da chainworkers.org
Questo è il racconto del «dietro le quinte» di uno sciopero durato 14 settimane, che ha messo in ginocchio Hollywood e trasformato gli sceneggiatori americani nel sindacato più forte e unito degli Stati Uniti.
All’inizio nessun boss degli studios avrebbe scommesso un dollaro che i 15.500 writers iscritti al Wga (Writers Guild of America) avrebbero incrociato le braccia paralizzando cinema, produzioni tv, facendo saltare i Golden Globe e mettendo a rischio la notte degli Oscar.
«Non ce la farete mai», avevano detto beffardi i rappresentanti delle sette corporation a Patric Verrone, presidente del Wga, e agli altri colleghi del consiglio.
«Organizzare gli sceneggiatori è come mettere insieme dei gatti randagi».
A Patric Verrone la storia dei gatti disorganizzati non è andata proprio giù, e quando è stato il momento, s’è tolto il sassolino dalla scarpa: domenica 10 febbraio, dopo aver annunciato in conferenza stampa davanti a decine di network la firma del contratto e la fine dello sciopero, ha concluso dicendo: «Non solo abbiamo riunito i gatti, hanno anche ruggito».
Lo incontriamo nel suo ufficio al terzo piano della sede del Wga di Los Angeles, un palazzo tutto vetri all’angolo tra la terza e Fairfax, in West Hollywood. Newyorkese, quarantasei anni, nonno italiano, laureato in legge a Harvard, è autore di cartoni celebri come i Simpson, i Muppets, Futurama. È stato eletto presidente della Wga nel 2005, incarico volontario per cui non viene pagato, come del resto anche tutti gli altri consiglieri del Wga. Con lui c’è David Young, cinquantaquattro anni, newyorkese pure lui, esperto di comunicazione sindacale della National Labour Federation e film-maker.
Mr. Verrone, qual è stata la parte più difficile di questa trattativa?
A parte la totale mancanza di disponibilità verso le nostre richieste delle major, con il muro contro muro che ne è seguito, il problema più grave è stato la comunicazione coi media. Non riuscivamo a far passare le notizie che volevamo perché i giornalisti avevano come capi i nostri stessi capi, la controparte con cui abbiamo trattato. Allora abbiamo utilizzato Internet, i blog e tutto quello che poteva fare controinformazione. Anche i picchetti davanti agli studios sono serviti moltissimo. Non c’è stato giorno in cui molti di noi non fossero coi cartelli agli ingressi dei grandi network e delle case di produzione. Un impegno costante e molto duro, specie per i colleghi di New York, al freddo e sotto la neve. Ma è così che abbiamo dato visibilità allo sciopero e parlato con la gente che chiedeva spiegazioni.
Aggiunge David Young: «I giornali di spettacolo hanno alimentato indiscrezioni negative che arrivavano dalle loro fonti: tra sussurri e grida scrivevano che lo sciopero non sarebbe durato, che avremmo mollato da un momento all’altro.
Come siete arrivati alla dichiarazione dello sciopero?
Semplicemente perché, all’inizio, gli studios si sono rifiutati di prendere in considerazione tutte le nostre richieste. Durante i primi incontri eravamo in cinquanta: venticinque rappresentanti delle sette compagnie con i loro assistenti, e 25 del nostro comitato, tra cui molti Oscar come Stephen Gaghan (Traffic) e Ronald Bass (Rain Man). Eravamo troppi per fare qualcosa di concreto. La prima cosa che ci hanno proposto è stata di preparare uno studio che sarebbe stato discusso fra tre anni. Nel frattempo niente soldi sullo streaming (prodotti audiovideo scaricati con il pc), stesse percentuali del contratto precedente sui dvd scaricati dai siti, niente controllo sui programmi per Internet. Poi un giorno si sono presentati con un documento di 39 pagine in cui motivavano punto su punto perché rifiutavano ogni nostra richiesta.
E a questo punto, come avete reagito?
Abbiamo chiesto di discutere direttamente con i capi, con gli amministratori delegati delle Corporation, non con i loro manager e assistenti. E di formare delle commissioni per esaminare le diverse questioni. Ma loro hanno continuato a dire no, anche se dietro le quinte ricevevamo molte telefonate. Allora, il 1° novembre siamo scesi in sciopero, con una decisione votata dal 90% dei membri dei due consigli, quelli di New York e Los Angeles.
Una situazione inedita, quella di autori e star in un set di protesta...
Sì. Cinema e produzioni televisive si sono fermati. Autori e sceneggiatori non sono più andati a lavorare, ci sono state manifestazioni in tutto il Paese. Dopo due settimane ci hanno riconvocato, ma invece di trattare ci hanno dato un ultimatum: torniamo a discutere se rinunciate a sei delle vostre richieste. Abbiamo deciso di continuare a scioperare.
Qual è stato l’elemento di rottura?
Ai primi di gennaio, dall’altra parte del tavolo si sono seduti due manager, Peter Chernin della Fox e Robert Iger della Abc, mentre dietro le quinte c’era Leslie Moonves della Cbs. La fase operativa della discussione del contratto è iniziata in quel momento. Ci son voluti due mesi di sciopero per avere degli interlocutori. Avrebbe potuto essere meno doloroso per tutti. A cominciare dal punto di vista economico.
Vi hanno accusato di aver danneggiato e fatto perdere il lavoro ad altre categorie che lavorano nello spettacolo: attori, registi, operatori, truccatori, parrucchieri, ristoratori. La sola cancellazione dei Golden Globe è costata all’economia di Los Angeles 80 milioni di dollari...
È stata dura per tutti, ma credo che questo contratto sia una pietra miliare anche per le altre categorie dello spettacolo. E forse non solo. Lo sciopero ha conquistato la solidarietà di registi e attori, ha spianato la strada al rinnovo anche dei loro contratti, ha avuto un effetto galvanizzante. A gennaio i registi hanno siglato un contratto che ha molte cose in comune con il nostro. Quello degli attori scade il 30 giugno e credo che gli studios vogliano a tutti i costi evitare un altro sciopero.
È stato complesso ottenere un happy end dal vero, anziché sceneggiarlo...
Come no! È la prima volta, da dieci anni a questa parte, che un sindacato raccoglie un successo importante. L’ultima volta a vincere sono stati gli autisti della Ups, il corriere internazionale. Loro hanno trattato con una compagnia, noi con sette società diverse. Certo, ci meritavamo di più, ma per chiudere la trattativa abbiamo dovuto rinunciare a qualcosa. Dalle percentuali sulla vendita dei dvd e dello streaming sui siti sono esclusi i colleghi che lavorano nell’animazione di cartoons. Ma, al prossimo contratto, otterremo anche questo.
Ci sarà anche lei?
Il mio incarico scade nel 2009 e non ho intenzione di ricandidarmi. Ormai i gatti hanno imparato a ruggire....
giovedì, marzo 13, 2008
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