martedì, novembre 07, 2006

Decrescita sì, decrescita no...

In questi giorni sulla mailing list di neurogreen si è aperto un thread - per me molto interessante - sul tema della decrescita. Tutto ha preso il via da una e-mail che in tono un pò polemico chiedeva alla lista: "non inizierete anche voi ad appassionarvi alla decrescita! lasciamola ai cattocomunisti, a carta, ai maussiani... alla neodestracomunitarista..."
Una lunga serie di risposte e controrisposte ha tracciato una riflessione che ha messo a nudo quelle questioni che l'uso del concetto di decrescita lascia aperte, soprattutto se si centra la propria analisi sul capitalismo cognitivo. Insomma, lo sviluppo di questo thread ha messo in evidenza ed ha incontrato le remore che io stesso percepivo nel mio pensiero ma che non riuscivo a mettere completamente a fuoco sulla decrescita.

Giusto per fare il punto: il concetto di decrescita è stato introdotto da Latouche, ed in effetti la stessa costruzione della parola, la sua semantica, richiama e rimanda con forza a dimensioni di penuria, di miseria... allo stesso modo è innegabile che questo concetto abbia negli ultimi anni favorito una riflessione vera sulla sostenibilità del sistema economico attuale, soprattutto attraverso la critica del PIL quale unica misura dei livelli di crescita (visione economicistica).

La critica principale che si rivolge alla decrescita è questo rimando diretto ad una dimensione di penuria, mentre il capitalismo cognitivo ci proietta verso dimensioni in cui la norma è l'eccedenza, in cui le risorse fondamentali per la produzione di ricchezza - conoscenza, linguaggio, informazione - non sono soggetti a scarsità.
Il concetto di decrescita deve essere dunque accantonato perché "immette gia' in un'ottica dialettica, col rischio concreto di condividere i presupposti di cio' a cui pretenderebbe invece di opporsi", rischiando inoltre "di ingenerare una confusione semantica tra decrescita e scarsita'" (gallizio)?

Ed ancora perché "le nozioni hanno una loro storia ed un loro originario significato difficile da ribaltare: quella di decrescita nasce con Latouche e il miserabilsimo terzomondista di Lemonde diplomatique; che sneso ha cercare di rivitalizzarla? La scuola della decrescita non sa neppure che cosa è il general intellect o la produzione immateriale. Usiano altri termini, sopratutto se chiediamo reddito e nuovi diritti. (Bronzini)"

Secondo Magius la risposta alla domanda non è necessariamente affermativa, sta a noi verificare ed evitare un'interpretazione della decrescita che non ci piace: "Decrescita della produzione materiale e crescita della produzione immateriale? La decrescita come utopia senile di Bifo non è necessariamente stasi energetica, morte della creazione. E' appunto una ricombinazione."

E allo stesso tempo fare della decrescita qualcosa che ci piace, a partire dalla convinzione che la decrescita è in primo luogo un meme, che così è definito su Wikypedia: Un meme è un'unità di informazione che è in grado di replicarsi da una mente o un supporto simbolico di memoria - per esempio un libro - ad un'altra mente o supporto. In termini più specifici, un meme è un'unità auto-propagantesi di evoluzione culturale, analoga a ciò che il gene è per la genetica. La parola è stata coniata da Richard Dawkins nel suo controverso libro Il gene egoista. Un meme può essere parte di un'idea, una lingua, una melodia, una forma, un'abilità, un valore morale o estetico; può essere in genere qualsiasi cosa può essere comunemente imparata e trasmessa ad altri come un'unità. Lo studio dei modelli evoluzionistici del trasferimento dell'informazione prende il nome di memetica.Una sintesi di ciò che ci piace è descritta nell'intervento di Andrea Fumagalli che scrive:

"Una ricombinazione tra l'utilizzo delle risorse (finite) per la produzione materiale e la possibilità di
sviluppare produzione immateriale, non soggetta a scarsità. La conoscenza, nuova leva
dell'accumulazione capitalistica, è infatti un bene non rivale, ovvero che più circola (viene
consumato) più si diffonde in un processo cumulativo, e come tale non può essere soggetto allo
scambio dei diritti di proprietà. La conoscenza non è nè proprietà pubblica, nè proprietà privata,
è un bene comune, in grado (entro determinate condizoni) di rigenerarsi continuamente (come
l'energia solare). La conoscenza quindi non può essere scarsa, vive artificialmente resa scarsa
con l'implementazione dei diritti di proprietà intellettuale. Con il Sole e la Conoscenza, non c'è
decrescita.
Se aggiungiamo la Socialità e le Relazioni Umane, abbiamo una triade di partenza che
presuppone una nuova società libera."

L'ultimo punto lo segna Tulio Liuzza che propone la seguente analisi, molto interessante ed
evocativa:

"Preferisco fare leva su termini composti dal prefisso "eco" che deriva dal greco "oikos", "casa".
Il concetto di casa secondo me già contiene in sé tutte le potenzialità della decrescita senza
trascinarsi le sue connotazioni pauperistiche. La casa infatti ha dei limiti. D'altronde anche l'economia è scienza del limite e in origine era scienza della casa (oikonomia), pertinenza della
donna nella società greca in cui gli uomini si occupavando della politica (il governo della polis),
la sfera del pubblico, mentre alla donna spettava la casa (oikos, appunto), il privato. Ma la casa è anche il luogo in cui si producono eccedenze: relazioni, condivisione (dividere insieme) di cibo (il "mangiare insieme" era già una proprietà fondentale dell'essere amici, compagni nel senso di dividere la pagnotta) e di affettività. In un certo sensola casa sembra essere metafora dello stesso linguaggio e quindi della produzione immateriale, intrinsecamente eccedente. Si parte da un lumero limitato di elementi (stoviglie, mobili, cibo, e così via) per produrre in maniera illimitata (affetti, relazioni). La casa, però, lungi dall'esserci consegnata immutabile, è un campo di battaglia. La sfida oggi è quella di riprogettarla e farla divenire coestensiva alla polis stessa andando oltre la tradizionale distinzione tra privato (oikos, femminile) e pubblico (polis, maschile) per dar vita a un'"ecopolitica" (oikopolis, queer)."

Abbandonare dunque il termine decrescita, recuperarne ciò che si ritiene irrinunciabile per un'azione politica nel secolo attuale, per la costruzione di un soggetto che faccia allo stesso modo riferimento all'ecoattivismo, al pensiero ecologico e alla rivendicazione d'accesso all'eccedenza che ci viene espropriata, sotto forma di diritto al reddito e gestione comune dei beni primari nel capitalismo cognitivo.


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