la guerra al terrore è perduta
Nel quinto anniversario del 911 è diventato ufficiale: l'occidente ha perso la guerra contro il terrore. Il terrore ha vinto. Bush perde la sua guerra, ma la vittoria del terrore non è forse la sua vittoria? Al momento in cui scrivo non so se gli americani puniranno la banda che occupa da sei anni la Casa Bianca. Ma in ogni caso è troppo tardi. La dinamica messa in moto è inarrestabile. Per l'occidente la guerra è persa senza rimedio, ma non per questo è finita. Essa è destinata anzi a proliferare lungo linee che nessuno può più prevedere o controllare.
Perché il gruppo dirigente anglo-americano ha scelto questa via suicida? Le risposte possibili sono molteplici: la prima è che il fanatismo rende ciechi. Ma ci sono altre risposte, più interessanti. Il destino del capitalismo globale non coincide più con il destino degli USA.
Nel ciclo capitalistico il fattore decisivo non è più (come negli anni Novanta) l'informazione. L'informazione non produce più profitti. Il nuovo ciclo trainante è quello biopolitico, per meglio dire tanatopolitico: il ciclo della guerra, della sicurezza, della sanità. L'organizzazione della morte su scala planetaria. Negli anni '00 il settore della sanità e della sicurezza ha creato negli US
quasi due milioni di posti di lavoro. L'informazione nessuno.
la frontiera extra-terra si apre o si chiude
Dopo aver ottenuto dal Congresso (con il voto di molti democratici) l'approvazione del Military Commission Act, la nuova legislazione che sancisce l'abolizione dell'habeas corpus e dell'universalità del diritto cioè dell'intera civiltà giuridica moderna, Bush ha dichiarato che lo
spazio non è aperto agli un-american. Negli stessi giorni sulle prime pagine dei giornali compariva la previsione del WWF secondo cui fra cinquant'anni la terra non sarà più abitabile.
Catastrofismo? Niente affatto. Se consideriamo il grado di esaurimento delle risorse essenziali per la vita e l'incremento del ritmo di sfruttamento richiesto dalla crescita capitalistica globale si tratta di una previsione fin troppo facile. Se aggiungiamo la proliferazione dell'armamento nucleare che segue inevitabilmente alla lezione iraqena (chi non ha l'atomica può fare la fine di Saddam) non rimangono dubbi: meglio andarsene.
Il mondo extra-planetario è la nuova indispensabile frontiera. E solo agli americani è concesso di superarla. La guerra che si prepara ha come oggetto l'accesso alla sopravvivenza extra-terrestre. Solo la razza sintetica, erede dell'intera storia genetica e culturale del passato umano potrà
fuggire dal pianeta in fiamme.
La metafora è chiara: soltanto gli Ubermenschen saranno ammessi sull'astronave.
Ma il popolo americano erede sintetico di tutti i popoli della terra sta perdendo a Babilonia la guerra che doveva permettergli di trasformare l'egemonia militare in superiorità evolutiva. Per il momento la razza sintetica perde la guerra contro la razza umana.
l'89 americano
Il potere economico americano si è fondato negli ultimi cinquant'anni sull'egemonia militare. Ma ora il potere militare americano appare come una tigre di carta. La guerra iraqena ha rivelato l'illusorietà del suo predominio.
E la guerra afghana dimostra che l'effetto della guerra iraqena è l'impotenza occidentale su qualsiasi scenario del pianeta.
Possedere il 50% della potenza distruttiva globale non conferisce alcuna egemonia. Il pensiero strategico americano ha compiuto lo stesso errore ideologico compiuto dall'ideologia economica iperliberista: ha creduto nell'autoregolazione della sfera virtuale, nell'invulnerabile separatezza
della sfera virtuale da quella fisica.
Le teorie sul Netwarfare ispirate da un filone di pensiero che va da Alvin Toffler (War and antiwar) a John Arquilla si sono rivelate un fiasco. Nate sull'onda della ciber-ideologia degli anni novanta queste teorie affermavano la superiorità dell'info-guerra, e attribuivano questa superiorità agli USA, perché capaci di disporre di tecnologie avanzate.
Ma l'inserzione dell'Infosfera sul corpo reale ha prodotto imprevedibili effetti di rigetto, e di incompatibilità operativa. La superiorità tecnologica non si è risolta in superiorità militare perché, come dice Arquilla: "A resistance network has the power to prevail against an enemy whose strategy is based on territorial conquest."
In questo consiste l'asimmetria della guerra in corso: i parametri di valutazione del predominio sono fuori misura. Come è stato possibile a un gruppo di intellettuali islamisti asserragliati sulle montagne dell'Indu Kush dar scacco alla più grande potenza di tutti i tempi? Non certo grazie alla potenza di fuoco, ma provocando nell'organismo occidentale reazioni autodistruttive.
Nell'info-guerra non basta avere tecnologie raffinate, occorre rendere compatibili le tecnologie e il corpo combattente. Come disse Colin Powell il 12 settembre: avevamo ricevuto informazioni su un possibile attacco di Al Qaida a Manhattan, ma informazioni di questo genere sono quotidiane.
Abbiamo troppa informazione e non sappiamo come elaborarla.
911 ha provocato un tilt cibernetico della potenza globale, e questo un processo che presto riconosceremo come l'Ottantanove americano. Gli effetti della catastrofe si dispiegheranno ineluttabilmente. Ma quale direzione prenderanno? Non esiste più un pensiero strategico americano, e questa è una situazione di pericolosità estrema.
l'Europa paralitica e l'utopia senile
Nello spazio europeo la catastrofe dell'Occidente apre prospettive imprevedibili.
Dopo il No franco-olandese al referendum costituzionale l'Europa è paralitica. Fin quando resta incapace di uscire dai limiti del pensiero neoliberista, l'entità europea si riduce a un sistema di automatismi tecno-finanziari, una gabbia che impone il modello della crescita competitiva a una società che non può più né crescere né competere.
L'Europa deve liberarsi dal modello dell'economia di crescita. Ma non può farlo se non per effetto di un trauma.
Il trauma verrà dalla guerra. Nonostante le sue reticenze l'Europa non ha saputo differenziarsi apertamente dalla guerra di Bush. I limiti dell'identificazione occidentale l'hanno resa ostaggio delle fantiche visioni dell'apocalisse di stampo puritano, wahabita o khomeinista. Ma il clima culturale in Europa, nonostante la presenza del cancro vaticano, non è favorevole al fanatismo identitario. Occorrerà probabilmente attendere gli effetti del disastro afghano perché l'opinione pubblica europa si renda conto che occorre scendere in fretta dal carro armato che corre verso l'abisso. Se non è troppo tardi anche per noi.
L'Europa è il punto più avanzato della senescenza globale. La questione della senescenza del genere umano non è ancora stata registrata dal pensiero politico. Finora si è affrontato il problema in
termini di contabilità pensionistica. Miseria dell'economicismo!
La senilizzazione è un processo di riduzione dell'energia psicofisica dell'insieme sociale, un processo che potrebbe cambiare le prospettive in maniera fantastica nei decenni a venire. Le pulsioni libidiche competitive sono destinate a ridursi. Si spegne la retorica dell'energia, connessa allo spirito del Romanticismo e alla dinamica oggettiva del capitalismo.
L'Europa è l'avanguardia di questo processo. Nel quindicesimo secolo era accaduto il contrario: in seguito alla peste devastante del secolo precedente che aveva eliminato più di un terzo della popolazione europea l'Europa aveva goduto di un soprassalto energetico eccezionale, e aveva
saputo investirlo nella gigantesca impresa di colonizzazione del mondo.
Oggi si tratta di metabolizzare culturalmente la senescenza. O l'Europa riesce a trasformare la senilità in un principio positivo di rilassamento dell'organismo sociale, oppure è fottuta. L'utopia senile della decrescita è l'unica via d'uscita possibile dalla congestione ipercapitalistica e dal fanatismo integralista.
L'Europa è lo spazio culturale entro cui la senilizzazione del mondo può cominciare a produrre i suoi effetti positivi: disinvestimento e godimento del presente.
bifo_RKazione
Ogni situazione di catastrofe apre a una biforcazione.
Si può sprofondare in una spirale infernale, se si rimane ostaggio dei dogmi economici dominanti, e si continua nella strada tracciata aumentando gli sforzi nella direzione sbagliata.
O può verificarsi una rottura epistemologica, può emergere un paradigma post-economico e può rivelarsi una visione del tutto nuovo della relazione tra gli esseri umani.
Il luogo di una rottura di questo genere è l'Europa, e il soggetto non può che essere il lavoro cognitivo reticolare precario.
Solo un processo di autonomizzazione del lavoro mentale dalla regola economica può disattivare il congegno suicida dell'etnicismo e quello non meno suicida della crescita che devastano il pianeta. Il lavoro cognitivo reticolare precario è la funzione trasversale capace di ricombinare gli elementi sociali in mutazione perenne secondo una regola non accumulativa, non competitiva, non aggressiva.
Ma l'autonomizzazione della funzione trasversale cognitiva non può compiersi prima che il trauma abbia prodotto i suoi effetti. E questi potrebbero essere irreversibili. La storia a cui assisteremo nel tempo che viene è quella di una gara tra i tempi dell'attivazione autonoma dell'intelletto collettivo e i tempi dell'apocalisse.
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