Il lavoro è il primo in cui Foucault si occupa della sessualità ed è oggi alquanto attuale, quindi di seguito ho postato due degli articoli di Queer, il primo scritto da Andrea Russo ed il secondo da Anna Simone.
Buona lettura
ACT UP: PER UN'IDENTITA' QUEER.
Il professore di letteratura inglese e queer theory dell’università del Michigan, David Halperin, nel 1990 ha condotto un’inchiesta sull’organizzazione Act Up-New York (Aids Coalition To Unleash Power).
Una delle domande del questionario distribuito tra gli attivisti recitava: “Qual è la principale fonte d’ispirazione intellettuale per coloro che lottano contro l’epidemia di Hiv/Aids?”
I più predisposti alla riflessione teorica hanno risposto: La volontà di sapere di Michel Foucault.
Perché gli attivisti di Act Up consigliano di leggere La volontà di sapere a coloro che s’impegnano in una pratica politica queer?
Cosa hanno visto, in questo libro, che gli intellettuali della sinistra storica non hanno percepito; e perché? Si può immaginare un evento più dirompente dell’epidemia di Hiv/Aids, per dimostrare l’utilità di concettualizzare la sessualità, alla maniera di Foucault, come punto di passaggio - particolarmente denso - per le relazioni di potere?
Infine, l’epidemia non ha attirato, per la prima volta, l’attenzione dell’opinione pubblica sulla modalità di funzionamento del biopotere, che il filosofo francese ha definito nei termini di “amministrazione dei corpi” e “gestione calcolatrice della vita”?
Ne La volontà di sapere (1976), Foucault, per studiare la sessualità, ha utilizzato lo stesso metodo usato per studiare la follia: non l’ha trattata come una realtà oggettiva e naturale.
La sessualità, piuttosto, è lo strumento necessario e l’effetto particolare di un insieme di strategie discorsive e politiche. La scelta di scrivere la storia della sessualità, dal punto di vista di una storia dei discorsi, gli ha consentito sia di denaturalizzare, sia di politicizzare la sessualità.
La fecondità politica di questo metodo non poteva sfuggire a tutte quelle persone sieropositive che, a partire dalla seconda metà degli anni ’80, sono stati gli oggetti, piuttosto che i soggetti, dei discorsi d’expertise scientifica (medicina clinica, industria farmaceutica, ricercatori, operatori dei media).
Il principio fondamentale della tattica di Act Up e, in generale, dei “movimenti delle minoranze” (come ha ben sottolineato Halperin in Saint Foucault – Towards a Gay Hagiography - 1995), consiste nel rovesciamento delle posizioni tra soggetto e oggetto della conoscenza, assegnati dai dispositivi di potere-sapere ai dominanti e ai dominati.
Coloro che sono stati classificati come pazzi, delinquenti o perversi sessuali, attraverso forme specifiche di conoscenza - come la medicina clinica, la psichiatria o la criminologia - hanno subito una squalificazione e una inferiorizzazione delle loro esperienze.
Sulla base di questa inferiorizzazione fisico-epistemologica, il potere ha operato incessantemente una separazione tra il pazzo e l’uomo normale, il delinquente e il buon cittadino, l’eterosessuale e l’omosessuale. All’interno di questa relazione gerarchica, l’anormale è stato privato del suo diritto di parola, ridotto al silenzio, relegato allo statuto d’oggetto senza voce del discorso scientifico.
La storia delle lotte delle minoranze è quella di una lunga battaglia per rovesciare la tirannia del discorso scientifico e i suoi effetti di esclusione, discriminazione e assoggettamento.
Ciò ha significato far passare la normalità, la razionalità, l’eterosessualità, dalla posizione di soggetto universale del discorso a una posizione di oggetto d’interrogazione e critica.
Gli attivisti di Act up - riuscendo a confiscare il potere della parola all’esperto scientifico di turno - hanno ripetuto al mondo: i veri esperti siamo noi, perché il discorso scientifico non rende conto della complessità delle nostre esperienze.
Per Foucault, tuttavia, la tattica del rovesciamento discorsivo può nascondere una trappola naturalistica ed essenzialistica: il capovolgimento della posizione discorsiva tra omosessualità
ed eterosessualità, per esempio, ha condotto il movimento gay a bloccare l’omosessualità in confini identitari. In altri termini: nonostante si sia riuscito a dimostrare che l’omosessualità è una proiezione fantasmatica, la cui funzione principale è d’incarnare negativamente tutto ciò che è altro o differente dall’eterosessualità, il movimento non è riuscito a dedurre tutti gli effetti positivi
derivanti dalla possibilità di assumere un’identità fluida, che si definisce non per ciò che essa è,
ma per dove è, e per come funziona. Foucault ha più volte sottolineato l’importanza politica del
rovesciamento discorsivo prodotto nel XIX secolo dal movimento omosessuale.
E non ha mai sostenuto l’idea (odiosa) che il discorso en retour è identico al discorso che si vorrebbe rovesciare.
Il movimento nel XX secolo, invece d’insistere sull’identità (homo) sessuale, che si costituisce in relazione alla distanza e alla differenza dalla norma eterosessuale, ha investito sulla riterritorializzazione dell’identità gay: è in questo che Foucault individua il problema.
Piuttosto che la liberazione del sesso e delle identità sessuali, egli propone una liberazione dal sesso (un po’ come gli operaisti italiani, nello stesso periodo, in modo più ampio, affermavano che comunismo non significa liberazione del lavoro, ma innanzitutto e per lo più liberazione dal lavoro).
I prerequisiti foucaultiani che alludono alla possibilità di una politica queer sono quindi il rovesciamento discorsivo, la capacità di definire l’identità (homo)sessuale in maniera oppositiva e relazionale, e non necessariamente in termini di realtà stabile.
La politica queer non si definisce come lotta per liberare una natura preesistente e repressa, ma come processo continuo di costituzione e trasformazione di sé: designa tutto ciò che è in disaccordo con il normale, il dominante, il legittimo.
Essa assume il suo significato in relazione all’opposizione alla norma.
La politica queer non è riservata esclusivamente ai gay e alle lesbiche, ma accessibile a tutti coloro che si sentono inferiorizzati e marginalizzati a causa delle proprie pratiche sessuali e dei propri stili di vita.
Il BIO-POTERE DI RESISTERE.
Un trentennio mai finito. “La volontà di sapere” alla prova del presente.
Esattamente trent’anni fa, nel 1976, usciva per Gallimard in Francia “La volontà di sapere” di Michel Foucault. Il libro, scritto inizialmente per un progetto più complessivo che nel corso degli anni avrebbe mutato segno più volte diventò, nell’arco di un decennio, il primo volume di una trilogia di opere conosciuta come la “Storia della sessualità”. Il secondo e il terzo volume, infatti, “L’uso dei piaceri” e “La cura di sé” apparvero quasi in traduzioni simultanee nel 1984.
Gli ultimi due volumi sarebbero diventati in Italia classici da “Universale economica Feltrinelli” nel 1991, “La volontà di sapere” nel 1988. Da allora non si è mai smesso di comprarli e di citarli a tutto tondo e in una molteplicità di ambiti tale da rendere improbabile qualsivoglia progetto di codificazione disciplinare.
Tra i tre volumi, tuttavia, soprattutto “La volontà di sapere” può essere considerato come un classico mai divenuto classico, un’inattuale sempre attuale nel senso nicciano del termine. Una sorta di libro-bomba mai del tutto esploso che aspetta ancora di rompere l’ipocrisia dei mille fragili equilibri messi a punto dalle politiche di gestione, controllo ed intervento sui corpi incarnati e vivi attraverso i cosiddetti bio-poteri del presente, come d’altro canto dimostrano alcuni tra i testi ospitati in queste pagine. Anzi, sarebbe ancor meglio dire che attraverso le pagine di questo libro abbiamo definitivamente appreso quanto l’analitica dei saperi-poteri strutturatisi tra il XVIII ed il XIX secolo nel filantropismo, nella medicina e nei processi coatti di medicalizzazione, nella psichiatria, nella giustizia penale, nella pedagogia sino ad arrivare alle cosiddette scienze dello spirito – dalla sessuologia a certa psicanalisi individualizzante e borghese - agisca direttamente nei corpi e attraverso essi producendo all’infinito soggettività assoggettate a questo o a quest’altro potere, a questo o a quest’altro processo di normalizzazione.
Perché, per dirlo con le parole di Foucault “il potere non è qualcosa che si acquista, si strappa o si condivide, qualcosa che si conserva o che si lascia sfuggire; il potere si esercita a partire da innumerevoli punti e nel gioco di relazioni disuguali e mobili”. Il potere, in sintesi, interseca e attraversa tutto e tutti/e, non si esercita secondo opposizioni binarie tra dominati e dominanti, non costruisce divieti e proibizioni dall’alto ma, al contrario, si dà attraverso relazioni direttamente produttive che agiscono nella profondità del corpo individuale e sociale per renderlo docile e accomodante a partire dalle condotte normalizzatrici della famiglia, dei gruppi ristretti, delle istituzioni disciplinari. Già queste affermazioni possono servirci a fugare qualsiasi dubbio sul valore banalmente ritualistico e celebrativo di un inserto monografico.
Qui non celebriamo Foucault per costruirgli un mausoleo post-moderno e simulacrale, per salvarci le buone maniere della coscienza critica riconducendolo alla tomba o solo per registrare l’importanza dirompente che “La volontà di sapere” ha avuto rispetto alle scienze sociali e umane in tutte le Università del mondo. Semmai siamo qui a dire che continuare a citare gli articoli della Costituzione italiana che “si basa sulla famiglia” dinanzi ad omosessuali, donne single, transessuali, transgender è quanto di più inattuale e mistificante; che pensare un’esistenza fatta di lavoro infrasettimanale e di sesso al sabato sera tra le protette pareti domestiche è quanto di più irreale si possa pensare della condizione umana e dei rapporti di produzione del sistema capitalistico contemporaneo. Non è un caso, infatti, che siamo qui a parlare del trentennale di un testo che Foucault ha costruito a partire da due domande: perché il sesso e la sessualità sono diventati da un certo momento in poi un “oggetto del sapere”? Siamo certi che la sessualità sia inversamente proporzionale ad un ordine di divieti che reprime gli istinti?
Le risposte alle due domande si intersecano nella “Volontà di sapere” attraverso una ricostruzione di micro-genesi storiche “disperse e mutevoli” che arrivano sostanzialmente a sostenere la tesi secondo cui non è vero che di sesso non si è parlato mai dal Medio Evo sino al XIX secolo al punto tale da sostenere la “tesi repressiva” basata sul binomio divieto/trasgressione (così come paventato dal Marcuse di Eros e civiltà e dell’Uomo a una dimensione). Tutt’altro. Foucault ci dice che già dal Medio Evo esisteva un discorso sulla voluttà della carne codificatosi con la pastorale cristiana attraverso l’uso della confessione. Questa pratica discorsiva unitaria che presentava la sessualità come un “enigma inquietante” si sarebbe poi, nel corso dei secoli, “scomposta, dispersa, moltiplicata in un’esplosione di discorsività distinte che hanno preso forma all’interno della demografia, della biologia, della medicina, della psichiatria, della psicologia, della morale, della pedagogia, della critica politica”.
Di qui la nascita di una serie di dispositivi atti a “gestire” e non a “reprimere” la sessualità: il lavoro, i codici regolamentativi della sessualità come il matrimonio, la norma eterosessuale, i primi controlli sulle “sessualità solitarie” dei bambini, l’adulterio, l’ “incorporazione delle perversioni” (tra cui compariva anche l’omosessualità) nelle scienze medico-psichiatriche, sino al XIX secolo e alla nascita di una biologia della produzione, di una medicina del sesso. Se la sessualità fosse stata un tabù, se non se ne fosse parlato così tanto si sarebbe costruito tutto questo apparato di normalizzazione e gestione dei piaceri? Sicuramente no. Se ne è parlato talmente tanto da costruire molteplici “ordini del discorso” funzionali ai meccanismi di potere e alle sue istituzioni di controllo. Ordini discorsivi tesi all’assoggettamento e a tradurre l’ars erotica in scientia sexualis. Nell’arte erotica, infatti, la verità dei corpi non era mai un effetto di un dispositivo ma “veniva estratta dal piacere stesso”, da un’esperienza che “non era in relazione ad una legge del lecito e del proibito”.
Una geografia dei piaceri, insomma, irriducibile al desiderio istintuale e naturalistico posto in essere per trasgredire la norma. Un piacere che ha una sua qualità specifica, una sua durata, una sua intensità che travalica tutti i confini delle opposizioni binarie corpo/anima, carne/spirito, stinto/ragione, pulsioni/coscienza le quali, invece, “sembrano ridurre il sesso ad una pura meccanica senza ragione”. Ma “La volontà di sapere” non è solo un tentativo di decodifica dei processi di gestione e normalizzazione della sessualità. E’ molto di più. E’ anche il testo “fondativo” di ciò che oggi chiamiamo “biopolitica” e cioè il passaggio consumatosi dallo Stato sovrano ai processi di “governo del vivente e del sociale”, del passaggio dal “vecchio diritto di far morire o di lasciar vivere” al “potere di far vivere o di respingere nella morte”.
Trent’anni sono sufficienti per passare dai processi di regolamentazione dei singoli corpi e della popolazione attraverso la costruzione di codificazioni giuridiche alla regolamentazione dei
singoli corpi e della popolazione attraverso i dispositivi di sicurezza? La risposta è ovviamente affermativa ma, come ci ha insegnato Foucault, laddove c’è potere c’è sempre resistenza. Dal
potere e dagli ordini gerarchici non si esce ma i nostri corpi singolari e collettivi devono e possono ancora resistere.
Nessun commento:
Posta un commento