (così realizzando un racconto di Philip K. Dick portato al cinema da Spielberg), istituiscono un falso presente. Non crede sia entrato in crisi l’unico fra i valori della Rivoluzione francese che sembrava ancora avere un qualche appeal, e cioè quello della Libertà?
«Questo in larga misura è già un dato di fatto. Le limitazioni della libertà che è disposto ad accettare oggi il cittadino dei paesi cosiddetti democratici sono incredibilmente più ampie di quelle che avrebbe accettato solo vent’anni fa. Prendiamo il progetto di un archivio del DNA: una delle cose più aberranti, ma anche più irresponsabili, di questo famoso pacchetto Sicurezza. Fu l’accumulo di dati anagrafici a permettere ai nazisti, nei paesi occupati, di identificare e deportare gli ebrei. Possibile che non ci si chieda che cosa avverrà il giorno che un dittatore potrà disporre di un archivio genetico universale? Ma basta pensare a come sia passata l’idea che gli spazi pubblici siano costantemente monitorati da telecamere. Un ambiente simile non è una città, è l’interno di una prigione! Le ditte che fabbricano i dispositivi biometrici suggeriscono di istallarli nelle scuole elementari e nelle mense studentesche, in modo da abituare sin dall’infanzia a questo tipo di controlli. L’obiettivo è formare cittadini completamente privi di libertà e, ciò che è peggio, che non se ne rendono affatto conto.»
Tutto ciò in nome della democrazia. Mistificazione anzitutto linguistica, proprio come quella del 1984 di Orwell: Guerra è Pace, Schiavitù è Libertà. Parla chiaro la storia linguistica delle pratiche di guerra condotte negli ultimi quindici anni. In questo modo non le pare che la politica, intesa come dibattito delle opinioni, non abbia più alcuno spazio?
«Come le guerre vengono presentate come operazioni di polizia, così la democrazia diventa sinonimo di una mera pratica di governo dell’economia e della sicurezza. È quella che nel ‘700 si chiamava "scienza di polizia" per distinguerla dalla politica. Sempre più si afferma l’idea, equivalente a un vero e proprio suicidio del diritto, che sia possibile normare giuridicamente tutto, compreso ciò che riguarda l’etica, la religione e la sessualità. Una parte importante viene svolta dai media che, perdendo ogni funzione critica, sono sempre più a loro volta organo di governo».
lunedì, novembre 26, 2007
finalmente nessuno mi chiede di fare la "testuggine" - di Anna Simone
Il contributo che segue è stato postato sulla mailing-list precog da Anna Simone e mi sembra bene esprima ciò che è successo sabato per le vie di Roma. (frnc)
Rosa, giallo, blu, celeste...no pink come pensate che siamo. Tutte, tante, colorate, felici di poterci abbracciare, convinte della scelta "separatista" che non abbiamo vissuto in quanto tale. Infatti, non si trattava di questo ma di ben altro. Diventare visibili, dire che ci siamo come movimento specifico e autonomo di contro-condotta.
E infatti la manifestazione è stata autonoma, autonoma dai partiti, autonoma dalle ministre che all'ultimo momento hanno cercato di prendersi la piazza mettendosi d'accordo con la 7, autonome da chi ci chiede di fare e compattare la "testuggine" mettendoci dietro, avanti o accanto, sole ma felici di esserlo perchè eravamo 150.000 mila e quando si elevava la nostravoce era sensuale, piacevole, bella, autonome da chi ci chiede di leggere dei testi piuttosto che degli altri, altrimenti non si sta nell'attempato star system di chi non ha più nulla da dirci, autonome da chi non ci ascolta incollandoci addosso gli stereotipi, autonome da chi ci stupra e ci violenta, autonome da chi ci vuole cucire addosso leggi che non vogliamo, autonome da tutto...
Non pink, ma gialle, rosse, verdi, brune, bionde, grigie, tutte bellissime! Soprattutto le ventenni minigonna, calze a righe e rabbia mista a gioia, divertimento e incazzature.
Loro ieri erano il nostro futuro, veloci hanno attaccato il palco della sette che non aveva rispettato gli accordi, li hanno costretti ad andarsene perchè noi, come recitava uno degli innumerevoli cartelli, "saremo pure galline, ma mai pollastrine", perchè noi non crediamo nè nello Stato, nè nelle donne che firmano il pacchetto sulla sicurezza. Applausi, commozione,
abbracci, un grido unanime si è elevato da Piazza Navona, "fuori le ministre, fuori il potere".
Le ragazze occupano il palco, la piazza applaude, le ministre se ne vanno, i giornalisti de la 7 chiedono l'intervento della polizia ma non riescono ad avvicinarsi. Ancora urla: "poliziotti che cè venite a fà, a casa ce sò i piatti da lavà". Accettano e non raggiungono il palco. Compagni di amiche e compagne venuti a vedere ridono, approvano e applaudono in silenzio, una volta tanto lontani dalle luci della ribalta...La gioia della piazza di nuovo nostra è immensa, contagiosa, viva come un grande amore.
E poi stupende le donne rom, le loro bambine, le loro adolescenti con lustrini e paiellettes che ballano la danza del ventre... e le donne marocchine, le metalmeccaniche...
No pink. Bionde, brune, grigie, rosse, tutte bellissime... I bigodini vanno molto di moda, una compagna sexy schoc si è fatta addirittura un'acconciatura di bigodini che mostra spavalda contro chi ci vuole "così" (mostra un'immagine di una bambola gonfiabile).
E poi nessuna bandiera... e ancora un urlo unanime, NO al pacchetto sicurezza, "chiediamo telecamere nell'ingresso di casa e ruspe per bonificare il bagno di casa dal macho" paraculano cartelli... Veltroni razzista... ma che cè famo de stò pacchetto... e innumerevoli altre.
Anche la prima pioggia ci ha aiutate. Senza di essa una compagna non avrebbe "ombrellettato" sapientemente la Prestigiacomo e i suoi Body Guard allampanati e palestrati. Ancora un coro unanime e sensuale da Corso Cavour: "Fuori, fuori"...
Le vecchie politically correct si incazzano e dicono: "siamo tutte donne, non dovevamo cacciarle", alcune si difendono e dicono che non è questo il punto, non è la donnità ad accomunarci, ma l'antifascismo di cui il primo anello è il patriarcato...E hanno ragione. Le vecchie si arrabbieranno anche durante la cacciata delle ministre Turco, Melandri etc. ma le ventenni grideranno, di nuovo a giusto titolo, "morte alle vecchie"...
Bellissimo, insomma. Sapevo che sarebbe stata grossa ma temevo nel solito serpentone anonimo e trasversale, un pò buonista e invece no. Le ventenni de "Le mele di Eva", tantissime dietro il loro sound con Donna Summer mi hanno insegnato che abbiamo un futuro, che il femminismo o il femminile (come vogliamo chiamarlo) non è morto, nè tantomeno alberga solo nei circoli delle élite intellettuali. Che è sì spostato sulla decostruzione della norma
eterosessuale, ma non per diventare "neutri" in un mondo di "neutri". Anche perchè laddove c'è il neutro c'è sempre il patriarcato e quindi il separatismo, quello vero...
Questo movimento c'è, è forte, bello, giovane... lasciamolo crescere e agire.
Il suo demone sensuale abbatterà ogni frontiera... anche quelle dell'identità.
giovedì, novembre 22, 2007
Quale futuro per i lavoratori della conoscenza?
Interessante la partecipazione dell'autore accompagnata dalla presenza di Toni Negri, Mario Tronti, Massimo Paci, Benedetto Vecchi, Augusto Illuminati e molti altri a discutere di temi quanto mai attuali e scottanti. Bè, per chi fosse interessato sul sito-archivio di Radio Radicale potete trovare la registrazione dell'intero convegno (qui).
25 Novembre 2007, Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne
"La violenza contro le donne ci riguarda, prendiamo la parola come uomini”, così affermava l'appello che un anno fa ha raccolto centinaia di adesioni rilanciando una presa di parola pubblica maschile contro la violenza e dando vita a molte esperienze di scambio e confronto sia tra uomini, sia con le donne. Oggi, contro la violenza sessuata non ci sono più soltanto le donne. E’ cresciuto nel nostro paese un impegno di uomini, singoli, gruppi e associazioni, contro la violenza sessuale e per un cambiamento culturale e sociale nei modelli maschili e nei rapporti tra i sessi. Una presa di coscienza maschile che però stenta a divenire visibile e a determinare scelte politiche e comportamenti coerenti. Troppo spesso la denuncia della violenza contro le donne da parte della politica e dei mezzi di informazione tende ad occultare questa necessità e veicola messaggi e valori ostili alla libertà delle persone di progettare la propria vita oltre gli stereotipi e le rappresentazioni dei ruoli sessuali, gerarchiche e fisse.
In vista della Giornata internazionale contro la violenza alle donne del 25 novembre, torniamo a chiedere agli uomini di assumersi le responsabilità e l’impegno per un cambiamento che riguardi la nostra vita quotidiana, le nostre famiglie, gli ambienti di lavoro e di studio. Il percorso che abbiamo fatto con altri uomini ci porta a dire che non basta essere genericamente contro la violenza: è necessario denunciarne le radici in una cultura condivisa e diffusa. Sentiamo il rischio che questa giornata si riduca a un rito pacificatore fine a se stesso, nascondendo la necessità di aprire un conflitto esplicito con luoghi comuni, pregiudizi e culture, complici della violenza o quantomeno suo retroterra naturale.
La violenza maschile contro le donne è un dato strutturale della nostra vita sociale, delle relazioni tra donne e uomini nelle nostre famiglie, nei luoghi di lavoro e di studio, nelle nostre città; dello stesso segno è la violenza che si dirige contro tutto ciò che non rientra nel tradizionale stereotipo di maschile/femminile, come la violenza omofoba. Per sradicare queste violenze, è necessario rompere con la cultura diffusa che le produce. Alimentare l’immagine di uno “stato di eccezione” che richieda provvedimenti di emergenza è un modo per allontanare la consapevolezza di questa realtà. Le ricerche e le statistiche evidenziano che nella stragrande maggioranza dei casi gli autori delle violenze sessuali e degli omicidi sono i partner, i familiari, gli ex, o i colleghi; mass media e rappresentanti politici continuano invece a rappresentare la violenza contro le donne come opera di stranieri e sconosciuti. In questo modo si occulta il fatto che la violenza contro le donne è trasversale alle culture e attraversa profondamente la nostra stessa società e gli stessi spazi domestici e familiari. A questo proposito, denunciamo l’uso strumentale di questi episodi per fomentare campagne mediatiche e politiche a sfondo xenofobo, che sottraggono responsabilità ai maschi italiani e aggiungono violenza a violenza, anziché aiutarci ad affrontare insieme i nodi di fondo della violenza maschile che attraversano le relazioni quotidiane.
La violenza maschile non è un “corpo estraneo” da espellere perché riguarda la nostra stessa cultura: crediamo che la xenofobia, la negazione della differenza, il ricorso alla violenza per imporsi, la difesa virile dell'italianità e l'ergersi muscoloso “a difesa delle proprie donne” siano parte dello stesso universo culturale maschilista in cui cresce anche la violenza contro le donne. La violenza, inoltre, rimanda al rapporto tra potere, libertà e autonomia tra donne e uomini. Spesso le violenze sono la reazione a scelte autonome di determinazione, di crescita personale, di donne che si muovono con diritto da sole. Eppure le campagne contro la violenza tendono a riproporre un'immagine delle donne come soggetti deboli da porre sotto la tutela dello Stato. L’autonomia delle donne è per noi non una minaccia a cui reagire con violenza, ma un’opportunità. Come uomini abbiamo un grande guadagno possibile da un cambio di civiltà: una maggiore ricchezza e intensità nell’esperienza del nostro corpo, della nostra sessualità, del nostro desiderio, delle nostre emozioni; una nuova capacità di cura di sé, dei propri cari, dei propri figli; una qualità migliore delle relazioni, tra noi uomini e con le donne; una vita meno ossessionata dalla competizione, meno segnata dalla violenza; un mondo di donne e uomini più civile e pacifico, più capace di rispondere a una nuova domanda di senso che attraversa la vita di moltissimi uomini.
Donne e uomini contro la violenza. In occasione del 25 novembre si svolgeranno molte iniziative promosse da donne appartenenti a diverse culture politiche e a diversi livelli istituzionali. E’ stata anche indetta una manifestazione nazionale delle donne contro la violenza il 24 novembre a Roma. Il percorso collettivo che come uomini abbiamo vissuto fino ad oggi ci porta a non limitarci a solidarizzare con questa mobilitazione delle donne. Molti di noi si sono attivati con iniziative contro la violenza organizzate nelle diverse città italiane. Vogliamo contribuire con la nostra autonoma riflessione e domanda di cambiamento, ma vogliamo anche intrecciare con queste iniziative un dialogo che valorizzi il lavoro comune fatto e che vada oltre la giornata del 25 novembre creando occasioni di cambiamento di sé e delle relazioni sociali tra donne e uomini.
Chiamiamo tutti gli uomini a esprimersi, assumersi con noi la responsabilità di un impegno attivo per un cambiamento culturale che, crediamo, è l’unica condizione per contrastare la violenza ma anche un’occasione di libertà per noi uomini.
martedì, novembre 20, 2007
Quel patto di mutuo soccorso per la «classe creativa» è in rete - di Anna Curcio
Ci sono figure del lavoro che rivelano la portata delle trasformazioni produttive avvenute nel sistema capitalistico; e ci sono esperienze organizzative che stanno sfidando le forme tradizionali della rappresentanza. Il variegato universo del «lavoro autonomo di seconda generazione» - a cui Sergio Bologna ha dedicato una nuova raccolta di scritti, Ceti medi senza futuro?, al centro del seminario «Quale futuro per i lavoratori della conoscenza?» che si terrà domani all'Università La Sapienza di Roma - è appunto tra questi. O almeno è questa la scommessa di Freelancers Union, organizzazione no-profit di New York che si è sviluppata all'interno della costellazione del lavoro «indipendente» statunitense (oltre il 30% della forza lavoro), offrendo a figure disperse nei mille rivoli della metropoli risorse organizzative e strumenti rivendicativi. La union si batte quindi per garantire le protezioni sociali a un «ceto medio» precarizzato e impoverito. Allo stesso tempo, fornisce strumenti di comunicazione e connessione, nonché svolge un ruolo di intermediazione con lo stato e le imprese. La Freelancer Union è dunque espressione dell'irreversibile crisi della rappresentanza. Tema che viene spesso affrontato quando viene svolge una critica agli orientamenti del labor movement e della sinistra americana. Il problema, dunque, è interrogare l'esperienza di chi tenta di andare oltre quella crisi, proponendo forme di autotuela e organizzazione che con la rappresentanza tradizionale hanno poco a che fare per analizzarne la ricchezza e le potenzialità, ma anche per segnalarne i limiti. Ne abbiamo discusso con Sara Horowitz, saggista e avvocata del lavoro, direttrice della union dei freelancers newyorchesi.
Nei decenni passati abbiamo assistito a grandi trasformazioni produttive, processi di individualizzazione e frammentazione della forza lavoro, mentre le organizzazioni tradizionali del labor movement sono in crisi. Può spiegarci come, in tale contesto, nasce l'esperienza di «Freelancers Union?»
Il modello di business che si è affermato negli Stati Uniti scarica la maggior parte degli oneri sui lavoratori. L'obiettivo che ci siamo prefissi è lo sviluppo di tutele per i lavoratori indipendenti e garantire la loro sicurezza economica.
Per dirla in altri termini, state sperimentando una forma organizzativa capace di innovare, o forse superare il sistema della rappresentanza. Quali sono gli strumenti d cui vi siete dotati?
Il primo passo da fare è la presa di coscienza che i lavoratori indipendenti sono una forza lavoro che hanno diritti negati. È un passaggio necessario, visto che la sinistra tradizionale americana continua a proporre un ritorno al sistema fordista per affrontare le sempre più pesanti condizioni di vita e lavoro degli «indipendenti» o di quella forza-lavoro che spesso in Europa chiamate precaria. Il passaggio successivo sta nel promuovere forme organizzative adeguate a figure lavorative con caratteristiche molto diverse da quelle che hanno invece costituito le organizzazioni sindacali tradizionali.
Sono cresciuta in una famiglia di sindacalisti e ho appreso dai miei genitori la difficoltà e l'importanza di «fare sindacato negli Stati Uniti». Oggi, tuttavia, le forme classiche dell'organizzazione sindacale sono superate. Nel vecchio modello produttivo gli uomini e le donne lavoravano in una spazio fisico - la fabbrica o l'ufficio - ben preciso. Il sindacato non doveva fare altro che andare lì e provare a organizzare i lavoratori. Adesso a New York molti lavoratori non vivono questa condizione. La nuova forza lavoro è atomizzata, individualizzata e frammentata. Abbiamo così cominciato a parlare tra di noi perché è meglio ritrovarsi insieme che stare ciascuno per conto proprio. Abbiamo così scoperto che ciò che accadeva a ognuno di noi non era un problema individuale ma rispecchiava una condizione generale. Freelancers Union è quindi da considerare un'associazione di mutuo soccorso, di cooperazione....
In che senso....
L'obiettivo è individuare gli strumenti per raggiungere una condizione di sicurezza e stabilità per i lavoratori. Dopo la fase iniziale in cui abbiamo creato lo strumento per incontrarci e discutere, ci stiamo concentrando sull'allargamento della membership e sui nuovi strumenti di democrazia, orientandoci alla costruzione di uno spazio economico di cooperazione. Dico questo perché ci siamo accorti che senza uno spazio economico comune la base politica sarebbe risultata fregile.
Vuoi dire che Freelancers Union oltre che organizzare i lavoratori è anche una piccola attività economica che fornisce dei servizi ai lavoratori?
Non proprio. Noi abbiamo lavorato allo sviluppo di un forte network informale che si avvalga della dimensione virale della comunicazione. Questo è stato possibile attraverso il web e i blog. Inoltre a New York - dove si trova la maggior parte dei nostri membri - abbiamo iniziato una campagna di promozione nella metropolitana che, agendo sui flussi di attraversamento della metropoli, ci ha permesso di raggiungere ogni giorno migliaia di viaggiatori. È però ovvio che se un lavoratore chiede un servizio noi lo forniamo.
Ha descritto alcuni dei punti di discontinuità rispetto al modello organizzativo del labor movement. Ma come si pone «Freelancers Union» rispetto agli strumenti di mobilitazione classici come lo sciopero, utilizzati anche dagli autori dei programmi televisivi?
I lavoratori indipendenti lavorano in differenti company e l'idea di uno sciopero in una sola azienda in cui lavori per sei ore un giorno a settimana non è una delle nostre principali strategie. Ma la questione non è stabilire come un apriori se lo sciopero in quanto strumento di lotta vada bene o meno. Lo sciopero va bene se è efficace, perché lo sciopero è infatti uno strumento, non l'obiettivo di una lotta. È a partire dalla nostra membership che dobbiamo costruire strumenti di lotta e rivendicazioni.
Chi compone la «membership» di Freelancers Union?
Abbiamo cinquantaseimila iscritti nella città di New York e la fascia di redditi più ampia è quella tra i 25 e i 40.000 dollari all'anno. Lavoriamo in settori produttivi tra loro eterogenei: dall'arte ai media, alla finanza, le tecnologie, il no-profit, la salute ed il lavoro domestico. L'ambito del lavoro creativo è quello più consistente. Benché la composizione sia eterogenea, ciascuno ricava benefici dall'essere parte del gruppo perché c'è l'opportunità di condividere e mettere in comunicazione le esperienze, le informazioni su questa o quell'impresa, su come evolve il mercato del lavoro in un settore. Tra gli iscritti c'è un numero uguale di donne e di uomini, mentre quella della race non è una problema rilevante nella nostra organizzazione. A chi si iscrive alla Freelancers Union non chiediamo il colore della pelle.
Su quale terreno si concentrano le rivendicazioni della union?
Con regolarità emerge il tema della proprietà intellettuale. Il rispetto del diritto d'autore o i limiti delle attuali leggi sono spesso argomento che discutiamo, ma il problema più scottante è senza dubbio quello della disoccupazione. Il nostro obiettivo è individuare un processo di tutele e garanzie per i freelancers. Bisogna aggiornare le protezioni sociali degli anni '30: se in passato erano legate al lavoro, oggi le cose sono cambiate, non possiamo delegare la risposta allo Stato. Il governo dovrebbe soltanto aiutare a costruire organizzazioni come la nostra.
Negli Stati Uniti ci si focalizza soprattutto sul ruolo dello Stato come garante o meno dei servizi sociali, mentre credo che si dovrebbe puntare a strategie che contrastino anche il modello del business corporation. Guardiamo, ad esempio, con molto interesse all'esperienza delle cooperative di lavoro e di consumo italiane.
Crede cioè che il sistema delle cooperative sia la soluzione? In Italia le cooperative sono state indicate come un espediente per per rendere meno tutelato il lavoro....
Sono stata in estate in Emilia Romagna e ho apprezzato come vengono affrontati alcuni dei problemi che hanno i lavoratori indipendenti negli Stati Uniti. Mi riferisco al pagamento delle tasse, ai contributi pensionistici. È un modello di gestione del «capitale» a cui guardiamo con interesse perché qui da noi esiste solo venture capital o charity capital. Per me, la coalizione tra diverse figure lavorative è indispensabile per per rafforzare le diverse figure lavorative della coalizione in relazione ai continui mutamenti del sistema economico.
Negli Stati Uniti c'è un ampio dibattito sul concetto di «creative class» proposto dallo studioso Richard Florida. In Italia abbiamo invece assistito al rischio di scivolamento del lavoro creativo verso un agire di lobby...
L'aspetto più rilevante nelle tesi di Florida è laddove scrive del ruolo economico del lavoro creativo, un aspetto tradizionalmente sottovalutato dal labour movement. Negli Usa, gli artisti non sono considerati granché, mentre il discorso di Florida permette di far comprendere ai policymakers quanto questi siano un gruppo economico importante. A noi, tuttavia, non interessa separare la forza lavoro in differenti gruppi. Semmai il nodo da sciogliere è come usare la creatività per costruire un'organizzazione dei lavoratori indipendenti o precari. Può sembrare paradossale, ma è importante sottolineare il fatto che la forza lavoro in generale ha cominciato ad avere sempre più cose in comune con gli artisti, alemno nelle forme e nelle condizioni del lavoro: non avere l'assistenza sanitaria, avere dei redditi intermittenti e che non consentono di programmare la tua vita; non poter godere di nessuna delle protezioni create dal governo negli anni '30. Questo per noi è l'argomento potente del discorso sulla creative class.