di Alex Foti, Max Guareschi
tratto da precog
Con le elezioni 2008 una storia si è definitivamente chiusa, quella del comunismo italiano. E' anche la sconfitta di un'intera generazione politica, quella formatasi negli anni '70. Non è solo Rifondazione a uscire con le ossa rotte, ma anche leninisti, trotzkisti, gramsciani e luxemburghiani assortiti. Il parlamento in procinto di insediarsi, per la prima volta dal '46, vedrà l'assenza non solo di famiglie politiche di lungo corso, quali socialisti e comunisti, ma anche di qualsivoglia componente dichiaratamente di "sinistra". La condizione extraparlamentare si presenta così come condizione obbligata per tutti coloro che sono restii a riconoscersi nella retorica di Veltroni, o meglio nella piattaforma che gli sta dietro, fatta di appelli alla trinità "dio, patria e famiglia" conditi da conformismo confindustriale e cieca fede nelle virtù demiurgiche del securitarismo.
In questo frangente, bisogna intendersi bene sulla posta in gioco. Un obiettivo può essere quello di ricreare le condizioni affinché nel prossimo parlamento si ottenga di nuovo la rappresentanza di culture politiche residuali, incapaci di qualsiasi scatto proattivo che vada oltre la tutela di brand e simboli o il diritto di tribuna per uno specifico settore di classe politica. Se fosse davvero così, allora basterebbe qualche aggiustamento organizzativo, i consueti appelli a tornare a fare politica sul territorio, ad ascoltare la base, a sventolare le vecchie bandiere. E magari alla prossima tornata elettorale si potrebbe anche riuscire a superare la fatidica soglia di sbarramento. Ma se invece si pensa, e noi siamo di questo avviso, che l'agire politico debba necessariamente porsi sull'orizzonte della capacità di flettere il presente, di incidere sul reale, allora non si può fare a meno di cogliere l'aspetto liberatorio che presenta la tabula rasa emersa dalle urne: la scomparsa di un ceto politico e di esperienze partitiche ormai prive di propositività, incapaci di andare oltre un consenso di nicchia e una funzione di rassicurazione.
Le nostre priorità politiche sono quelle di Richard Stallman, il profeta del free software: bloccare il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici, combattere le insorgenze autoritarie, siano esse di Bush o Hu Jintao, togliere potere politico al business e alla finanza, muovendosi nella prospettiva della democrazia radicale. Il riferimento sono le 4 stelle del movimento dell'euromayday: pink, verde, nera, rossa. Quello che vogliamo fare sulla scena del nuovo millennio è infatti pensare nuovi simboli e nuove parole d'ordine, un nuovo immaginario politico al servizio di una visione ribelle e libertaria, emancipazionista ed egualitaria. Dobbiamo realizzare un livello di innovazione capace di sedimentare un nuovo senso comune fra giovani, donne, immigrati, e mettere in rete tutti gli studenti, i precari, le menti creative non rassegnate alla gerontocrazia e al clericalismo italiani. Vogliamo sconfiggere il blocco corporativo che discrimina tanta parte della società italiana: confindustria, sindacati confederali, baronie varie, ordini professionali.
Certi passaggi ormai sono chiari: la rivoluzione di genere, il lavoro precario, il meticciato urbano, le identità mutanti, la proliferazione degli stili di vita, la produzione che dipende dalla libertà delle reti informazionali, fino ad arrivare alla crisi ecologica del capitalismo e alla più recente crisi economica del neoliberismo. Il vero problema non è descrivere questi processi ma agirli, riuscire a offrire esiti politici credibili, modelli di azione, formule aggregative. Per farlo bisogna essere spregiudicati e opporre al populismo reazionario un populismo eretico, attraente e accattivante, non penitenziale o rancoroso. Si tratta non di resistere, ma di passare all'offensiva. Del resto, il successo della Lega non si deve forse in modo preponderante alla sua mancanza di galateo e presentabilità, sgradevole senza dubbio ma con ogni evidenza efficace, alla sua insistenza su parole forti e disponibilità all'azione?
La vera posta in gioco è il senso comune, la capacità di modellarlo, di orientarlo. La scommessa è riportare l'azione collettiva al centro di una politica di sinistra, postcapitalista e antinazionalista, per modificare i rapporti di forza nei confronti delle élite locali, nazionali ed europee. Il movimento no global nel momento alto della sua parabola nel 2002-2003 era a tratti riuscito, su temi come agricoltura e alimentazione, critica della finanziarizzazione, rapporti Nord-Sud, libertarismo digitale, ecologismo urbano, a rendere il suo punto di vista "autorevole" e "attraente" presso una platea che andava oltre gli steccati delle appartenenze politiche consolidate.
Quel movimento, al di là delle scelte più o meno atlantiste dei singoli governi, ha dato luogo a un senso comune di opposizione alla guerra in Iraq diffuso a livello planetario. Su scala italiana, la capacità di uscire da una dimensione minoritaria e testimoniale ci è mostrata dai movimenti che hanno raccolto l'eredità no global: No Tav, No Dal Molin, No Vatican, euromayday, critical mass. Sono queste le esperienze da cui partire per la ricostruzione di una sinistra diffusa che incarni l'Italia eretica, l'Italia precaria, l'Italia meticcia.
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