La condizione precaria è considerata ancora dalla maggior parte dei sociologi e soprattutto dei politici come un'escrescenza temporanea della società postindustriale.
In un suo recente intervento, che ha largamente circolato in rete col titolo Uscire dal vicolo cieco, Sergio Bologna dice che occorre smetterla di considerare la precarietà come una malattia adolescenziale, e occorre cominciare a parlare di "classe precaria". Per meglio apprezzare il senso generale dell'operazione concettuale e politica che Bologna sta compiendo, occorre leggere un libro che esce in questi giorni col titolo Ceti medi senza futuro?, pubblicato dalla casa editrice Derive approdi. Si tratta di un testo prezioso per chiunque voglia uscire dalla lunga spirale di vittimismo e di passatismo che ha caratterizzato finora il discorso della sinistra. A questo proposito scrive Bologna:
"Mai dimenticare che il postfordismo è stato il prodotto di una doppia spinta: da una parte la riorganizzazione capitalistica e dall'altra il rifiuto del lavoro normato, così come si manifestò, per esempio, nel movimento del '77. La precarizzazione l'abbiamo voluta anche noi! E pertanto deve essere cancellato ogni accento vittimista."
Nell'introduzione al libro è posto il problema politicamente più urgente: il problema dell'autodifesa dei lavoratori, di quella "coalizione dei lavoratori"che il postfordismo ha rotto con la complicità dei sindacati: "Il sistema postfordista è riuscito in larga parte a sradicare le condizioni della coalizione all'interno dei luoghi di lavoro esasperando le differenze tra segmenti della forza lavoro. Se i luoghi di lavoro non sono più luoghi di coalizione, non sono più sede di formazione di pratiche di democrazia politica, lo si deve in prima istanza agli accordi sindacali del luglio 1993 che hanno sancito la centralizzazione della contrattazione sindacale. Se i lavoratori dell'impresa non hanno più poteri di negoziazione salariale, su quali basi dovrebbe svilupparsi un'idea di coalizione nel luogo di lavoro?"
Ma Bologna non si ferma a costatare l'eredità di una sconfitta, e passa all'analisi delle trasformazioni sociali che la nuova organizzazione tecnica del lavoro ha prodotto, e delle possibilità nuove di organizzazione che dallinterno della forma-rete cominciano a vedere la luce. Il libro racconta anzitutto i risultati di un'indagine sui blog in cui si esprimono le opinioni e il vissuto di lavoratori. Attraverso questa indagine viene smontata l'ideologia della nuova impresa, e anche l'ideologia (ad essa speculare) secondo cui i lavoratori autonomi come padroncini. Uno sconosciuto lavoratore scrive ad esempio in uno dei blog su cui l'Autore ha svolto la sua ricerca:
"le tante neonate Nuove Imprese, orgoglio dei programmi di governo sia di destra sia di sinistra, non sono altro che milioni di persone che per non farsi sfruttare dai contratti di collaborazione si sono aperti la fatidica Partita Iva. Siamo stati COSTRETTI a creare queste nuove imprese. ci hanno costretto ad avventurarci nell'impresa di diventare liberi professionisti, ai quali chiedere più del 40% di tasse. Io sono uno di questi nuovi liberi professionisti, io sono una nuova impresa. Perché l'ho fatto? Perché con una partita iva ho qualche possibilità in più di far valere i miei diritti mentre con i contratti a progetto ho solo doveri. O almeno non cè nessuno che vigili sull'uso quasi criminoso che i datori di lavoro fanno di questa formula contrattuale."
Il concetto di «impresa individuale», sostiene Bologna, è una contraddizione in termini, un falso che nasconde le condizioni dello sfruttamento di rete. L'impresa individuale è in realtà l'autogestine dello sfruttamento nella dinamica cellularizzata della fabbrica sociale di rete. Al tempo stesso, però, Bologna indica la doppia valenza della messa in rete del lavoro. Proprio nella dimensione della rete si ricreano le condizioni della coalizione e della solidarietà dei produttori, fuori dai luoghi della politica rappresentativa.
"Bisogna proprio essere ottusi per non vedere che ormai va crescendo una specie di onda lunga che percorre l'intero pianeta lungo il circuito del web all'interno della quale si consolida un'identità che appare ancora di tipo generazionale ma sempre più acquista i contorni di classe."
Bisogna proprio essere sordi e ciechi per continuare a ignorare la dimensione del web, come una forma di rappresentanza. Il web come forma di rappresentanza, come spazio dell'autorganizzazione e dell'autodifesa del nuovo lavoro. Da qui inizia il processo di costruzione della coalizione politica che può restituire forza sociale agli sfruttati. Una sola obiezione voglio rivolgere a Sergio Bologna: dal momento che il suo discorso è centrato sulla scoperta e sulla descrizione della nuova figura sociale produttiva, perché usare ancora l'espressione ceti medi, per definirla? Nel libro è contenuta una ricostruzione utilissima del concetto di "lavoratori della conoscenza", e della loro differenziazione rispetto all'intellettuale moderno. Perché non ripartire da qui, dal carattere essenzialmente cognitivo della produzione di valore, per una definizione meno banale (sociologico-giornalistica) della definizione "ceti medi"?
di Bifo
In un suo recente intervento, che ha largamente circolato in rete col titolo Uscire dal vicolo cieco, Sergio Bologna dice che occorre smetterla di considerare la precarietà come una malattia adolescenziale, e occorre cominciare a parlare di "classe precaria". Per meglio apprezzare il senso generale dell'operazione concettuale e politica che Bologna sta compiendo, occorre leggere un libro che esce in questi giorni col titolo Ceti medi senza futuro?, pubblicato dalla casa editrice Derive approdi. Si tratta di un testo prezioso per chiunque voglia uscire dalla lunga spirale di vittimismo e di passatismo che ha caratterizzato finora il discorso della sinistra. A questo proposito scrive Bologna:
"Mai dimenticare che il postfordismo è stato il prodotto di una doppia spinta: da una parte la riorganizzazione capitalistica e dall'altra il rifiuto del lavoro normato, così come si manifestò, per esempio, nel movimento del '77. La precarizzazione l'abbiamo voluta anche noi! E pertanto deve essere cancellato ogni accento vittimista."
Nell'introduzione al libro è posto il problema politicamente più urgente: il problema dell'autodifesa dei lavoratori, di quella "coalizione dei lavoratori"che il postfordismo ha rotto con la complicità dei sindacati: "Il sistema postfordista è riuscito in larga parte a sradicare le condizioni della coalizione all'interno dei luoghi di lavoro esasperando le differenze tra segmenti della forza lavoro. Se i luoghi di lavoro non sono più luoghi di coalizione, non sono più sede di formazione di pratiche di democrazia politica, lo si deve in prima istanza agli accordi sindacali del luglio 1993 che hanno sancito la centralizzazione della contrattazione sindacale. Se i lavoratori dell'impresa non hanno più poteri di negoziazione salariale, su quali basi dovrebbe svilupparsi un'idea di coalizione nel luogo di lavoro?"
Ma Bologna non si ferma a costatare l'eredità di una sconfitta, e passa all'analisi delle trasformazioni sociali che la nuova organizzazione tecnica del lavoro ha prodotto, e delle possibilità nuove di organizzazione che dallinterno della forma-rete cominciano a vedere la luce. Il libro racconta anzitutto i risultati di un'indagine sui blog in cui si esprimono le opinioni e il vissuto di lavoratori. Attraverso questa indagine viene smontata l'ideologia della nuova impresa, e anche l'ideologia (ad essa speculare) secondo cui i lavoratori autonomi come padroncini. Uno sconosciuto lavoratore scrive ad esempio in uno dei blog su cui l'Autore ha svolto la sua ricerca:
"le tante neonate Nuove Imprese, orgoglio dei programmi di governo sia di destra sia di sinistra, non sono altro che milioni di persone che per non farsi sfruttare dai contratti di collaborazione si sono aperti la fatidica Partita Iva. Siamo stati COSTRETTI a creare queste nuove imprese. ci hanno costretto ad avventurarci nell'impresa di diventare liberi professionisti, ai quali chiedere più del 40% di tasse. Io sono uno di questi nuovi liberi professionisti, io sono una nuova impresa. Perché l'ho fatto? Perché con una partita iva ho qualche possibilità in più di far valere i miei diritti mentre con i contratti a progetto ho solo doveri. O almeno non cè nessuno che vigili sull'uso quasi criminoso che i datori di lavoro fanno di questa formula contrattuale."
Il concetto di «impresa individuale», sostiene Bologna, è una contraddizione in termini, un falso che nasconde le condizioni dello sfruttamento di rete. L'impresa individuale è in realtà l'autogestine dello sfruttamento nella dinamica cellularizzata della fabbrica sociale di rete. Al tempo stesso, però, Bologna indica la doppia valenza della messa in rete del lavoro. Proprio nella dimensione della rete si ricreano le condizioni della coalizione e della solidarietà dei produttori, fuori dai luoghi della politica rappresentativa.
"Bisogna proprio essere ottusi per non vedere che ormai va crescendo una specie di onda lunga che percorre l'intero pianeta lungo il circuito del web all'interno della quale si consolida un'identità che appare ancora di tipo generazionale ma sempre più acquista i contorni di classe."
Bisogna proprio essere sordi e ciechi per continuare a ignorare la dimensione del web, come una forma di rappresentanza. Il web come forma di rappresentanza, come spazio dell'autorganizzazione e dell'autodifesa del nuovo lavoro. Da qui inizia il processo di costruzione della coalizione politica che può restituire forza sociale agli sfruttati. Una sola obiezione voglio rivolgere a Sergio Bologna: dal momento che il suo discorso è centrato sulla scoperta e sulla descrizione della nuova figura sociale produttiva, perché usare ancora l'espressione ceti medi, per definirla? Nel libro è contenuta una ricostruzione utilissima del concetto di "lavoratori della conoscenza", e della loro differenziazione rispetto all'intellettuale moderno. Perché non ripartire da qui, dal carattere essenzialmente cognitivo della produzione di valore, per una definizione meno banale (sociologico-giornalistica) della definizione "ceti medi"?
di Bifo
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