martedì, ottobre 02, 2007

Ceti medi senza futuro?

E' uscito per DeriveApprodi il nuovo lavoro di Sergio Bologna. Il titolo Ceti medi senza futuro? Scritti, appunti sul lavoro e altro chiarisce fuori da ogni equivoco i temi centrali del libro. Era da me molto atteso, in particolare dopo l'uscita in occasione della MayDay007 del documento Uscire dal vicolo cieco?, un'analisi che ho particolarmente apprezzato su lavoro e precarietà e linkato anche qui su finoaquituttobene... questo che segue è un breve stralcio dalla prefazione dell'autore.

Questi scritti nascono sull’onda della pubblicazione
Il lavoro autonomo di seconda generazione (Feltrinelli 1997), un libro, curato da me e Andrea Fumagalli, che all’inizio sembrò ben accolto. Dopo dieci anni, le tesi che espressi in quella sede sono però ancora più lontane dal comune sentire e dall’opinione dominante della Sinistra di quanto lo fossero allora. Pertanto, non trattandosi di esercitazioni sociologiche ma di opinioni politiche, non so bene dove il loro autore possa essere collocato. Diciamo che da parecchio tempo si sente un apolide e vive questa condizione felicemente. L’esperienza «operaista» degli anni Sessanta è stata per lui molto importante, gli ha dato strumenti di lettura della realtà ai quali è rimasto in sostanza fedele. I valori cui questi scritti si ispirano sono i valori della democrazia. Di quella che si fonda sul rispetto per il lavoro, anzi sul lavoro tout court, come recita un dettato costituzionale che la realtà di ogni giorno sembra negare. Una democrazia che poggia sul capitale umano, sulle competenze, sulle pratiche di relazione – non sull’appartenenza di ceto, sulle risorse finanziarie, sull’affiliazione di partito. Per dirla con Karl Polànyi, una democrazia «che per noi non è un sistema di governo, ma una forma ideale di vita». Ne siamo lontani e rischiamo di allontanarcene sempre di più. Se mettiamo a fuoco la realtà quotidiana di milioni di lavoratrici e di lavoratori nati in questo Paese, la parola «diritti» – che sta in permanenza sulla bocca del ceto politico e sindacale – diventa un non senso. Mentre rendite e privilegi dispongono di ampie tutele.

Questi scritti non appartengono al genere «ricerche sul lavoro», non rientrano nel regime di osservazione del lavoro altrui, non hanno pretese «scientifiche». Sono riflessioni che nascono dalla mia esperienza lavorativa, professionale. In vent’anni di consulenza un po’ di postfordismo ho ben avuto modo di vederlo dall’interno, e la globalizzazione, quella ancor più da vicino, occupandomi di trasporto delle merci. Ho tenuto fermo il punto di partenza, una figura paradigmatica, quella del lavoratore indipendente, avventurandomi poi ad esplorare territori che quella figura è costretta o ama frequentare. Ma ho anche cambiato idea, quando l’agire collettivo mi ha fatto vedere prospettive che non avevo saputo cogliere. Il lettore troverà molte ripetizioni, gli sembreranno ossessive, me ne scuso, ma certe volte capita che l’interlocutore sia così sordo da dovergli ripetere cento volte la stessa cosa perché la capisca. Nonostante i miei anni, non è alla fine di un percorso che mi sembra di essere, ma all’inizio di un’epoca di cambiamenti.

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