Enrico Pugliese - il manifesto 17 maggio 2007
Nel dopoguerra la ricerca sociale in Italia vede una ripresa significativa che porterà al consolidamento, anche in sede accademica, della sociologia come disciplina. Gli stimoli a questa ripresa sono moltissimi, così come diversi sono i filoni culturali che si oppongono all'affermazione della ricerca sociale e della sociologia. Questi provengono dalla tradizione idealistica - sia nella versione crociana che in quella gentiliana - ma anche dal filone marxista più ortodosso, incapace di assorbire le innovazioni gramsciane sul piano dell'analisi sociale e culturale. Gli stimoli alla ripresa, invece, arrivano dalla crescente influenza della cultura americana, che proprio in quegli anni vede un consolidamento delle scienze sociologiche, psicologiche e antropologiche. Ma accanto a questo filone più accademico si sviluppa in molti ambienti una più diffusa attività di ricerca legata al bisogno di comprendere la realtà sociale di quegli anni, in profondo movimento, e soprattutto la condizione delle classi subalterne.
Vi si impegnano studiosi di varie discipline e intellettuali legati al movimento operaio o alla tradizione meridionalista, che nel dopoguerra riprende con vigore e forte carica innovativa in ambiti politici molto diversi. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, nuclei di studiosi legati a riviste, intellettuali legati ad Adriano Olivetti (come Ferrarotti e altri), docenti impegnati nella scuola di servizio sociale Cepas, gruppi locali impegnati nella ricerca e nella pratica sociale come l'Arn a Napoli, intellettuali interni al sindacato conducono e promuovono inchieste importanti e innovative. Ed è proprio la ricerca non accademica che dà contributi fondamentali alla conoscenza delle metamorfosi della società italiana. Basti ricordare i contributi di Rocco Scotellaro, Carlo Levi, Danilo Montaldi, Danilo Dolci e tanti altri. Si studiano così i contadini, le comunità locali, gli emigranti meridionali e veneti, gli immigrati nelle grandi città industriali. La nuova classe operaia della grande fabbrica, a partire dalla fine degli anni Cinquanta diventa oggetto di interesse di una ricerca sociale fortemente impegnata. Un ruolo determinante è svolto dai Quaderni Rossi, fondati e diretti da Raniero Panzieri, che pongono al centro del lavoro politico e culturale la classe operaia, della quale si intende comprendere condizioni, orientamenti, cultura e aspettative.
Torino - sede della più importante concentrazione operaia italiana - diventa centro di aggregazione culturale. Raniero Panzieri e il gruppo di giovani raccolti intorno a lui rappresentano un nucleo di impegno politico e sindacale innovativo sul piano della ricerca per orientamento, metodo e contenuti. Alla scuola dei Quaderni Rossi si formano studiosi di scienze sociali e le tematiche sostantive e gli aspetti di metodo caratterizzanti il loro lavoro avranno un'influenza molto vasta per gli studi sulla classe operaia. Il metodo è quello dell'inchiesta, dove ricerca e pratica sociale, impegno scientifico e volontà di cambiamento si intrecciano. Al contributo dato da questi filoni di ricerca è dedicato il convegno. I tre termini indicati - orientamenti, contenuti e metodi - si riferiscono agli aspetti caratterizzanti la ricerca. I contenuti sono innovativi e affrontano aree e problematiche sociali trascurate dai filoni di ricerca accademici. Volendo indicare gli ambiti più significativi, si può dire che, oltre alla condizione operaia e alle sue espressioni sociali, politiche e culturali, l'attenzione è stata rivolta agli strati marginali della società e alla realtà delle istituzioni totali. Proprio grazie al metodo dell'inchiesta, l'attenzione è stata rivolta alle realtà locali e alle specificità dei contesti rurali e urbani, dando così anche un rinnovato impulso alla ricerca meridionalista: non solo alle condizioni di braccianti e contadini, ma anche al proletariato precario nei quartieri popolari come a Napoli. Tutto questo, con un impegno per la trasformazione sociale a vantaggio delle classi subalterne e per un loro avanzamento nella società.
In questo clima culturale, agli inizi degli anni Settanta nasce la rivista Inchiesta, che affronta temi non toccati dalla tradizionale ricerca sociologica accademica, ma che si impone anche in ambito scientifico per l'originalità dei contributi dati dagli studiosi che vi scrivono: giovani ricercatori provenienti dall'ambito accademico ma anche da altri contesti, quale ad esempio quello sindacale. Si stabilisce così un nesso forte tra studiosi e sindacato in diversi ambienti, per cui il lavoro di inchiesta dà elementi di conoscenza e stimoli all'azione sindacale, mentre la comunità di intenti tra sindacato, operai e ricercatori allarga l'orizzonte conoscitivo della ricerca sociale in Italia.
Dei limiti della sociologia tradizionale e dell'esigenza di aggiornamento si prende atto anche in ambiente sociologico con il convegno su "La crisi del metodo", mentre si afferma con forza il metodo dell'inchiesta che supera l'alternativa schematica tra approccio quantitativo e approccio qualitativo e scava in terreni nuovi individuando rapporti di potere, ingiustizie sociali, forme di oppressione economica e culturale, discriminazioni, ma anche aspettative di cambiamento e trasformazioni sociali e culturali. Infine, più che teorizzare l'approccio interdisciplinare, la pratica dell'inchiesta pone fianco a fianco studiosi di diversa formazione che beneficiano del confronto reciproco e dell'arricchimento che viene dal rapporto con il contesto sociale e umano della ricerca. Si pone in primo piano la condizione umana, analizzata attraverso il rapporto diretto con le persone nella loro quotidianità, mettendo a confronto l'approccio dello studioso con il punto di vista direttamente espresso dai soggetti interessati.
Il dibattito sul mercato del lavoro, che trova nel centro di Portici (Università di Napoli) a metà degli anni Settanta uno dei momenti di più attivo confronto, è espressione di questo incontro di discipline e ruoli diversi, grazie alla partecipazione di sindacalisti e operatori sociali. Questo stesso approccio porterà ad analisi più ricche e articolate delle problematiche territoriali dello sviluppo che, partendo dall'analisi del lavoro a domicilio e del decentramento produttivo (che proprio nella rivista Inchiesta trovano la principale sede di confronto), affrontano il ruolo della piccola impresa e delle istituzioni locali per lo sviluppo economico. Il gruppo di giovani economisti che nel corso degli anni Settanta si forma a Modena, dà contributi innovativi in questo senso e il lavoro di Sebastiano Brusco diventa un punto di riferimento per l'analisi delle nuove forme di organizzazione produttiva nell'epoca della crisi della produzione di massa. La minuziosa indagine empirica e la continua attenzione alle caratteristiche socio-economiche del contesto e al ruolo delle istituzioni sono l'aspetto caratterizzante.
In questo lungo processo di sviluppo della ricerca sociale e di affermazione della pratica dell'inchiesta, Giovanni Mottura è stato uno dei protagonisti, a partire dagli anni Cinquanta con il suo impegno (e le inchieste) tra i contadini siciliani presso il centro di Danilo Dolci, il lavoro di ricerca e di impegno politico nei Quaderni Rossi con Raniero Panzieri, gli studi presso il Centro di Ricerche Economico-Agrarie per il Mezzogiorno (Università di Napoli) e all'Università di Modena, a Bologna presso l'Archivio Storico della Camera del lavoro, nel sindacato con i lavori sugli immigrati per l'Ires-Cgil. Il convegno è in occasione del suo settantesimo compleanno.
sabato, maggio 19, 2007
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