da il manifesto - 3 aprile 2008
Ecco un libro di critica di economia politica che si può leggere da principio alla fine (non è cosa da poco): è Bioeconomia e capitalismo cognitivo di Andrea Fumagalli (Carocci, pp. 240, euro 20,30). Parrebbe, questo libro, l'avvio iniziale (e tuttavia abbozzo maturo) di un trattato di economia politica: si va infatti dalla teoria dell'accumulazione (suddivisa in quattro parti: modi di finanziamento, attività ed evoluzione delle forme di accumulazione, forme dell'impresa, realizzazione monetaria) ad una nuova teoria della prestazione lavorativa (anch'essa articolata in tre parti: come dispositivo di sussunzione totale della vita, come figura cangiante della forza-lavoro nel capitalismo cognitivo, ed infine nello sfruttamento-alienazione delle nuove soggettività al lavoro), fino a una teoria complessiva del capitalismo cognitivo che insiste sugli elementi di contraddizione (il «comune» contro/oltre il pubblico ed il privato) e su un programma postsocialista («reddito di esistenza» e «welfare del comune»).
La natura dell'alienazione
Si diceva: sembra che questo libro sia un trattato, ma non è affatto così. Questo libro, infatti, deborda l'economia politica: «l'aspetto economico che viene trattato è quello del potere e della soggettività delle figure sociali che agiscono o subiscono tale potere». È dunque, questo di Fumagalli, un libro politico. Insisterò su questo aspetto, lasciando ad altri più competenti di quanto io lo sia, l'analisi dei teoremi economici più innovativi che egli avanza. A me interessa lo spillover, il traboccare politico della ricerca ed il suo concentrarsi sulla nuova definizione del lavoratore salariato nel capitalismo cognitivo. Questa è la vera novità di questo libro.
Marx ci ha insegnato che è solo a partire dalla figura dello sfruttamento e dai movimenti della forza lavoro che la critica può diventare reale, e cioè collegare l'analisi teorica all'iniziativa politica, la critica che emancipa alla praxis che libera. Fumagalli fa ruotare l'intera trattazione teorica attorno alla ridefinizione dello sfruttamento.
Senza togliere nulla alla definizione di sfruttamento come «espropriazione» del lavoro vivo e sua trasformazione in lavoro morto, e senza dimenticare la ferocia capitalistica nel trasformare la forza lavoro in capitale variabile, egli ritorna sull'«alienazione» e ne definisce la nuova «natura comune», così come essa è fatta risaltare dal capitalismo cognitivo. «Nel capitalismo cognitivo alienazione esistenziale e sfruttamento tendono ad essere due facce della stessa medaglia». Questa è dunque l'orribile pesantezza dello sfruttamento, trasformato dal dispositivo cognitivo in riassorbimento della vita nel capitale. Come liberarsi? Come lottare in queste condizioni?
Due riflessioni. Innanzitutto: perché chiamare «bioeconomia» questo tessuto di discussione critica, invece che «critica dell'economia politica»? Non varrebbe la pena di limitare la definizione di bioeconomia a quelle specifiche tecniche di conoscenza e di produzione di valore che riguardano le facoltà vitali degli esseri umani (il genoma etc.)? Problema non evidentemente secondario: si tratta infatti di chiedersi se i nuovi poteri dello sfruttamento capitalistico sulla vita dei lavoratori abbiano tanta forza quanta ne hanno sul genoma, sulla topografia della natura e sulle consistenze biologiche.
È quello che Fumagalli, ed anche noi, supponiamo ed a cui ci opponiamo. Non ci indigniamo dunque della trasformazione tecnologica della natura ma del suo sfruttamento, del dominio che su queste pratiche - al fine della accumulazione - viene esercitato.
Dominio e resistenza
La seconda riflessione riguarda la temporalità, cioè la prepotente attualità dell'emergere di questi temi. Essa è provocata da una nuova consapevolezza critica dei soggetti sfruttati. Se il potere investe la vita, se concetto e realtà di capitale si presentano come biopotere, la potenza del lavoro vivo, rivelandosi a se stessa nel contesto generale della vita, si presenta come resistenza al dominio e come costruzione prospettica di nuovi dispositivi biopolitici. Ma le trasformazioni delle categorie del capitale comportano la trasformazione delle categorie della resistenza. E tutto questo si costruisce sempre più vivacemente e fortemente quanto più nel capitalismo cognitivo le «potenze del lavoro» si riconoscono come «produttive del comune».
Torniamo alla questione dello sfruttamento: essa muta anche guardando alle trasformazioni sistemiche delle figure del capitale. Vale a dire che, nel capitalismo cognitivo, si esaurisce in maniera definitiva la «formula trinitaria» (rendita, salario, profitto) ed il capitalismo cognitivo astrae la sua potenza configurandosi tutto - unitariamente - come capitale finanziario. Quanto più si immerge nella vita tanto più il capitale finanziario la possiede e la sfrutta dall'alto. Il profitto diventa sempre più parassitario e si confonde nella rendita finanziaria.
Queste esperienze scientifiche rafforzano la consapevolezza della crisi della legge (classica) del valore. La legge del valore inciampa infatti qui sulla vita. «Se è la vita stessa dei singoli, che oggi sono individui necessariamente sociali, ad essere messa al lavoro, la reazione a questa nuova condizione umana non può in nessun caso essere raccolta in una tipologia unica e tanto meno catturata puramente e semplicemente nel tempo di lavoro. È il tempo di vita che determina ogni valorizzazione produttiva».
Che cosa significherà allora, attraverso le filiere del capitalismo cognitivo, a fronte del capitale finanziario, dentro lo sfruttamento biopolitico, ribellarsi? Significa - conclude Fumagalli - autorganizzare la ribellione a partire dalle ed insistendo sulle nostre «forme di vita»: rifiutare la regola capitalistica, nel momento stesso in cui si costruiscono nuove facoltà umane. L'analisi, a questo punto, deve diventare programma. Quando analizziamo la forma monetaria del dominio capitalistico, nella sua esaltazione finanziaria, poniamo allora il «reddito di cittadinanza» contro i dispositivi del capitale finanziario; in forma programmatica e con animo di lotta, si tratterà quindi di comprendere che cosa voglia ormai dire «lotta salariale» contro il biopotere; e cioè lotta per l'estensione del welfare (il salario del comune) contro quello sfruttamento del comune che è sorgente e forma attuali del dominio capitalistico.
Oltre la contingenza
Non pensiate che siamo diventati buoni. Di generazione in generazione, a fronte di coloro che ci dicono che la lotta di classe è finita, noi rispondiamo: cretini! Non vi accorgete che ogni ipotesi scientifica, che ogni esperienza vitale riaprono alla prospettiva insurrezionale? Siamo ormai al punto in cui dobbiamo chiederci - nell'attualità, nella presenza - se il concetto di capitale non sia esso stesso giunto a divedersi in due, se cioè il capitale costante (globale) riesca ancora a trattenere dentro di sé (e a trasformare continuamente in maniera funzionale al proprio sviluppo) la forza-lavoro - intelligente, mobile, cognitiva, affettiva, relazionale. Probabilmente (è quanto un trattato di economia politica non potrà mai dire ma che Andrea Fumagalli azzarda) la vita se ne è andata dal capitale. Questo è l'insegnamento definitivo che comincia a formarsi dentro questo primo approccio alla «bioeconomia». Si capisce così quale possa essere la sola alternativa al nuovo paradigma di accumulazione: l'esodo del lavoro vivo.
Ecco un libro di critica di economia politica che si può leggere da principio alla fine (non è cosa da poco): è Bioeconomia e capitalismo cognitivo di Andrea Fumagalli (Carocci, pp. 240, euro 20,30). Parrebbe, questo libro, l'avvio iniziale (e tuttavia abbozzo maturo) di un trattato di economia politica: si va infatti dalla teoria dell'accumulazione (suddivisa in quattro parti: modi di finanziamento, attività ed evoluzione delle forme di accumulazione, forme dell'impresa, realizzazione monetaria) ad una nuova teoria della prestazione lavorativa (anch'essa articolata in tre parti: come dispositivo di sussunzione totale della vita, come figura cangiante della forza-lavoro nel capitalismo cognitivo, ed infine nello sfruttamento-alienazione delle nuove soggettività al lavoro), fino a una teoria complessiva del capitalismo cognitivo che insiste sugli elementi di contraddizione (il «comune» contro/oltre il pubblico ed il privato) e su un programma postsocialista («reddito di esistenza» e «welfare del comune»).
La natura dell'alienazione
Si diceva: sembra che questo libro sia un trattato, ma non è affatto così. Questo libro, infatti, deborda l'economia politica: «l'aspetto economico che viene trattato è quello del potere e della soggettività delle figure sociali che agiscono o subiscono tale potere». È dunque, questo di Fumagalli, un libro politico. Insisterò su questo aspetto, lasciando ad altri più competenti di quanto io lo sia, l'analisi dei teoremi economici più innovativi che egli avanza. A me interessa lo spillover, il traboccare politico della ricerca ed il suo concentrarsi sulla nuova definizione del lavoratore salariato nel capitalismo cognitivo. Questa è la vera novità di questo libro.
Marx ci ha insegnato che è solo a partire dalla figura dello sfruttamento e dai movimenti della forza lavoro che la critica può diventare reale, e cioè collegare l'analisi teorica all'iniziativa politica, la critica che emancipa alla praxis che libera. Fumagalli fa ruotare l'intera trattazione teorica attorno alla ridefinizione dello sfruttamento.
Senza togliere nulla alla definizione di sfruttamento come «espropriazione» del lavoro vivo e sua trasformazione in lavoro morto, e senza dimenticare la ferocia capitalistica nel trasformare la forza lavoro in capitale variabile, egli ritorna sull'«alienazione» e ne definisce la nuova «natura comune», così come essa è fatta risaltare dal capitalismo cognitivo. «Nel capitalismo cognitivo alienazione esistenziale e sfruttamento tendono ad essere due facce della stessa medaglia». Questa è dunque l'orribile pesantezza dello sfruttamento, trasformato dal dispositivo cognitivo in riassorbimento della vita nel capitale. Come liberarsi? Come lottare in queste condizioni?
Due riflessioni. Innanzitutto: perché chiamare «bioeconomia» questo tessuto di discussione critica, invece che «critica dell'economia politica»? Non varrebbe la pena di limitare la definizione di bioeconomia a quelle specifiche tecniche di conoscenza e di produzione di valore che riguardano le facoltà vitali degli esseri umani (il genoma etc.)? Problema non evidentemente secondario: si tratta infatti di chiedersi se i nuovi poteri dello sfruttamento capitalistico sulla vita dei lavoratori abbiano tanta forza quanta ne hanno sul genoma, sulla topografia della natura e sulle consistenze biologiche.
È quello che Fumagalli, ed anche noi, supponiamo ed a cui ci opponiamo. Non ci indigniamo dunque della trasformazione tecnologica della natura ma del suo sfruttamento, del dominio che su queste pratiche - al fine della accumulazione - viene esercitato.
Dominio e resistenza
La seconda riflessione riguarda la temporalità, cioè la prepotente attualità dell'emergere di questi temi. Essa è provocata da una nuova consapevolezza critica dei soggetti sfruttati. Se il potere investe la vita, se concetto e realtà di capitale si presentano come biopotere, la potenza del lavoro vivo, rivelandosi a se stessa nel contesto generale della vita, si presenta come resistenza al dominio e come costruzione prospettica di nuovi dispositivi biopolitici. Ma le trasformazioni delle categorie del capitale comportano la trasformazione delle categorie della resistenza. E tutto questo si costruisce sempre più vivacemente e fortemente quanto più nel capitalismo cognitivo le «potenze del lavoro» si riconoscono come «produttive del comune».
Torniamo alla questione dello sfruttamento: essa muta anche guardando alle trasformazioni sistemiche delle figure del capitale. Vale a dire che, nel capitalismo cognitivo, si esaurisce in maniera definitiva la «formula trinitaria» (rendita, salario, profitto) ed il capitalismo cognitivo astrae la sua potenza configurandosi tutto - unitariamente - come capitale finanziario. Quanto più si immerge nella vita tanto più il capitale finanziario la possiede e la sfrutta dall'alto. Il profitto diventa sempre più parassitario e si confonde nella rendita finanziaria.
Queste esperienze scientifiche rafforzano la consapevolezza della crisi della legge (classica) del valore. La legge del valore inciampa infatti qui sulla vita. «Se è la vita stessa dei singoli, che oggi sono individui necessariamente sociali, ad essere messa al lavoro, la reazione a questa nuova condizione umana non può in nessun caso essere raccolta in una tipologia unica e tanto meno catturata puramente e semplicemente nel tempo di lavoro. È il tempo di vita che determina ogni valorizzazione produttiva».
Che cosa significherà allora, attraverso le filiere del capitalismo cognitivo, a fronte del capitale finanziario, dentro lo sfruttamento biopolitico, ribellarsi? Significa - conclude Fumagalli - autorganizzare la ribellione a partire dalle ed insistendo sulle nostre «forme di vita»: rifiutare la regola capitalistica, nel momento stesso in cui si costruiscono nuove facoltà umane. L'analisi, a questo punto, deve diventare programma. Quando analizziamo la forma monetaria del dominio capitalistico, nella sua esaltazione finanziaria, poniamo allora il «reddito di cittadinanza» contro i dispositivi del capitale finanziario; in forma programmatica e con animo di lotta, si tratterà quindi di comprendere che cosa voglia ormai dire «lotta salariale» contro il biopotere; e cioè lotta per l'estensione del welfare (il salario del comune) contro quello sfruttamento del comune che è sorgente e forma attuali del dominio capitalistico.
Oltre la contingenza
Non pensiate che siamo diventati buoni. Di generazione in generazione, a fronte di coloro che ci dicono che la lotta di classe è finita, noi rispondiamo: cretini! Non vi accorgete che ogni ipotesi scientifica, che ogni esperienza vitale riaprono alla prospettiva insurrezionale? Siamo ormai al punto in cui dobbiamo chiederci - nell'attualità, nella presenza - se il concetto di capitale non sia esso stesso giunto a divedersi in due, se cioè il capitale costante (globale) riesca ancora a trattenere dentro di sé (e a trasformare continuamente in maniera funzionale al proprio sviluppo) la forza-lavoro - intelligente, mobile, cognitiva, affettiva, relazionale. Probabilmente (è quanto un trattato di economia politica non potrà mai dire ma che Andrea Fumagalli azzarda) la vita se ne è andata dal capitale. Questo è l'insegnamento definitivo che comincia a formarsi dentro questo primo approccio alla «bioeconomia». Si capisce così quale possa essere la sola alternativa al nuovo paradigma di accumulazione: l'esodo del lavoro vivo.
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