da il manifesto - 17 luglio 2008
L'emendamento vien di notte, favorito dal sonno bipartisan della ragione. Dal 2010 i cittadini italiani dovranno imprimere le proprie impronte digitali sulla carta d'identità. Cesserà finalmente la discriminazione tra pregiudicati e non, tra i rom e gli altri: è il trionfo dell'eguaglianza nel segno dello stato di polizia. Di fronte a un siffatto successo del pensiero egualitario l'opposizione chiede al ministro Maroni di sospendere il censimento poliziesco delle comunità rom: il controllo totale arriverà comunque, senza perdere la faccia in Europa, senza urtare sensibilità ecclesiastiche, senza sospetto di discriminazioni razziali.
Ma il ministro leghista non demorde: si, sono tutti potenziali criminali, ma chi più, chi meno, e dunque con gli zingari si comincia da subito. All'arma dell'emergenza e della propaganda è sempre difficile rinunciare. Fatto sta che sulla schedatura generale della popolazione italiana ben pochi hanno qualcosa da eccepire. Né i liberali che un tempo leggevano e apprezzavano l'Orwell "antitotalitario", né i democratici che pensavano, sempre in quel tempo remoto, che la convivenza civile dovesse fondarsi più sulla fiducia che sul perfezionamento del panopticon poliziesco e il proliferare della delazione.
Tra i molti paradossi dell'ossessione securitaria c'è la convinzione, infinite volte smentita dalla storia nei piccoli come nei grandi fatti, che l'apparato del controllo non possa mai cadere in cattive mani, che il potere sia sempre e per definizione buono e al servizio dei cittadini. Un paradosso tanto più inquietante nel momento in cui, in risposta alla classica domanda «chi custodisce i custodi?», giunge la sentenza del processo di Genova che mette in salvo gli aguzzini di Bolzaneto. Ma, si sa, le forze dell'ordine sono formate da cittadini al di sopra di ogni sospetto e anche di qualche acclarato reato.
Se c'è qualcosa che la ex sinistra comunista avrebbe dovuto gettare senza indugi nella pattumiera della storia è proprio l'invasività dello stato nella vita dei singoli, la vocazione alla sorveglianza, il conformismo imposto per legge, il sospetto preventivo e generalizzato. E, invece, proprio a questi turpi aspetti, sembra essere rimasta tenacemente affezionata. Così la schedatura universale può essere vergognosamente celebrata come una risposta democratica alla schedatura di una sola etnia, contro la quale ci si sarebbe dovuti battere con ogni mezzo necessario. Non ci vuole troppa fantasia per immaginare come questo immenso archivio di impronte digitali potrebbe essere utilizzato. Magari per scoprire chi ha distribuito un certo volantino o premuto i tasti di un computer irriverente?
Naturalmente non c'è chi non sappia (bambini compresi) che ogni criminale che si rispetti fa uso dei guanti. Non è da escludere, allora, un ulteriore emendamento notturno che vieti il commercio di questo capo d'abbigliamento. O forse seguiremo l'ingegno della Stasi che raccoglieva e archiviava l'odore dei corpi. Anche se riportare gli odori sulla carta d'identità da far annusare, all'occorrenza, ai cani-poliziotto non sarà impresa delle più semplici.
Foto di Xipe Totec39 [Hand prints], con licenza Creative Commons da flickr
L'emendamento vien di notte, favorito dal sonno bipartisan della ragione. Dal 2010 i cittadini italiani dovranno imprimere le proprie impronte digitali sulla carta d'identità. Cesserà finalmente la discriminazione tra pregiudicati e non, tra i rom e gli altri: è il trionfo dell'eguaglianza nel segno dello stato di polizia. Di fronte a un siffatto successo del pensiero egualitario l'opposizione chiede al ministro Maroni di sospendere il censimento poliziesco delle comunità rom: il controllo totale arriverà comunque, senza perdere la faccia in Europa, senza urtare sensibilità ecclesiastiche, senza sospetto di discriminazioni razziali.
Ma il ministro leghista non demorde: si, sono tutti potenziali criminali, ma chi più, chi meno, e dunque con gli zingari si comincia da subito. All'arma dell'emergenza e della propaganda è sempre difficile rinunciare. Fatto sta che sulla schedatura generale della popolazione italiana ben pochi hanno qualcosa da eccepire. Né i liberali che un tempo leggevano e apprezzavano l'Orwell "antitotalitario", né i democratici che pensavano, sempre in quel tempo remoto, che la convivenza civile dovesse fondarsi più sulla fiducia che sul perfezionamento del panopticon poliziesco e il proliferare della delazione.
Tra i molti paradossi dell'ossessione securitaria c'è la convinzione, infinite volte smentita dalla storia nei piccoli come nei grandi fatti, che l'apparato del controllo non possa mai cadere in cattive mani, che il potere sia sempre e per definizione buono e al servizio dei cittadini. Un paradosso tanto più inquietante nel momento in cui, in risposta alla classica domanda «chi custodisce i custodi?», giunge la sentenza del processo di Genova che mette in salvo gli aguzzini di Bolzaneto. Ma, si sa, le forze dell'ordine sono formate da cittadini al di sopra di ogni sospetto e anche di qualche acclarato reato.
Se c'è qualcosa che la ex sinistra comunista avrebbe dovuto gettare senza indugi nella pattumiera della storia è proprio l'invasività dello stato nella vita dei singoli, la vocazione alla sorveglianza, il conformismo imposto per legge, il sospetto preventivo e generalizzato. E, invece, proprio a questi turpi aspetti, sembra essere rimasta tenacemente affezionata. Così la schedatura universale può essere vergognosamente celebrata come una risposta democratica alla schedatura di una sola etnia, contro la quale ci si sarebbe dovuti battere con ogni mezzo necessario. Non ci vuole troppa fantasia per immaginare come questo immenso archivio di impronte digitali potrebbe essere utilizzato. Magari per scoprire chi ha distribuito un certo volantino o premuto i tasti di un computer irriverente?
Naturalmente non c'è chi non sappia (bambini compresi) che ogni criminale che si rispetti fa uso dei guanti. Non è da escludere, allora, un ulteriore emendamento notturno che vieti il commercio di questo capo d'abbigliamento. O forse seguiremo l'ingegno della Stasi che raccoglieva e archiviava l'odore dei corpi. Anche se riportare gli odori sulla carta d'identità da far annusare, all'occorrenza, ai cani-poliziotto non sarà impresa delle più semplici.
Foto di Xipe Totec39 [Hand prints], con licenza Creative Commons da flickr
1 commento:
Keep up the good work.
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